Dietro la vittoria di Vendola
ci sono tante spiegazioni:
dai meriti del candidato,
in grado di sbaragliare tutto e tutti,
ai demeriti di un centrodestra,
senza più “connessione sentimentale”
30 Marzo 2010
Tratto dal Sito Internet
www.lecceprima.it
Un uragano, una forza della natura capace di sbaragliare il mero calcolo politico, per difendere un sogno utile: Nichi Vendola ha vinto ancora l’ennesima battaglia, da leader inusuale di una sinistra, troppo frequentemente orfana di se stessa, di un contatto vero con la propria gente e dentro l’ennesimo tracollo di un Pd, che da Nord a Sud, dalle urne, non riscuote il montepremi sperato, ma prende ancora paga, in molte zone strategiche. Il Sud vira a destra, con Campania e Calabria che cambiano colore. La Puglia, no: resta l’anomalia, ad immagine e somiglianza di chi quella sua diversità l’ha trasformata in ricchezza vincente. Proprio la terra, per anni ritenuta a ragione l’Emilia Romagna proprio della destra, una sorta di feudo inviolabile, regala il bis di una storia inedita, che racconta di un Mezzogiorno, persino diverso da quello che i più vorrebbero rappresentare.
E c’è una Puglia migliore, nell’evidenza del riscatto sociale di una regione, che si riconosce in un proprio figlio, nella sua storia, che lo prende a cuore e gli riconsegna il compito di condurla nel prossimo quinquennio. Vendola esce intatto, più forte, dall’ulteriore cerchio di fuoco congeniato, per fare di lui la legna da forno, ridimensionare la sua leadership, ripensare un altro destino: il governatore, venuto da Terlizzi, ha saputo rimettersi in gioco, quando c’era chi lo riteneva la logica fine di una trama politica, che avrebbe dovuto prevedere l’allargamento di una coalizione ad uno scudo crociato, con poche idee chiare. Ha saputo imporsi, stravincere, ricompattando un centrosinistra, che, senza il suo carisma, sarebbe ancora a leccarsi le ferite, probabilmente scottato da un’altra scelta approssimativa. Ha saputo affrontare il contropiede interno alla sua coalizione, ottenere un risultato senza ombre, che gli riconosce un successo netto e mai messo in discussione. È stato capace di essere principe incontrastato per ben due volte delle primarie, e di giungere sovrano alle secondarie, nonostante qualche franco tiratore avesse cercato di gufare il suo successo. E ha avuto la capacità di raccontare una regione, che raccoglie il sostegno e la simpatia di una fetta determinante di pugliesi.
Non c’è stato buio Fitto o disegno Palese, così come ha sottolineato lo stesso Vendola, in un suo spot elettorale, in grado di tenergli testa. I suoi avversari hanno spiegato come la sconfitta sia tutta colpa della Poli Bortone o della disattenzione dei pugliesi, che non avrebbero compreso lo stato grave in cui versa la Regione. Per un attimo, anche nel centrodestra, bisognerebbe recitare il mea culpa, rovesciare le carte in tavola: forse si può persino dare atto al popolo pugliese, di aver consapevolmente capito ed orientato la propria storia; del resto, il Pdl, che ha fatto del consenso elettorale, l’unico dogma di riferimento, proprio in virtù dei dati, dovrebbe obiettare poco, a meno che il consenso non valga solo quando si vince, mentre se si perde, le colpe sono da affibbiare agli elettori “disattenti”.
