26 febbraio 2010
Tratto da ZENIT.org
Di seguito il testo della relazione che il prof. Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato e responsabile del Centro dipartimentale per la Ricerca dell’Università Europea di Roma (Uer), ha tenuto il 24 febbraio scorso intervenendo all’Uer alla presentazione del nuovo libro di mons. Lorenzo Leuzzi, “Eucarestia e carità intellettuale. Prospettive teologico-pastorali dell’Enciclica Caritas in Veritate” (Libreria Editrice Vaticana).
1. La carità come esempio incarnato: San Francesco
E’ arduo parlare di “carità intellettuale” attraverso la parola scritta. Si finisce inevitabilmente per essere retorici e soprattutto poco persuasivi. Si tratta, infatti, di un tema che viaggia con la vita delle persone, con i loro comportamenti, con le reazioni che suscitano negli altri[1]. Per questo motivo, prima di avventurarmi nel tema specifico della carità intellettuale, vorrei cominciare la riflessione con un esempio di carità “incarnata”, e mi viene subito in mente Francesco, santo patrono d’Italia[2].
Ci sono uomini che trasmettono l’idea di ciò che il mondo, e l’Europa in particolare, sarebbero potuti diventare se alla proclamazione della giustizia si fosse accompagnata sempre una radicale testimonianza personale.
Francesco è uomo che trasforma le cose, che sa volgere il male in bene; che, pellegrino tra i popoli, conosce la strada giusta per toccare il cuore delle persone e convertirle. Papà Pietro lo volle chiamare Francesco in onore delle ricchezze che la sua famiglia aveva raggiunto in Francia; ma oggi Francesco evoca povertà, umiltà, testimonianza di giustizia, anelito alla pace[3].
Davanti ad un mondo che corre frenetico, dove tanti valori sembrano vacillare, l’inquietudine e l’attività operosa del frate di Assisi ci manda un messaggio di speranza. E’ un messaggio che richiama ciascuno di noi alla consapevolezza che nella vita talvolta occorra fare silenzio4. Occorre aprirsi alla bellezza del creato e raccogliersi in meditazione per coglierne gli aspetti più autentici.
Francesco non parla soltanto ai credenti, ma ad ogni uomo e ad ogni donna, a ciascuno di noi. Cosa significa infatti, andando contro ogni comune intendimento della sua epoca, interessarsi dei ceti sociali più deboli, andare incontro a quel prossimo che viene rifiutato dalla società, il povero, il malato, l’ultimo, il perdente? Già il perdente! Chi nella vita si sente inutile e umiliato nella sua dignità e girovaga ancora oggi nelle grandi metropoli del mondo. Francesco gli andrebbe incontro a braccia aperte[5]. E noi?
Francesco era un operatore di pace ed in nome della pace ha viaggiato fino ai confini dell’Europa per diffondere il messaggio evangelico. Proprio quelle radici cristiane dell’Europa - storicamente incontestabili e che tanto avremmo voluto menzionate nella Costituzione europea - assumono con Francesco la coloritura di radici di pace, radici di accoglienza, radici del “farsi ultimo”.
C’è un lascito dell’eredità di Francesco che dovremmo riportare nel nostro lessico di docenti, uomini dell’intelletto: è la parola fratellanza, l’espressione fraternità. Fratello Francesco, e ne sono ancora buoni testimoni i frati Minori e le Clarisse, proprio dello spirito della condivisione ha fatto l’architrave della regola francescana. La forza dell’amore fraterno, specie nei luoghi pubblici e della cultura, è una turbina straordinaria più potente di milioni di parole e ragionamenti eruditi[6].
In effetti, sul piano della cultura giuridica, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre del 1948, vi è ancora una cenno alla fraternità[7]. Eppure da allora nessun documento ufficiale di istituzioni internazionali ne ha fatto più menzione. Il mondo universitario, specie quello cristianamente ispirato, può farsi interprete della necessità di un richiamo alla fratellanza nelle sedi normative e interpretative, che non ha solo un significato trascendente quale discendenza da un unico Padre, ma è segno di collaborazione tra i popoli e segno di eguale dignità in diritti e doveri di tutti gli uomini che abitano la terra[8].
Nel segno e nel ricordo di Francesco, tocca oggi a ciascuno di noi impegnarci nel cammino di crescita culturale senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o possa sentirsi escluso. Così la carità da straordinario dono dello spirito si incarna nella forma specifica di carità intellettuale e passa attraverso la vocazione di ciascuno di noi[9]. Con l’avvertenza che il suo esercizio non è prerogativa dei soli professori ma anche di chiunque, dotato dei lumi dell’intelletto, abbia a cuore il bene e l’avvenire dei nostri figli.
