venerdì 28 agosto 2009

VIENI CON NOI - INIZIATIVA PROMOSSA DAL GRUPPO MELISSANESE "VOLONTARI MADONNA DI FATIMA"



13 Settembre 2009
PELLEGRINAGGIO A SAN PIO
E A MONTE SANT’ANGELO

Visita a San Giovanni Rotondo della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, della cella del Santo, della cripta e della teca contenente le spoglie di San Pio.
Via crucis di gruppo sulle pendici del monte Castellano.
Visita del nuovo Santuario di Padre Pio, progettato da Renzo Piano.
Visita al Santuario di San Michele Arcangelo e all’antica grotta in cui, secondo la tradizione, l’Arcangelo Michele apparve per ben tre volte al Vescovo di Siponto.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE - 23,00 Euro.
RITROVO PER LA PARTENZA
- Sabato 12 Settembre 2009, ore 22.30 in via Generale Dalla Chiesa, nei pressi della Cappella dedicata alla Madonna di Fatima, alle spalle della chiesa di Gesù Redentore, zona 167 di Melissano.
RIENTRO
- Domenica 13 Settembre 2009, in tarda serata.
PRENOTAZIONI
- Fino a completamento pullman. All’atto di prenotazione occorre versare un acconto di 10,00 Euro per ogni partecipante.
CONTATTI ED INFO
- 340/5309167 (Luciano Scarcella) & 340/4593806 (Stefano Scarcella).

lunedì 24 agosto 2009

ARRIVA LA FESTA DEL PROTETTORE. E LA TASSA SULLA SPAZZATURA, AUMENTATA DEL 20% PER IL 2009 DAL SINDACO ROBERTO FALCONIERI E DALLA SUA AMMINISTRAZIONE

ED ORA ANDATEVENE!

A MELISSANO E' STATA POLITICIZZATA ANCHE LA SOLIDARIETA' (QUARTA ED ULTIMA PARTE)


MICA E' LA STESSA COSA?!!?
PER IL SINDACO DI MELISSANO,
ROBERTO FALCONIERO,
E' LA STESSA COSA.
ADOTTANDO UN SOLO CRITERIO:
SOLIDARIETA' DI SERIE A
(OVVIAMENTE LA SUA,
STRUMENTALIZZATA,
VERSIONE POLITIK)
SOLIDARIETA' DI SERIE B
(QUELLA DEGLI ALTRI
SUOI AVVERSARI
CHE TEME SEMPRE PIU')

A MELISSANO E' STATA POLITICIZZATA ANCHE LA SOLIDARIETA' (TERZA PARTE)

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IL SINDACO
HA RISPOSTO PICCHE
METTENDO I BASTONI
FRA LE RUOTE
"... le due manifestazioni si svolgono
a pochi giorni di distanza..."
E CHE SIGNIFICA
CHE I CARTELLONI ESTIVI
PROPOSTI DAGLI ALTRI COMUNI
NON FUNZIONANO
PERCHE' LE INIZIATIVE
SONO PROGRAMMATE
OGNI DUE-TRE GIORNI
DEL MESE DI AGOSTO?
"...le due manifestazioni
sono molto simili..."
TI RENDI CONTO
DELLE SCIOCCHEZZE DETTE?
CI 'MME CENTRA A PIZZICA
'CU LI CANTI NAPULETANI!!!
NON PRENDIAMOCI IN GIRO:
HAI POLITICIZZATO
FINANCHE LA SOLIDARIETA'
PREFERENDO DI FARE
IL GELATAIO
"SOTTO IL GONFALONE"
SOLO PER UNA SERA!!!
SOLIDALE SI'
MA COME IN TUTTE LE TUE COSE...
...DI SOLA FACCIATA!!!
(vedi pitturazione Scuole Medie)
VIVA LA SOLIDARITA'
MA NON QUELLA 'ZZOZZA!!!

A MELISSANO E' STATA POLITICIZZATA ANCHE LA SOLIDARIETA' (SECONDA PARTE)

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RICORDATE
L'INIZIATIVA PROPOSTA
AL SINDACO DI MELISSANO,
IDEATA DAL GRUPPO LOCALE
"NO POVERTY"
IN COLLABORAZIONE CON
"MELISSANO PENSIERI LIBERI"?

A MELISSANO E' STATA POLITICIZZATA ANCHE LA SOLIDARIETA' (PRIMA PARTE)



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RICORDATE
LA BELLISSIMA INIZIATIVA
DEL SINDACO FALCONIERI
E DELL'AMMINISTRAZIONE COMUNALE?