Ma c’è soprattutto un fattore che sta alla base di questo tracollo culturale del centrodestra pugliese, oltre che politico: l’inadeguatezza a cogliere quella “connessione sentimentale” che Vendola ha stabilito con il popolo pugliese, sottovalutandone la portata con sufficienza (e a tratti con arroganza), senza peraltro saperne scalfire l’immagine, ma anzi contribuendo sensibilmente a rafforzarla. La riflessione che andrebbe posta a tutto il centrodestra dovrebbe iniziare dall’analisi della propria effettiva abilità a veicolare il messaggio (non in campagna elettorale), nei cinque anni di opposizione, di un’esperienza evidentemente ritenuta fallimentare: gli improbabili slogan sulle chiacchiere hanno rappresentato spesso considerazioni tautologiche, che non hanno pescato nell’elettorato. Il peso politico che Vendola, invece, oggi inizia ad assumere rimanda ad un altro grande profilo pugliese: quello di Aldo Moro. Nel centrodestra, oggi manca una figura in grado di ritrovare la “connessione sentimentale” col proprio popolo, che il politico magliese, ucciso dalle Br, aveva.
C’è un’altra spiegazione logica: Vendola ha incarnato il risveglio della partecipazione del centrosinistra pugliese, grazie soprattutto ad uno strumento, quello delle primarie, che hanno sbattuto via ogni autoreferenzialità della politica. Nel centrodestra, quel passo non si è voluto affrontare, demandando le primarie direttamente sul terreno elettorale, per rinnovare l’ormai eterna e stucchevole partita tutta interna contro gli ex alleati e giustificando la designazione di Palese come la scelta partecipata di tutti i consiglieri moderati della Regione Puglia, come se fosse sintomo di partecipazione e non simbolo di una decisione di un’oligarchia politica.
Nella vittoria di Vendola, l’anomalia di un nuovo “laboratorio politico”, non costruito a tavolino dai partiti, ma dalle facce della gente comune, che, in questa campagna elettorale, hanno affollato i suoi comizi, pur senza pullman prenotati, passa dalla sfida del governo e di una gestione amministrativa, premiata dai pugliesi. Ora si riparte, con l’obiettivo ambizioso di dare risposte importanti sul lavoro e di rendere la Puglia una regione “deprecarizzata”, fuori da quell’immagine “livida e rancorosa”, che starebbe comoda a qualcuno. Con una Puglia all’avanguardia e controcorrente nelle sue scelte, al contrario di quella idea reazionaria e conservatrice che gli è stata appioppata nel tempo. Insomma, la poesia è palesemente nei fatti. Mauro Bortone
www.lecceprima.it
Un uragano, una forza della natura capace di sbaragliare il mero calcolo politico, per difendere un sogno utile: Nichi Vendola ha vinto ancora l’ennesima battaglia, da leader inusuale di una sinistra, troppo frequentemente orfana di se stessa, di un contatto vero con la propria gente e dentro l’ennesimo tracollo di un Pd, che da Nord a Sud, dalle urne, non riscuote il montepremi sperato, ma prende ancora paga, in molte zone strategiche. Il Sud vira a destra, con Campania e Calabria che cambiano colore. La Puglia, no: resta l’anomalia, ad immagine e somiglianza di chi quella sua diversità l’ha trasformata in ricchezza vincente. Proprio la terra, per anni ritenuta a ragione l’Emilia Romagna proprio della destra, una sorta di feudo inviolabile, regala il bis di una storia inedita, che racconta di un Mezzogiorno, persino diverso da quello che i più vorrebbero rappresentare.
E c’è una Puglia migliore, nell’evidenza del riscatto sociale di una regione, che si riconosce in un proprio figlio, nella sua storia, che lo prende a cuore e gli riconsegna il compito di condurla nel prossimo quinquennio. Vendola esce intatto, più forte, dall’ulteriore cerchio di fuoco congeniato, per fare di lui la legna da forno, ridimensionare la sua leadership, ripensare un altro destino: il governatore, venuto da Terlizzi, ha saputo rimettersi in gioco, quando c’era chi lo riteneva la logica fine di una trama politica, che avrebbe dovuto prevedere l’allargamento di una coalizione ad uno scudo crociato, con poche idee chiare. Ha saputo imporsi, stravincere, ricompattando un centrosinistra, che, senza il suo carisma, sarebbe ancora a leccarsi le ferite, probabilmente scottato da un’altra scelta approssimativa. Ha saputo affrontare il contropiede interno alla sua coalizione, ottenere un risultato senza ombre, che gli riconosce un successo netto e mai messo in discussione. È stato capace di essere principe incontrastato per ben due volte delle primarie, e di giungere sovrano alle secondarie, nonostante qualche franco tiratore avesse cercato di gufare il suo successo. E ha avuto la capacità di raccontare una regione, che raccoglie il sostegno e la simpatia di una fetta determinante di pugliesi.