2. L’armoniosa comunicazione tra carità incarnata e Dottrina sociale della Chiesa
La testimonianza francescana, vivida ed esemplare, ben si armonizza nella sistematica del pensiero sociale della Chiesa. E’ proficuo perciò collocare la storia irripetibile del poverello d’Assisi nel grande libro della dottrina sociale, al fine di verificare se, dall’incontro tra un virtuosissimo percorso umano di carità e i principi elaborati dalla sapienza della Chiesa, non nasca qualcosa di utile anche per noi che siamo chiamati di fare della carità la ragion d’essere del nostro impegno culturale ed accademico.
Provo perciò a radicare questo percorso in alcune premesse contenute nel “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” (Introduzione e parte prima), dove si affrontano le finalità e i presupposti.
Sta, infatti, nella natura stessa dell'elaborazione dottrinale l'esigenza di porsi, oltre che come strumento di discernimento della realtà, anche come “guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza” (n. 10).
Il richiamo ad un’ispirazione delle azioni non solo individuali ma anche collettive è diretta conseguenza della dinamica che lega tra loro le persone umane, esseri razionali e relazionali, proprio “nella figliolanza dell’unico Padre” (n. 19). Il volto di chi mi sta accanto, ma anche di chi non conosco, ma so essermi uguale, invita a pensare all’altro come a me stesso: è il comandamento dell’amore reciproco “che costituisce la legge di vita del popolo di Dio” e “deve ispirare, purificare ed elevare tutti i rapporti umani nella vita sociale e politica” (n. 33).
Il comandamento dell’amore prende forma, nell’agire quotidiano, nel comandamento della comprensione e del dialogo: ”il rispetto e l’amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro” (n. 43; Conc. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 28). La fonte trascendente si rivela indispensabile per vivere nella grazia “necessaria” il rapporto con gli altri: Croce e Risurrezione rinnovano ogni giorno il cuore del cristiano (n. 44; “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”, 1 Cor 3,22-23).
Ecco che l’’ispirazione cristiana dell’agire sociale si plasma nella carità (n. 54), perché l’amore reciproco tra gli uomini è “lo strumento più potente di cambiamento, a livello personale e sociale” (n. 55): si stagliano vivide le figure di altri grandi operatori di amore, cristiani e non, che, accanto a Francesco, hanno trasformato le strutture sociali e, in definitiva, la cultura di intere generazioni, con la loro testimonianza vissuta nel mondo e per il mondo; come non ricordare la Beata Teresa di Calcutta, “Missionaria della Carità”. L’impegno del cristiano per gli altri si radica nel fiat, in quel sì totale di Maria che corrisponde alla “consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili” (n. 59; Lett. enc. Redemptoris Mater, 37)[10]. Non dunque un generico altruismo, ma carità che è donazione, coma Maria, “totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di Lui” (n. 59)[11].
1. La carità come esempio incarnato: San Francesco
E’ arduo parlare di “carità intellettuale” attraverso la parola scritta. Si finisce inevitabilmente per essere retorici e soprattutto poco persuasivi. Si tratta, infatti, di un tema che viaggia con la vita delle persone, con i loro comportamenti, con le reazioni che suscitano negli altri[1]. Per questo motivo, prima di avventurarmi nel tema specifico della carità intellettuale, vorrei cominciare la riflessione con un esempio di carità “incarnata”, e mi viene subito in mente Francesco, santo patrono d’Italia[2].
Ci sono uomini che trasmettono l’idea di ciò che il mondo, e l’Europa in particolare, sarebbero potuti diventare se alla proclamazione della giustizia si fosse accompagnata sempre una radicale testimonianza personale.
Francesco è uomo che trasforma le cose, che sa volgere il male in bene; che, pellegrino tra i popoli, conosce la strada giusta per toccare il cuore delle persone e convertirle. Papà Pietro lo volle chiamare Francesco in onore delle ricchezze che la sua famiglia aveva raggiunto in Francia; ma oggi Francesco evoca povertà, umiltà, testimonianza di giustizia, anelito alla pace[3].
Davanti ad un mondo che corre frenetico, dove tanti valori sembrano vacillare, l’inquietudine e l’attività operosa del frate di Assisi ci manda un messaggio di speranza. E’ un messaggio che richiama ciascuno di noi alla consapevolezza che nella vita talvolta occorra fare silenzio4. Occorre aprirsi alla bellezza del creato e raccogliersi in meditazione per coglierne gli aspetti più autentici.
Francesco non parla soltanto ai credenti, ma ad ogni uomo e ad ogni donna, a ciascuno di noi. Cosa significa infatti, andando contro ogni comune intendimento della sua epoca, interessarsi dei ceti sociali più deboli, andare incontro a quel prossimo che viene rifiutato dalla società, il povero, il malato, l’ultimo, il perdente? Già il perdente! Chi nella vita si sente inutile e umiliato nella sua dignità e girovaga ancora oggi nelle grandi metropoli del mondo. Francesco gli andrebbe incontro a braccia aperte[5]. E noi?