L'ALTRA OMELIA (1) - LA VITA: IL TUTTO NEL FRAMMENTO

XXI Domenica del Tempo Ordinario
23 agosto 2009
di padre Angelo del Favero
21 agosto 2009
Tratto da ZENIT.org
“Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?'. Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima? E’ lo Spirito che da’ la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono'. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: 'Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre'. Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: 'Volete andarvene anche voi?'. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio'. Gesù riprese: 'Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!'. Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici” (Gv 6,60-71).
Il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, di cui abbiamo ascoltato oggi la conclusione, inizia col racconto del segno della automoltiplicazione di cinque pani e due pesci dentro un cesto distribuito alla mensa di cinquemila uomini (senza contare le donne e i bambini): un segno clamoroso che fa pensare a quello annunciato sette secoli prima dal profeta Isaia: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Il Dio-con-noi annunciato non poteva offrirci una comunione con Lui più piena e perfetta dell’Eucaristia: è l’unione inseparabile ed insuperabile di Dio con noi.
Per la Scrittura il segno è una freccia puntata che invita a proseguire, indica una meta da raggiungere, suggerisce un compimento, impegna a trovare la giusta diagnosi, come un sintomo in medicina. Il grande segno dei pani moltiplicati nel cesto orienta verso qualcosa di materialmente “piccolissimo”, poichè punta dritto dritto al “cesto” del grembo di Maria, dove il Figlio di Dio si è fatto carne umana e sangue umano, Pane vivo per noi (un “per” che significa dono vitale): perché noi lo mangiassimo per vivere.
Sì, Pane divino-umano vivo: prima un minutissimo “Pane unicellulare” (il diametro del corpo umano alla fecondazione è circa 500 volte minore rispetto all’Ostia di pane consacrata tra le mani del sacerdote), già pieno di vita, poi il medesimo Pane che, “lievitando”, diventa corpo di due, quattro, otto, sedici,..milioni di cellule, poi miriadi di miliardi, sempre rimanendo un unico Pane vivo destinato a saziare la fame di vita di tutta l’umanità, per tutti i secoli dei secoli.
E’ questa la precomprensione con la quale suggerisco di rileggere per intero i 71 versetti di Gv 6, affinchè queste Parole divine, lungi dall’indurirsi nell’impatto con il timpano della nostra intelligenza, possano permearla con quello stesso Spirito che fecondò la Vergine. Riflettiamo: dall’istante dell’Incarnazione di Gesù fino al parto, Maria ha ininterrottamente “mangiato” la carne e “bevuto” il sangue del suo figlio divino.
Cosa significa questo linguaggio volutamente…duro? Significa che, in quanto madre, Ella ha goduto un rapporto di comunione con Gesù, tanto diversa rispetto a quella che si può avere a tu per tu con una persona, quanto lo è un rapporto di assimilazione rispetto ad un contatto esterno. Per nove mesi in Maria è avvenuta una trasfusione continua della Vita eterna di Dio nella sua vita di donna. Sta in questa intima e trasformante comunione d’amore il significato delle parole del Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54).
Ecco come e perché l’Eucaristia ci conforma a Cristo, mentre va “formando” in noi il suo modo di pensare e di sentire, al punto da poter esclamare con gioia stupefatta: “non vivo più io, ma Cristo è la mia vita!” (Gal 2,20). Non si tratta di sostituzione di persona, ma di comunione di innamorati, in cui l’Amato è anche l’Amante, poiché è l’Amore che fa amare.
Allo stupore incantato degli Israeliti davanti alla manna che ricopriva il deserto (Es 16,15: “Che cos’è?”) si oppone, nel Vangelo, lo stupore infastidito di alcuni discepoli di Gesù: “Questa parola è dura! chi può ascoltarla?” (Gv 6, 60). Per essi fu davvero uno shock, anzitutto per il contenuto del discorso (un pasto a base di carne e sangue umano!), poi per il modo incalzante di ribadirlo. Infatti, nonostante l’evidente, prevedibilissimo scandalo dei presenti, Gesù per ben sei volte insiste sulla necessità di (alla lettera) “masticare” la sua carne, e quattro volte quella di bere il suo sangue. Un discorso francamente raccapricciante.
Parole dure anche per noi, oggi, se solo ci fermiamo a riflettere. A prenderle realmente sembrano pura follia! Eppure la Chiesa dichiara che l’Eucaristia è realmente il corpo del Signore, ed il credente ne è certissimo per l’unico motivo che ad affermarlo inequivocabilmente è stato (ed è ogni giorno nella persona del sacerdote) il Signore Gesù: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. Questo è il calice del mio sangue..”.
Commenta una grande mistica del XX secolo: “Essi avrebbero ascoltato più volentieri un insegnamento che fosse sceso ai particolari, che si fosse occupato del miglioramento dei loro difetti, della cancellazione dei loro peccati..Giorno dopo giorno avrebbero registrato volentieri un piccolo progresso, imparato qualcosa di nuovo al riguardo, un qualcosa di accuratamente suddiviso secondo le loro attitudini e capacità. Allora la sua parola non avrebbe avuto bisogno di alcuna interpretazione; ognuno di essi l’avrebbe seguita alla lettera, tutti secondo la medesima scuola, in cui si sarebbero consultati e confrontati a vicenda. E invece al posto di ciò solo e sempre la medesima direttiva: mangiate la mia carne. Cioè: amatemi!
In quest’unica frase - (“chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”) - vengono poste le esigenze più alte, che vanno molto al di là di quanto essi riescono ad immaginarsi. In essa è anzitutto contenuta la somma dell’amore del Signore, l’immensità di quest’amore, l’eternità di questo amore. Tutto ciò è così sterminato, così unitario ed incondizionato, contiene in sé un amore così sublime ed esigenze così enormi, che il tutto appare assolutamente impraticabile ai discepoli.
Non riescono a spiegarsi come mai il Signore cominci proprio col tutto.
In questo incipiente riconoscimento della loro insufficienza..si limitano a domandarsi l’un l’altro: chi può? Non si tratta di una disperazione nei confronti del Signore, ma del disorientamento di colui che spiritualmente affaticato e non tiene il passo” (A. von Speyr, “I discorsi polemici”, Esposizione contemplativa del Vangelo di San Giovanni, p. 66-68).
Quando si afferma la verità scientifica che l’essere umano comincia al concepimento, la verità che qui è già un uomo colui che lo sarà, la verità che in questo istante l’essere umano è già un corpo, la verità che da questo momento l’essere umano è già interamente persona creata “a immagine e somiglianza di Dio” per un progetto di eterna felicità, molti di quelli che ascoltano rimangono disorientati e persino scandalizzati. Un simile discorso, in effetti, è “duro” da accettare psicologicamente: come può quel microscopico frammento di vita umana meritare il valore, la dignità, il rispetto totale dovuto ad una persona che posso abbracciare e baciare? Ma l’obiezione intransigente indica la resistenza colpevole a riconoscere che l’essere umano comincia proprio col tutto.
E il motivo ultimo, a mio parere, non è di ordine intellettuale, ma spirituale. Non basta, infatti, la necessaria ma non da sola sufficiente conoscenza scientifica per comprendere ed accogliere tutta intera la verità della vita umana, essendo tale verità trascendente.
Trascendente non vuol dire nascosta tra le nuvole, ma ragionevole e soprannaturale, nascosta nel senso rivelato da Gesù duemila anni fa: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Questi piccoli sono proprio coloro che non si scandalizzano, nella semplicità della loro fede, di mangiare la Carne e di bere il Sangue di Cristo. Essi non possono spiegare il mistero dell’Eucaristia, ma lo conoscono per esperienza. Sono assolutamente certi che l’Eucaristia è Gesù, Vita divina realmente e totalmente presente anche in un solo frammento dell’Ostia consacrata.
Ascoltiamo, in conclusione le parole di un grande e “piccolo” sapiente, cardinale, padre spirituale della von Speyr: “Dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo per scorgere, nella frammentarietà della nostra esistenza, una tensione verso l’Intero? Ogni frammento di un pezzo di ceramica suggerisce la totalità del vaso, ogni “torso” di marmo viene visto nella luce dell’intera statua. Sarà la nostra esistenza a costituire un’eccezione? Ci lasceremo persuadere forse che quello stesso frammento che è la nostra esistenza costituisce l’intero? Ma se noi facessimo questo, non avremmo forse abbandonato l’idea di trovare un senso alla frammentarietà stessa, rassegnandoci al non-senso? E’ così che noi ci interroghiamo su noi stessi, e in questo domandare siamo convinti di essere di più di una semplice domanda. Noi pensiamo che Qualcuno dovrebbe sapere con certezza. E pensiamo che Egli possa rispondere alla domanda su noi stessi” (H.U. von Balthasar, “Il tutto nel frammento”, pp. XXIII-XXIV).
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - IL LIBERALISMO HA IN COMUNE QUALCOSA CON IL CRISTIANESIMO (44.ESIMA ED ULTIMA PARTE)