Non c’è stato buio Fitto o disegno Palese, così come ha sottolineato lo stesso Vendola, in un suo spot elettorale, in grado di tenergli testa. I suoi avversari hanno spiegato come la sconfitta sia tutta colpa della Poli Bortone o della disattenzione dei pugliesi, che non avrebbero compreso lo stato grave in cui versa la Regione. Per un attimo, anche nel centrodestra, bisognerebbe recitare il mea culpa, rovesciare le carte in tavola: forse si può persino dare atto al popolo pugliese, di aver consapevolmente capito ed orientato la propria storia; del resto, il Pdl, che ha fatto del consenso elettorale, l’unico dogma di riferimento, proprio in virtù dei dati, dovrebbe obiettare poco, a meno che il consenso non valga solo quando si vince, mentre se si perde, le colpe sono da affibbiare agli elettori “disattenti”.
Ma c’è soprattutto un fattore che sta alla base di questo tracollo culturale del centrodestra pugliese, oltre che politico: l’inadeguatezza a cogliere quella “connessione sentimentale” che Vendola ha stabilito con il popolo pugliese, sottovalutandone la portata con sufficienza (e a tratti con arroganza), senza peraltro saperne scalfire l’immagine, ma anzi contribuendo sensibilmente a rafforzarla. La riflessione che andrebbe posta a tutto il centrodestra dovrebbe iniziare dall’analisi della propria effettiva abilità a veicolare il messaggio (non in campagna elettorale), nei cinque anni di opposizione, di un’esperienza evidentemente ritenuta fallimentare: gli improbabili slogan sulle chiacchiere hanno rappresentato spesso considerazioni tautologiche, che non hanno pescato nell’elettorato. Il peso politico che Vendola, invece, oggi inizia ad assumere rimanda ad un altro grande profilo pugliese: quello di Aldo Moro. Nel centrodestra, oggi manca una figura in grado di ritrovare la “connessione sentimentale” col proprio popolo, che il politico magliese, ucciso dalle Br, aveva.
C’è un’altra spiegazione logica: Vendola ha incarnato il risveglio della partecipazione del centrosinistra pugliese, grazie soprattutto ad uno strumento, quello delle primarie, che hanno sbattuto via ogni autoreferenzialità della politica. Nel centrodestra, quel passo non si è voluto affrontare, demandando le primarie direttamente sul terreno elettorale, per rinnovare l’ormai eterna e stucchevole partita tutta interna contro gli ex alleati e giustificando la designazione di Palese come la scelta partecipata di tutti i consiglieri moderati della Regione Puglia, come se fosse sintomo di partecipazione e non simbolo di una decisione di un’oligarchia politica.
Nella vittoria di Vendola, l’anomalia di un nuovo “laboratorio politico”, non costruito a tavolino dai partiti, ma dalle facce della gente comune, che, in questa campagna elettorale, hanno affollato i suoi comizi, pur senza pullman prenotati, passa dalla sfida del governo e di una gestione amministrativa, premiata dai pugliesi. Ora si riparte, con l’obiettivo ambizioso di dare risposte importanti sul lavoro e di rendere la Puglia una regione “deprecarizzata”, fuori da quell’immagine “livida e rancorosa”, che starebbe comoda a qualcuno. Con una Puglia all’avanguardia e controcorrente nelle sue scelte, al contrario di quella idea reazionaria e conservatrice che gli è stata appioppata nel tempo. Insomma, la poesia è palesemente nei fatti. Mauro Bortone
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