Francesco era un operatore di pace ed in nome della pace ha viaggiato fino ai confini dell’Europa per diffondere il messaggio evangelico. Proprio quelle radici cristiane dell’Europa - storicamente incontestabili e che tanto avremmo voluto menzionate nella Costituzione europea - assumono con Francesco la coloritura di radici di pace, radici di accoglienza, radici del “farsi ultimo”.
C’è un lascito dell’eredità di Francesco che dovremmo riportare nel nostro lessico di docenti, uomini dell’intelletto: è la parola fratellanza, l’espressione fraternità. Fratello Francesco, e ne sono ancora buoni testimoni i frati Minori e le Clarisse, proprio dello spirito della condivisione ha fatto l’architrave della regola francescana. La forza dell’amore fraterno, specie nei luoghi pubblici e della cultura, è una turbina straordinaria più potente di milioni di parole e ragionamenti eruditi[6].
In effetti, sul piano della cultura giuridica, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre del 1948, vi è ancora una cenno alla fraternità[7]. Eppure da allora nessun documento ufficiale di istituzioni internazionali ne ha fatto più menzione. Il mondo universitario, specie quello cristianamente ispirato, può farsi interprete della necessità di un richiamo alla fratellanza nelle sedi normative e interpretative, che non ha solo un significato trascendente quale discendenza da un unico Padre, ma è segno di collaborazione tra i popoli e segno di eguale dignità in diritti e doveri di tutti gli uomini che abitano la terra[8].
Nel segno e nel ricordo di Francesco, tocca oggi a ciascuno di noi impegnarci nel cammino di crescita culturale senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o possa sentirsi escluso. Così la carità da straordinario dono dello spirito si incarna nella forma specifica di carità intellettuale e passa attraverso la vocazione di ciascuno di noi[9]. Con l’avvertenza che il suo esercizio non è prerogativa dei soli professori ma anche di chiunque, dotato dei lumi dell’intelletto, abbia a cuore il bene e l’avvenire dei nostri figli.
2. L’armoniosa comunicazione tra carità incarnata e Dottrina sociale della Chiesa
La testimonianza francescana, vivida ed esemplare, ben si armonizza nella sistematica del pensiero sociale della Chiesa. E’ proficuo perciò collocare la storia irripetibile del poverello d’Assisi nel grande libro della dottrina sociale, al fine di verificare se, dall’incontro tra un virtuosissimo percorso umano di carità e i principi elaborati dalla sapienza della Chiesa, non nasca qualcosa di utile anche per noi che siamo chiamati di fare della carità la ragion d’essere del nostro impegno culturale ed accademico.
Provo perciò a radicare questo percorso in alcune premesse contenute nel “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” (Introduzione e parte prima), dove si affrontano le finalità e i presupposti.
Sta, infatti, nella natura stessa dell'elaborazione dottrinale l'esigenza di porsi, oltre che come strumento di discernimento della realtà, anche come “guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza” (n. 10).
Il richiamo ad un’ispirazione delle azioni non solo individuali ma anche collettive è diretta conseguenza della dinamica che lega tra loro le persone umane, esseri razionali e relazionali, proprio “nella figliolanza dell’unico Padre” (n. 19). Il volto di chi mi sta accanto, ma anche di chi non conosco, ma so essermi uguale, invita a pensare all’altro come a me stesso: è il comandamento dell’amore reciproco “che costituisce la legge di vita del popolo di Dio” e “deve ispirare, purificare ed elevare tutti i rapporti umani nella vita sociale e politica” (n. 33).
Il comandamento dell’amore prende forma, nell’agire quotidiano, nel comandamento della comprensione e del dialogo: ”il rispetto e l’amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro” (n. 43; Conc. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 28). La fonte trascendente si rivela indispensabile per vivere nella grazia “necessaria” il rapporto con gli altri: Croce e Risurrezione rinnovano ogni giorno il cuore del cristiano (n. 44; “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”, 1 Cor 3,22-23).
Ecco che l’’ispirazione cristiana dell’agire sociale si plasma nella carità (n. 54), perché l’amore reciproco tra gli uomini è “lo strumento più potente di cambiamento, a livello personale e sociale” (n. 55): si stagliano vivide le figure di altri grandi operatori di amore, cristiani e non, che, accanto a Francesco, hanno trasformato le strutture sociali e, in definitiva, la cultura di intere generazioni, con la loro testimonianza vissuta nel mondo e per il mondo; come non ricordare la Beata Teresa di Calcutta, “Missionaria della Carità”. L’impegno del cristiano per gli altri si radica nel fiat, in quel sì totale di Maria che corrisponde alla “consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili” (n. 59; Lett. enc. Redemptoris Mater, 37)[10]. Non dunque un generico altruismo, ma carità che è donazione, coma Maria, “totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di Lui” (n. 59)[11].
(1-Continua)
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