44.ESIMA - ULTIMA PARTE
Il prof. Quagliarello
in un convegno a Roma
sull'enciclica “Caritas in veritate”

30 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org

In questo equilibrio va ricercata la differenza implicita tra individualismo e centralità della persona. L'individualismo presuppone la ricerca di un allargamento della sfera dell'autodeterminazione personale che prescinde da ogni fondamento, dalla considerazione degli altri e persino dai dati stessi della realtà inevitabilmente intrisi di una tradizione che si può certo criticare e innovare ma non ignorare. La centralità della persona, al contrario, presuppone la responsabilità nei confronti degli altri e in particolare nei confronti delle comunità all'interno delle quali la vicenda umana si inserisce. Tale relazione, in ogni caso, non cancella l'autonomia dell'individuo - come invece nella comunità proposta dai totalitarismi del XX secolo - perché “il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto”.
E' sulla base di questa analisi delle novità introdotte dal XXI secolo che vanno letti i brani dell'enciclica specificamente riferiti al sistema di libero mercato. Innanzitutto vi si afferma il nesso inscindibile tra libertà economica e sviluppo umano: “Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata”. Quando il progresso non si ideologizza, scadendo in progressismo, esso racchiude la possibilità di un maggior benessere diffuso e, per questo, va ricercato con fiducia. Da qui, il definitivo “sdoganamento” del profitto: esso non è il fine assoluto del processo economico, ma ne è comunque un elemento inevitabile; non può dunque considerarsi lo sterco del diavolo, ma è bene che venga temperato dal ruolo della carità che implica il dono e la gratuità. Tale compito spetta alle singole persone, ed è per questo ben diverso dal tentativo di raggiungere la giustizia sociale imbrigliando il profitto all'interno di una organizzazione statuale che di fatto giunga a negarlo.
Vi è nell'enciclica, insomma, la consapevolezza che il mercato non è un luogo selvaggio: ha delle regole sulle quali si può agire. Da qui, la volontà di rispettarne la logica di fondo, ma anche di condizionarne il funzionamento, affinché la centralità della persona possa affermarsi in tutte le sue fasi. Si cerca insomma di agire sui presupposti del processo economico per stabilire la centralità della persona, abbandonando la spasmodica ricerca di una tanto ideologica quanto utopistica uguaglianza sociale assoluta che stabilisca un'astratta perfezione. Anche per questo, in Caritas in veritate la povertà viene trattata come un'opportunità di sviluppo, anziché essere cristallizzata come il risultato di un meccanismo iniquo. E, in particolare nelle parti consacrate alla cooperazione internazionale, vi è un chiaro rigetto dell'assistenzialismo.
Questo tentativo di influenzare le regole del mercato in tutte le diverse fasi del suo ciclo porta da una parte a sollecitare una positiva e progressiva contaminazione tra i diversi tipi di impresa, senza erigere muri e barriere tra profit e non profit. E' evidente che le diversità strutturali fra le imprese non possono annullarsi, ma esse - secondo la Caritas in veritate - devono sempre più integrarsi e scolorirsi. Così come - cosa ancora più importante - questa enciclica crea integrazione anche tra l'agire economico e l'agire politico. Viene meno insomma quella distinzione che a lungo ha legittimato l'intervento politico del cosiddetto riformatore cattolico. In Caritas in veritate non c'è più un “prima” e un “dopo”: non c'è il processo capitalistico che provoca ingiustizie e il riformatore cattolico che successivamente deve agire per mettervi riparo. E, conseguentemente, viene meno il ruolo dello Stato come grande distributore di equità. L'equità possibile, il rispetto per la persona, la capacità di sfuggire ai corporativismi che per Benedetto XVI hanno preso eccessivo spazio nel mondo sindacale, devono essere ricercati fin dalla definizione del mercato come luogo di incontro, di reciproca fiducia, di vantaggiosa commutazione. A questo deve tendere l'operato del politico ispirato dai principi cristiani. Ed è in questo compito di regolatore sulla base del primato della persona che lo Stato ritrova una sua funzione, anche a dispetto del mito dell'autonomia contrattuale come sinonimo di libertà personale.
Infine, a fronte di questa nuova impostazione del confronto con il mercato, in controtendenza può segnalarsi l'auspicata costituzione di un'autorità politica mondiale per il governo dei problemi globali. In teoria, tale concentrazione di potere si pone in contraddizione con il principio di sussidiarietà più volte richiamato dalla stessa enciclica. In pratica poi, la proposta potrebbe risolversi in un rafforzamento del potere dell'Organizzazione delle Nazioni Unite alla quale, pure, l'enciclica non lesina delle critiche. Ma se la richiesta di tale autorità implica, più pragmaticamente, un adeguamento del sistema dei controlli per evitare una degenerazione della finanza prodotta anche dalle politiche interventiste degli Stati nazionali, evidentemente la contraddizione si attenua e diviene il prezzo che ogni liberale deve esser pronto a pagare di fronte a ciò che nel mondo è accaduto a causa dello sviluppo dopato che, a partire dall'amministrazione Clinton, è stato provocato dalla politica americana sui mutui per sostenere il mercato abitativo.
Insomma, se il liberalismo ha in comune qualcosa con il cristianesimo, questo è innanzitutto il saper non mettere la testa sotto la sabbia al cospetto delle storture del mondo, il cercare soluzione non ideologiche per risolvere i problemi, il saper correggere la rotta pur rispettando una linea di sostanziale continuità. Ed è proprio lungo questa strada che l'enciclica Caritas in Veritate fissa un proficuo punto di incontro.
(Seconda ed Ultima Parte)

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - UNA GLOBALIZZAZIONE IN EQUILIBRIO TRA LIBERTA' E RESPONSABILITA' (43.ESIMA PARTE)

