sabato 27 marzo 2010

L'ALTRA OMELIA (33) - LA SINDONE, IL SERVO CONCEPITO E LA SUA SERVA

Domenica delle Palme
28 marzo 2010
Di padre Angelo del Favero
26 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org
“Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso” (Is 50,6-7).
“Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: ‘Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finchè essa non si compia nel regno di Dio’” (Lc 22,14-16).
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,5-8).
La Bibbia “Via, Verità e Vita” da’ un nome al “Terzo carme del Servo” (Is 50,4-7), che introduce oggi la Passione del Signore, lo intitola: “Il dolore scritto sul corpo”.
Una scrittura che diventa presto più drammatica: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire,..trafitto..schiacciato..per le sue piaghe noi siamo stati guariti.(…) Gli si diede sepoltura con gli empi..” (Is 52,13-15; 53,1-12).
Tutte queste parole profetiche furono scritte all’incirca cinque secoli prima che quel volto di Gesù cui fu strappata la barba, percosso e umiliato, svergognato e disprezzato sputandogli in faccia; quel volto che fu schiacciato a terra dal peso della croce; quel volto e quel dorso presentato docilmente ai flagellatori accaniti, rimanessero impressi per sempre nel sudario da cui fu avvolto il cadavere del Signore.
La Sindone non è solamente un lenzuolo che ammutolisce ogni considerazione, è una Parola eloquente da ascoltare: quella “Parola della croce” il cui enigma scientifico Paolo ha interpretato così: “Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti” (1 Cor 1,18-19).
Forse a compiere il pietoso gesto di avvolgere il corpo di Gesù nella Sindone è stata anche sua madre Maria, la quale mentre “stava presso la croce” (Gv 19,25) certamente ricordava quando, a Betlemme, stava avvolgendo in fasce quello stesso corpo del Figlio ora denudato e straziato dinnazi ai suoi occhi (Lc 2,7). Così le due fasce, pur richiamando momenti opposti ed estremi quali il nascere e il morire, sono il simbolo unificante dell’intera esistenza di Gesù, per il quale l’incarnazione fu, sin dal primo istante del concepimento, “kenosi”, svuotamento di sé (Fil 2,6-8).
Lo aveva già anticipato Isaia definendo così il Servo del Signore: “uomo dei dolori che ben conosce il patire” ( Is 53,3). Quanto è significativa questa piccola parola: “ben”! Sembra voler dire: lo conosce fino in fondo! Lo conosce ben più di quello che potete immaginare! Lo conosce per esperienza in tutta l’amarezza, l’orrore, la ribellione della natura, lo conosce come scandalo di fronte a Dio, suo Padre.
Ma “ben” va molto più in profondità: conoscere il patire anche nella sua nascosta, paradossale dolcezza, purissimo distillato che solo dall’amore può scaturire, come scrive il santo carmelitano Giovanni della Croce: “Più la sofferenza è pura, più procura una conoscenza intima e pura e, di conseguenza, una gioia più pura e sublime, perché nasce da un più intimo sapere” (“Cantico Spirituale” B, strofa 36,12).
A tale soprannaturale “sapienza” fanno pensare queste parole di Gesù: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione,..”(Lc 22,15). Sì, da un lato Gesù ben conosce la forza travolgente del dolore sulla volontà, la devastazione che opera nell’anima, l’abbruttimento inferto dalla sofferenza alla dignità della persona, ed anche il suo potere di scuotere le fondamenta della fede fino al crollo; ma insieme il Signore sa’ che il dolore non è in contraddizione profonda con la vita, anzi: esso è perfino desiderabile (come una madre incinta desidera il travaglio del parto), per la sua fecondità redentrice e per il frutto buono che genera nei cuori miti ed umili come quello di Gesù: il frutto beato dell’unione d’amore con Dio.
Ecco, io credo che sia anche questa solidarietà umana e divina il motivo per il quale ogni ostensione della Sindone registra un successo senza precedenti.
L’umanità del 2010 sembra sprofondare sempre più nel baratro diabolico del relativismo e dell’indifferenza, i cui frutti sono: ateismo, violenza, perversione morale, superbia, spaventoso egoismo.., e le indicibili sofferenze patite anche dagli innocenti: è “il peccato del mondo”, che l’Agnello di Dio, l’Innocente, ha portato e continua a portare su di sè (come la Sindone “dimostra”).