Il prof. Quagliarello
in un convegno a Roma
sull'enciclica “Caritas in veritate”
30 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org
Ecco il discorso pronunciato dal prof. Gaetano Quagliarello, presidente della Fondazione Magna Charta, in occasione del convegno sul tema “Oltre l’ideologia della crisi”, organizzato a Roma dalla Fondazione Magna Charta (www.magna-carta.it) il 21 luglio scorso.
In un'enciclica, sempre, vi sono aspetti eterogenei che derivano dalla vastità di orizzonti, sia tematici che geografici, della missione della Chiesa. E' impossibile dunque esprimere un'assoluta convergenza, così come un completo e radicale rifiuto. Ogni enciclica, però, ha un suo centro ordinatore che la caratterizza, la mette in relazione con i precedenti documenti della medesima natura e le assegna una specifica cifra culturale, sia rispetto al momento contingente che alla più complessiva storia dell'umanità.
Caritas in veritate non sfugge a questa lettura. Non vi è dubbio che, di fronte alla più grande crisi economico-finanziaria dal 1929 a oggi, l'enciclica rappresenti una chiave di lettura del rapporto tra cristianesimo e capitalismo, non a caso da lungo tempo attesa. L'argomento, d'altra parte, non può essere ridotto a un tema di stretta attualità: esso, più o meno direttamente, attraversa la riflessione dei padri dell'economia classica, dalle maggiori aperture che si incontrano in Adam Smith e nella sua concezione del mercato come luogo che sa suscitare solidarietà e fiducia, alle chiusure di Mandeville e della sua Favola delle api; dalle radicali affermazioni di incompatibilità tra i due sistemi di pensiero che si incontrano nelle pagine di Socialismo di Von Mises, alle convincenti analisi etimologiche che le smentiscono di Angelo Tosato.
Al cospetto della crisi e della sua durezza, in molti avrebbero auspicato una enciclica di rinnovata condanna nei confronti del modello capitalistico, e di rilancio di quelle letture della dottrina sociale della Chiesa di stampo pauperistico o, quantomeno, scettiche nei confronti dello sviluppo e delle sue potenzialità. Costoro sono rimasti delusi. Il testo di Benedetto XVI, infatti, non solo rigetta qualsiasi critica radicale del capitalismo, ma realizza una conciliazione tra il cristianesimo e i principi dell'economia classica ancora più profonda e più “resistente” di quella che si incontra nelle encicliche a sfondo sociale del suo predecessore: la Sollicitudo rei socialis e la Centesimus annus. In Caritas in veritate, a ben vedere, i motivi di critica del sistema capitalistico, che pure non mancano, rispondono a una logica interna propria di chi quel sistema non solo lo ha accettato ma ha anche operato uno sforzo serio per comprenderlo al fine di migliorarlo.
L'analisi è inserita in una cornice epocale che Benedetto XVI ricostruisce stabilendo una continuità e una rottura. La continuità, assicurata dal principio che lui stesso definisce di fedeltà dinamica, è quella con la Populorum progressio di Paolo VI. Vi sono alcune ragioni tematiche per affermare questa congiunzione. Ma vi è soprattutto una più profonda ragione analitica che attraversa l'intero pontificato di Benedetto XVI. Paolo VI, infatti, è il Papa del Concilio. E Benedetto XVI, richiamandolo, vuole per l'appunto riaffermare come il Vaticano II non costituisca affatto quel momento di svolta e di rottura a lungo accreditato dalle correnti cattoliche cosiddette “sociali”, ma che, nella storia della Chiesa, vi sia una continuità più profonda che assorbe anche la lettura e l'interpretazione del Concilio. Non a caso, quasi ad ogni riferimento alla Populorum progressio ne corrisponde uno che richiama la Rerum novarum di Leone XIII.
A fronte di tale continuità interna alla Chiesa, l'enciclica coglie in profondità le conseguenze di lungo periodo che sono derivate dalla rottura dell'ordine bipolare: conseguenze che in realtà solo oggi, dopo vent'anni, stanno sedimentando i loro effetti consentendo analisi non più meramente impressionistiche. In questo documento, vi è una considerazione affatto pregiudiziale del cosiddetto fenomeno di globalizzazione, assunto come occasione da governare, in particolare per una riprogettazione dello sviluppo mondiale, che fin qui solo in piccola parte è stata colta. Certo la globalizzazione - come ci ricorda il Pontefice - presenta grandi difficoltà e pericoli, di fronte ai quali però la risposta non può e non deve essere il ritorno a forme di controllo statalista e di chiusura autarchica. Occorre piuttosto “prendere coscienza di quell'anima antropologica ed etica che spinge la globalizzazione stessa verso traguardi di umanizzazione solidale”.
Ed è proprio sulla base di tali osservazioni che nell'enciclica si ritrova anche una riconsiderazione del ruolo degli Stati, ai quali circa quarant'anni fa la Populorum progressio assegnava ancora compiti centrali e che ora - si ammette in Caritas in veritate - non sono più in grado di fissare le priorità dell'economia né di governarne l'andamento. Da qui discendono analisi oggettive ed equilibrate sull'inevitabile ridimensionamento delle reti di sicurezza sociale, nonché sulle opportunità e i rischi legati a una più marcata mobilità lavorativa, conseguenza diretta del processo di globalizzazione. E tutto ciò, come si vedrà, senza indulgere verso frettolose e unilaterali “liquidazioni” dello Stato contemporaneo e del suo ruolo.
Questo nuovo contesto epocale, per essere affrontato, nella sfera economico-sociale così come nel più ampio ambito delle relazioni umane, porta il Pontefice a sottolineare con ancor più forza rispetto al passato il nesso necessario tra la libertà dell'uomo e la sua responsabilità. Il tema è proposto in numerosissimi punti dell'enciclica: ancor più che dalla legge, la libertà che si può esercitare nella complessità del nuovo ordine mondiale deve essere temperata, aiutata, esaltata dalla responsabilità. E questo atteggiamento porta con sé il rifiuto di una spasmodica ricerca d'ampliamento della sfera dei diritti, i quali - ribadisce Benedetto XVI - valgono laddove trovano dei corrispondenti doveri.
(Prima Parte)

sabato 22 agosto 2009

MELISSANO E IL SUO SANTO PATRONO (DI FERNANDO SCOZZI)

Il rapporto dei melissanesi con S. Antonio di Padova non è caratterizzato da avvenimenti straordinari, ma da una devozione costante e filiale nel corso dei secoli.
Non si conoscono le motivazioni che portarono i nostri Padri ad individuare nel Santo dei miracoli il Protettore del casale Melissano, ma è certo che la scelta del nuovo Patrono (in sostituzione di San Pietro) risale ai primi anni del XVII secolo, periodo dell’apertura al culto dell’antica chiesa parrocchiale. Fin dal 1618, infatti, il Comune vi aveva fatto edificare l’altare di S. Antonio, sul quale si venerava un dipinto del Santo commissionato da Jacopo De Franchis, marchese di Taviano ed “utile signore” di Melissano. E’ probabile, quindi, che la scelta del Patrono dei melissanesi sia dovuta proprio ai De Franchis, così devoti a S. Antonio da fondare a Taviano l’omonimo convento.
Comunque, la prima attestazione ufficiale del patronato risale al 1719; in quell’anno, il vescovo di Nardò, mons. Antonio Sanfelice “dopo essere stato ricevuto dal clero e da una numerosa folla, entrò nella chiesa parrocchiale intitolata a S. Antonio di Padova, Confessore e Patrono principale di Melissano”. E sempre lo stesso vescovo, nella visita pastorale tenuta l’anno successivo, “visitò la nuova statua di S. Antonio, con sacra reliquia”. L’effige venerata dai melissanesi nella chiesa parrocchiale risale, quindi, al 1720.
Dagli atti del Comune di Taviano (cui Melissano fu aggregata nel 1806) risulta che il Municipio offriva quattro ducati annui per solennizzare la festa patronale che, fin da quel periodo, si teneva la prima domenica di settembre, in coincidenza con il ritorno dei contadini dalla Basilicata.
Dal 1877, in occasione della festa, fu istituita una fiera a supporto di una economia in forte espansione per lo straordinario sviluppo della viticoltura e proprio in quegli anni si edificava la nuova chiesa parrocchiale che, in continuazione ideale con l’antica matrice, fu dedicata anche a S. Antonio di Padova, il cui altare presenta un espressivo dipinto del Patrono cui appare Gesù Bambino, opera del pittore leccese Luigi Scorrano.
La devozione per il Santo dei miracoli è attestata anche dagli ex-voto (con i quali si è costituito un piccolo tesoro) dalle edicole sacre, le immagini a stampa presenti fra le mura domestiche, i santini, le statuette, le pubblicazioni; tutto contribuisce a legare la Comunità a S. Antonio di Padova, Patrono di Melissano.

CHI CERCA CONFERME LE TROVA SEMPRE (Kerl Raimund Popper)

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - IL LEGAME TRA LO SVILUPPO DEI POPOLI E LA PROMOZIONE UMANA (42.ESIMA PARTE)