E sembra essere proprio questa sofferenza totale l’obiezione più formidabile all’esistenza e alla bontà di Dio, mentre costituisce anche il contro-argomento “vincente” da opporre circa il valore assoluto ed incondizionato della vita umana.
Ma, in realtà, vivere “come se Dio non ci fosse” è il supplizio personale più terribile ed intollerabile che ci sia in questo mondo, è l’inferno stesso dentro l’anima, poichè Dio ha creato l’uomo come un’insopprimibile nostalgia di Sé.
Perciò l’Uomo della Sindone, nella sua “se-ducente” misteriosità, fa intuire di possedere il segreto più decisivo di tutti, quello che il cuore umano non cessa mai d’indagare e che solo la fede rivela: il segreto della vita! E il segreto della vita è l’uomo della Sindone, Cristo, “via, verità e vita” di ogni uomo (Gv 14,6).
La verità della vita e del dolore umano non è una dottrina, ma un Volto da cercare con l’impegno costante e l’inesausto desiderio con cui scrutiamo l’enigma dell’immagine sindonica. La Sindone, non è una semplice reliquia naturale che permette solamente di fare memoria del Crocifisso risorto, ma è la sua reliquia soprannaturale, quasi “memoriale” efficace della sua Presenza, che agisce tramite la fede.
Ho cercato nel Vangelo dell’Annunciazione, per vedere se vi trovavo la Sindone, come nel Vangelo della nascita l’ho incontrata nelle fasce con cui Maria avvolge il figlio neonato, ed ho visto che Gesù, al concepimento, si trovò avvolto dal grembo di Maria, la quale rispondendo all’Angelo si definì “Serva del Signore” (Lc 1,38).
Ora, dato che sin dal concepimento il Verbo divino “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,7), possiamo pensare che in questo istante, nel quale l’essere di Maria venne ontologicamente mutato dalla grazia della sua divina maternità, molto più che in un lenzuolo Gesù concepito impresse, in colei che lo avvolgeva con il suo corpo, il proprio volto di “Servo del Signore”. Riconosciamo allora in Maria la viva “Sindone” del Verbo incarnato, com’ella sembra autorizzarci a concludere con l’affermazione: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Giovanni Paolo II ha detto che l’Eucaristia, essendo il medesimo Corpo di Cristo che nacque dalla vergine Maria, reca in sé la fragranza della carne di lei, della sua persona. Ora se la creatura ha potuto lasciare impressa nel Creatore la sua impronta umana, molto di più si può ritenere che il Creatore ha impresso Se stesso nella creatura Maria nel momento in cui fu concepito nel grembo che lo avvolgeva. Maria, dunque, nella sua persona ricevette la forma-impronta ontologica del Servo del Signore, suo figlio, e divenne la Serva del Signore, sua madre.
Di tutto ciò sembra darci conferma Giovanni nell’Apocalisse, quando descrive il “segno grandioso” della “donna vestita di sole” (Ap 12,1), tradizionalmente identificata con Maria santissima. Tale segno risulta subito essere un segno sofferente: “Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto” (Ap 12,2).
Se Gesù è definito da Isaia, “uomo dei dolori”, Maria appare qui come donna del dolore, poiché il travaglio torturante del parto indica l’abisso del dolore fecondo della Madre presso la croce, dove fu generata la Chiesa.
Cosa significa, infatti, questa contraddizione “impossibile”: che Maria, beata nella gloria del Paradiso, stia contemporaneamente gridando di dolore come le partorienti terrene? Credo si possa intendere anche così: Maria assunta in Cielo in anima e corpo è la stessa persona che nell’istante in cui si trovò incinta del Figlio di Dio, fu anche resa gravida del suo destino di Servo sofferente, una partecipazione dolorosa e necessaria, visto che la vergine fu scelta quale corredentrice del Cristo fin dal primo istante della sua maternità divina.
E come la Sindone mostra la perfetta, inspiegabile aderenza del corpo del Signore al tessuto che lo ricopriva, così Maria fu discepola perfettamente aderente alla volontà del Figlio, che progressivamente la “svuotò” mediante rinunce sempre più dolorose, fin sotto la croce.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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