Intervento di Bonanni
al Convegno dal titolo
“Oltre l’ideologia della crisi”
30 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org
Ecco il discorso pronunciato dal segretario generale della CISL (il principale sindacato cattolico italiano) Raffaele Bonanni, in occasione del convegno sul tema “Oltre l’ideologia della crisi”, organizzato a Roma dalla Fondazione Magna Charta (www.magna-carta.it) il 21 luglio scorso.
Ci chiama tutti ad una maggiore responsabilità la lettera Enciclica “Caritas in Veritate” del Pontefice Benedetto XVI. Essa rappresenta una speranza, un ancoraggio, un punto di riferimento per tutte le forme associative del mondo del lavoro, che come la Cisl sono impegnate quotidianamente nella vita economica e sociale del nostro paese. Siamo nel pieno della più grave crisi economica che si ricordi. Un evento prodotto ed alimentato da una finanza senza controllo e senza regole che ha prodotto diseguaglianze sociali, povertà e disoccupazione in tutto il mondo. Tuttavia possiamo e dobbiamo ritrovare un nuovo equilibrio su basi alternative a quelle del passato. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e trovare nuove forme di impegno. A puntare “sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative”. Il mondo ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale attraverso la riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. Questo è il messaggio di fiducia e di speranza dell’Enciclica di Benedetto XVI, che ci indica con lucidità e chiarezza un percorso alternativo a quello del passato, ponendo al centro del vero sviluppo il “valore” essenziale della vita. Attraverso il dono della vita si realizzano la libertà dell’uomo e la giustizia sociale. Non è sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico. C’è un nesso fondamentale fra lo sviluppo dei popoli ed il tema della promozione umana. In tanti paesi del mondo non vengono rispettati i diritti umani dei lavoratori,gli aiuti internazionali vengono distolti dalle loro finalità. E’ cresciuta la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma sono aumentate le disparità. Eppure, come rileva Papa Benedetto XVI, “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è proprio l’uomo, la persona, nella sua integrità”. L’uomo è l’autore, il centro ed il fine di tutta la economica sociale. Lo sviluppo autentico è quello capace di promuovere ogni uomo. Negli ultimi anni, anche per effetto di una sorta di pensiero unico strisciante (suggerito da poteri forti quanto irresponsabili) abbiamo distrutto la voglia di progettare, di fare, di usare la mente ed il lavoro per creare qualcosa di davvero utile. Il declino della società moderna nasce anche da questa evidente patologia. Non è solo scaturito dal deteriorarsi del quadro economico. E’ prioritario, dunque, tornare ad uno sviluppo basato sulla produzione, su ciò che ogni popolo può dare di meglio, frutto della propria intelligenza,più che di un apparato di mercato etero diretto. Da qui, l’appello costante del Pontefice alle “responsabilità”. Governi, imprese, sindacati devono attivarsi concretamente per produrre beni e servizi innovativi, ecosostenibili, al riparo dalla speculazione finanziaria, ricchezze accessibili a tutti gli uomini, al di là delle distinzioni geografiche. Ma il punto cruciale è la riforma del sistema finanziario che deve essere rivisto in funzione di una crescita orientata al benessere sociale e non più all'arricchimento di pochi. Proprio per questo, nel prossimo autunno, in vista del G20 di Pitsburg, come sindacato ci impegneremo attivamente a far sì che il dibattito sui “Global legal standards” sia sempre più legato, come ricorda proprio il Pontefice, ad obiettivi di “Governance” della finanza globale, redistribuzione della ricchezza e delle risorse, riduzione delle povertà, salvaguardia del pianeta. E’ necessario cambiare il sistema capitalistico per un’economia civile e solidale che venga incontro alle esigenze di quanti sono in difficoltà, dei deboli e degli emarginati. Sono concetti universali, cari alla storia ed al ruolo di una organizzazione sindacale come la Cisl, che ha sempre messo al centro della sua attività i valori della solidarietà, della eguaglianza, della partecipazione dei lavoratori al bene comune. Ecco perché è davvero emozionante il riconoscimento che la nuova Enciclica esprime sul ruolo delle organizzazioni sindacali come “fattore decisivo dello sviluppo”, in Italia e nel mondo, che non devono chiudersi nel recinto corporativo o geografico, ma devono essere messe in condizione di difendere ovunque i diritti dei lavoratori per farsi carico dei nuovi problemi delle società. E sono altresì importanti per la Cisl, i richiami del Pontefice per un equo commercio internazionale, la necessità di una condivisione solidale delle risorse energetiche, un maggiore accesso all'educazione, il rispetto per gli immigrati, la lotta alla disoccupazione, la difesa della dignità del lavoro. L’Enciclica esalta la responsabilità, ma anche il potere del lavoratore. Egli non cerca solo di difendere la propria dignità e di guadagnarsi un salario, ma attraverso l’uso della sua libertà “dona” qualcosa in più che va ad arricchire non solo l’impresa quanto la società nel suo complesso. Facendo bene il proprio mestiere, si crea un “plusvalore sociale", in una dimensione cooperativa, di partecipazione e non di antagonismo. Questa è la strada per contribuire a realizzare quel nuovo “umanesimo del lavoro e della società” che il Papa indica con grande acume. Ma nell’Enciclica c’è soprattutto un richiamo forte alla responsabilità sociale dell’impresa. Uno dei rischi è che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investa e finisca così per ridurre la sua valenza sociale. Non possiamo lasciare tutte le decisioni ai manager ed agli azionisti di riferimento. Come ricordava anche Giovanni Paolo II, ”investire ha sempre un significato morale, oltre che economico”. Ed a tal proposito scrive il suo successore, Benedetto XVI: “La gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa”. Un passo ulteriore avanti. Dunque, bisogna riconoscere ai lavoratori un eguale protagonismo nelle scelte generali e particolari, in uno spirito di co-responsabilizzazione. Non solo puntando ad individuare adeguate procedure di decisione sui processi produttivi o sui servizi, ma garantendo la partecipazione dei lavoratori al capitale di rischio attraverso l’azionariato in forma collettiva. Con il modello partecipativo si registrerà un’efficace e solidale convergenza di interessi tra lavoratori ed imprenditori nel governo dell’impresa e negli indirizzi di riforma. Ci sarà una maggiore interazione tra dipendenti e datori di lavoro per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi Occorre costruire anche un nuovo welfare attivo. Questo è uno dei punti più moderni ed innovativi della nuova Enciclica. L’analisi sulla mobilità lavorativa, non certo stigmatizzata, impone a tutti una riflessione su un uso distorto delle flessibilità da parte delle imprese che ha prodotto negli ultimi anni un eccesso di precarietà e di “sprechi sociali”. Essere disoccupati o dipendere dai sussidi pubblici, rappresenta una grave perdita di libertà e di creatività, con forti sofferenze sul piano psicologico e morale. Per questo anche la Cisl, ha sempre cercato di stimolare, durante questa crisi, l’incentivazione di strumenti come i “contratti di solidarietà” che sono alternativi alla cassa integrazione perché di fatto lasciano il lavoratore nel proprio posto di lavoro, attraverso l’attivazione di corsi di riqualificazione ed una redistribuzione dell’orario e del salario. Il rischio da combattere oggi è la solitudine, il senso di frustrazione dell’uomo moderno, considerate dal Pontefice delle profonde “povertà”. Per questo oggi è necessario sviluppare e realizzare politiche sociali adeguate e costruire una fitta rete di ammortizzatori e di servizi sul territorio che vengano realmente incontro alle esigenze dei lavoratori e delle famiglie. Lo stesso sistema fiscale deve essere ricalibrato sul nucleo familiare e sulla tassazione dei consumi reali. Bisogna sostenere le migliaia di famiglie italiane che hanno una persona anziana o disabile di cui occuparsi. Si devono istituire assegni di assistenza specifici per la cura del familiare disabile o dell’anziano non autosufficiente. Si possono agevolare ancora di più il lavoro a tempo ridotto, in particolare i part-time lunghi, attraverso la fiscalizzazione degli oneri, per aiutare le madri lavoratrici. “Caritas in Veritate” ci ricorda costantemente che bisogna tenere in grande considerazione il “bene comune”. Ri-orientare l’economia al bene comune deve essere la missione ed il ruolo di tutte le istituzioni civili, politiche e sociali che convivono oggi in un mondo globalizzato. Per questo siamo molto grati al Pontefice Benedetto XVI per questa nuova Enciclica davvero tanto attesa, che la Cisl cercherà di fare vivere concretamente nei territori, nelle categorie, nel nostro lavoro quotidiano di sindacalisti, con l’obiettivo di rappresentare ed unire i vari interessi della società.

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - IL DOCUMENTO PAPALE NELL'ATTUALE DIBATTITO FILOSOFICO-SOCIALE (41.ESIMA PARTE)

Intervista al filosofo
Rodrigo Guerra López
Di Jaime Septién
22 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org
L’enciclica sociale di Benedetto XVI “Caritas in veritate” supera gli ambiti del sapere quali la politica, l’economia o le teorie sulla globalizzazione, per entrare pienamente nel dibattito filosofico-sociale contemporaneo, spiega un filosofo.
Per approfondire queste intuizioni contenute nel nuovo documento pontificio, ZENIT ha intervistato Rodrigo Guerra López, laureato in filosofia presso l’Accademia Internazionale del Principato del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia per la vita, e direttore del Centro de Investigación Social Avanzada (www.cisav.org).
Tra i suoi libri figurano “Volver a la persona” (Madrid 2002); “Católicos y políticos: una identidad en tensión” (Bogotá 2005) e “Como un gran movimiento” (México 2006). Recentemente è stato pubblicato il libro “Vida humana y aborto” (México 2009) di cui è coautore.
Come si colloca l’enciclica “Cartas in veritate” nel dibattito filosofico-sociale contemporaneo?
Rodrigo Guerra: La nuova enciclica del Papa non si propone di competere al pari delle analisi sociologiche sullo sviluppo nel contesto del mondo globalizzato. “Caritas in veritate” si inserisce invece nella discussione, sulla base della Dottrina sociale della Chiesa. Questo significa che la sapienza pratica nata dall’incontro con Cristo permette di formulare un giudizio sulle condizioni che rendono possibile lo sviluppo e sulle disfunzioni che l’attuale globalizzazione presenta.
Ampliando un poco i concetti, potremmo dire che Papa Benedetto XVI offre una “teoria critica della società”, ovvero una revisione di alcuni dei più importanti presupposti che sottendono l’attuale configurazione del mondo globale. A differenza delle altre “teorie critiche”, Benedetto XVI non colloca il nucleo della questione nella capacità dell’essere umano di auto-redimersi e di auto-emanciparsi.
Al contrario, la dimensione costitutiva del criterio di giudizio utilizzato dal Papa è dato da una precisa antropologia in cui ogni sostanza del “io” si riconosce come dono, come regalo, e pertanto come apertura relazionale verso il Fondamento, verso Dio che sostiene e che libera. In questo modo, Benedetto XVI insiste sul fatto che “l’uomo non si sviluppa con le sole proprie forze” (n. 11), ma ha bisogno di un orizzonte più ampio di quello a cui può accedere da solo. Un orizzonte in cui c’è Cristo, ovvero l’Avvenimento che ci precede.
Che rapporto c’è tra l’enciclica “Caritas in veritate” e il resto del Magistero di Benedetto XVI?
Rodrigo Guerra: “Caritas in veritate” poggia proprio sul riconoscimento del Cristianesimo come “Avvenimento” e per questo possiede un legame strutturale con “Deus caritas est”, con “Spe salvi” e in generale con la già millenaria tradizione ecclesiale che riconosce l’assoluta novità dell’irruzione e permanenza di Cristo nella storia. In questo modo, la nuova enciclica fa continuamente riferimento all’importanza del “dilatare l’orizzonte della ragione”, perché senza riduzionismi possiamo aprirci alla verità in generale e quindi anche alla Verità incarnata.
In questo senso, “Caritas in veritate” non è un documento secondario nell’insegnamento del Papa, ma è il completamento di un cammino avviato con il discorso di Ratisbona e che è proseguito nei suoi molteplici interventi sulla necessità di stabilire un nuovo rapporto tra fede e ragione. Questo cammino è lungi dall’essere di natura meramente teorica, ma è portatore proprio di una grande novità e pertinenza esistenziale e sociale, dovuto al fatto che si fonda sul carattere “performativo” che il Cristianesimo possiede: il Cristianesimo è un fatto che incide nella vita e che promuove realmente lo sviluppo nella dignità. Per questo il Papa coraggiosamente segnala al numero quattro dell’enciclica che “l’annuncio di Cristo è indispensabile per un vero sviluppo umano”.
L’enciclica "Caritas in veritate" scommette sul riorientamento della globalizzazione perché serva concretamente allo sviluppo delle persone e dei popoli: questo è effettivamente possibile?
Rodrigo Guerra: La storia recente ha dimostrato che non è possibile pensare di costruire l’ordine nazionale e internazionale sulla base di premesse puramente strumentali relative allo Stato e al mercato. La globalizzazione, così come è oggi definita, divora i propri creatori.
Per questo è razionale e ragionevole pensare che la via per correggere il cammino della globalizzazione consista nell’introduzione di una logica diversa da quella fondata sulle leggi della domanda e dell’offerta. Questa nuova razionalità ha come elemento essenziale la gratuità, la responsabilità sociale, l’equa redistribuzione della ricchezza, la capacità di creare nuove forme di impresa.
Oggi esistono esperienze importanti in materia di commercio equo, microfinanza, economica solidale e di comunione, che dimostrano che questo cammino non solo è possibile ma è necessario. La globalizzazione non modificherà il suo profilo se non attraverso persone concrete che siano capaci di rimodellarla. Per questo è necessario un nuovo pensiero economico e una nuova capacità di incidere a livello locale, nazionale e globale.
L’autonomia dell’economia non è rimessa in discussione alla luce del pensiero di Benedetto XVI?
Rodrigo Guerra: Giustamente, le economie che oggi stanno fallendo, hanno difficoltà ad ammettere al loro interno orientamenti di natura morale. Questo è un errore epistemologico importante: l’economia ha la libertà come dimensione costitutiva della propria natura. Per questo, un’economica autenticamente umana e autenticamente autonoma non può che essere essenzialmente etica. È assurdo che una teoria del valore nell’economia prescinda dall’esistenza di valori morali!
I diversi tipi di valore sussistono nell’esperienza e possono essere riconosciuti dalla ragione pratica, che è il tipo di ragione prevalente nell’attività economica. Per questo Benedetto XVI recupera una potente intuizione di Giovanni Paolo II: ogni decisione di investimento, di produzione o di consumo possiede una ineludibile dimensione morale. Subordinare o cancellare questa dimensione, da un lato attenta alla dignità della persona - che è la principale ricchezza di un’impresa e di una nazione - e dall’altro attenta contro la stessa economia in quanto tale.
Che importanza ha lo Stato e l’azione politica alla luce della nuova enciclica?
Rodrigo Guerra: Il Papa esplicitamente si dice preoccupato degli elementi che caratterizzano lo Stato come uno “Stato sociale”. In questo senso avverte che una riduzione irresponsabile delle competenze dello Stato può condurre a una violazione dei diritti dei lavoratori. Questo tipo di considerazioni ci mostrano che la comprensione cattolica della politica non si identifica univocamente con lo Stato liberale né con la mera presenza di certe élites cristiane nei luoghi di potere.
L’azione politica deve recuperare un senso sociale che mai avrebbe dovuto perdere. “Senso sociale” non significa solo “politiche sociali” più profonde e solidali, ma significa portare nel cuore una decisa opzione preferenziale per i poveri e gli emarginati. Per questo, una vera collaborazione nell’organizzazione e gestione del bene comune si misura più in termini di sviluppo che di successo elettorale, più in termini di servizio ai più deboli che di attivismo.
Quali sono le cause profonde del sottoviluppo, secondo Benedetto XVI?
Rodrigo Guerra: Il Papa, al numero 19 di “Caritas in veritate”, dice che le cause del sottosviluppo sono essenzialmente due: la mancanza di fraternità e la mancanza di pensiero. D’altra parte “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. Finché non si comprende che la carità, il perdono e la riconciliazione sono metodi dell’azione politica ed economica, non si riuscirà a progredire come persone e come società. In questo senso, il Papa constata l’assenza di autentici pensatori capaci di generare un nuovo umanesimo sociale e politico. Senza un pensiero rigoroso, capace di concentrarsi sulle cose, l’azione politica ed economica rimane senza senso, senza direzione, come puro attivismo che non trascende gli interessi meschini della ricerca del potere per il potere.
Il Papa insiste sulla necessità di una nuova autorità mondiale. Non è un qualcosa di molto pericoloso? Non si rischia di cadere in un nuovo totalitarismo su scala planetaria?
Rodrigo Guerra: La Chiesa è pienamente consapevole dei rischi insiti in un nuovo ordine politico, economico e giuridico per il mondo globalizzato. Tuttavia, non è possibile assicurare governabilità alla globalizzazione se non si iniziano a costruire le basi per una nuova civilizzazione, per una nuova Res publica mondiale, che non deve essere un super-Stato totalitario, ma un nuovo modo di costruire relazioni internazionali, sulla base di una “grammatica dell’azione” - come diceva Wojtyla - ovvero sulla base di un nuovo “diritto delle genti” di natura giuspersonalistica.
Chi è chiamato a mettere in pratica l’insegnamento dell’enciclica “Caritas in veritate”?
Rodrigo Guerra: La “Caritas in veritate” è destinata a tutti i cattolici e a tutti gli uomini di buona volontà. D’altra parte, come ogni insegnamento corre un rischio: quello della riduzione del suo contenuto ad indicazioni meramente formali o astratte. È facile eludere la responsabilità personale e istituzionale, e pensare che l’insegnamento del Papa è “mera ispirazione” o che sia destinato “agli altri”, ma non a “noi”.
Per questo mi permetto di segnalare qualcosa che non finisce di stupirmi: i vescovi latinoamericani, nel documento di “Aparecida” hanno affrontato praticamente tutti i temi essenziali dell’enciclica, in un modo provvidenzialmente anticipatorio. Seguendo l’insegnamento del Papa, hanno inoltre riconosciuto con grande forza che il Cristianesimo è Avvenimento, scuola di discepolato e esperienza di comunione.
In altre parole, perché l’enciclica possa essere messa in atto, prima ancora di un “piano strategico” abbiamo bisogno di recuperare le fondamenta del metodo cristiano. Solo così potremo mostrare che la fede genera movimento, creatività e impegno solidale. Solo così torneremo a far vedere che il “soggetto” della Dottrina sociale della Chiesa esiste e, in quanto esiste, agisce.

giovedì 20 agosto 2009

CON LE CHIACCHIERE NON SI IMPASTANO FRITTELLE (Proverbio di origine veneta)

100 E LODE ALLA MATURITA' PER (SOLO) 3.529 STUDENTI - LA PUGLIA E' IN TESTA CON 535 MATURATI ECCELLENTI

Tratto dal settimanale
TV SORRISI E CANZONI
N. 33 del 2009
Sono 3.529 gli studenti italiani che hanno superato la maturità ottenendo 100 e lode. Complessivamente i “bravissimi” rappresentano lo 0,9% dei 383.167 esaminati.
La maggioranza è al Sud che piazza ben 1.704 alunni con il massimo dei voti.
La Regione leader è la Puglia con 523 maturati eccellenti; al secondo posto la Campania (388) e al terzo la Sicilia (369); fanalino di coda la Valle d’Aosta (1).
Sul caso Sud non mancano i maligni: ipotizzano valutazioni meno severe.

LA VITA BUONA NELLA SOCIETA' ATTIVA (LIBRO BIANCO SUL FUTURO DEL MODELLO SOCIALE) - SECONDA PARTE






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PIANI DI ZONA: DOVE SONO I SERVIZI? - NONA ED ULTIMA PARTE




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QUALI SONO I SERVIZI PRIVILEGIATI
DAGLI AMBITI
DELLA PROVINCIA DI LECCE
In una classificazione a tre dimensioni (servizio - contributo economico-struttura semiresidenziale o residenziale), il grafico sopra riportato mostra tendenze molto significative.
Nonostante gli sforzi compiuti per qualificare il sistema di welfare nei servizi alla persona, ci sono ancora alcuni ambiti della provincia di Lecce (Nardò, Martano e Maglie) in cui sono molto presenti i trasferimenti economici. Per Maglie e Martano si attestano intorno ad un quinto del programmato, per Nardò un quarto. Scarso risulta invece l’investimento finanziario effettuato dagli ambiti territoriali salentini per la dotazione di strutture a carattere semiresidenziale e residenziale, con incidenze che non superano mai il 13,8% (dato dell’ambito di Lecce).

PIANI DI ZONA: DOVE SONO I SERVIZI? - OTTAVA PARTE



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GESTIONE ASSOCIATA,
QUESTA SCONOSCIUTA
Tuttavia…
In provincia di Lecce sono pochissimi gli ambiti che, pur essendo obbligati alla gestione associata, poi svolgono un’effettiva e reale gestione associata. Alcuni sostengono che si può parlare di gestione associata quando ci si dota di regole comuni, anche se l’applicazione non è perfettamente aderente a quello che prevede la legge. Secondo la Legge Nazionale (la 328/2000) e l’applicativa regionale (la 19/2006) l’unica modalità per determinare l’accesso ai servizi è il bisogno.
Ne deriva una formula molto semplice: sia che il cittadino appartenga a Martano o Caprarica o ancora a Castrì, se presenta determinati requisiti, stabiliti a monte, può aver diritto o meno a determinate agevolazioni sociali. Facciamo un esempio concreto. Se si dovesse seguire alla lettera la legge, come pure sarebbe buona norma, il servizio di educativa domiciliare sociale per minori ad esempio, dovrebbe essere erogato in questo modo: l’ambito pubblica un avviso in cui indica quali sono i requisiti per l’accesso a quel servizio (es. età, reddito familiare, etc.). I cittadini dell’ambito che presentano i requisiti richiesti fanno domanda. L’ambito stila una graduatoria di ambito che dunque è effettuata sulla base del bisogno ed eroga il servizio agli aventi diritto. Questo, quindi, indifferentemente se il cittadino è di castrì, Caprarica o Martano. Potrebbe succedere che in un ambito territoriale alcuni cittadini di uno dei Comuni non siano raggiunti da un servizio ma questo non segna una sperequazione. Vuol dire solo che in quel Comune non è presente quel bisogno o che lo è in maniera inferiore di quanto non lo sia in altri comuni dell’ambito. Questo è come dovrebbe essere.
Invece…
Nella maggior parte dei Comuni, fatta eccezione per alcuni servizi resi obbligatori dalla Regione (ad esempio l’assistenza domiciliare integrata e l’assistenza sociale), si effettuano tante graduatorie quanti sono i Comuni.
Quindi le regole per l’accesso al servizio di educativa domiciliare per minori sono le stesse per ogni Comune dell’ambito ma viene fatta una ripartizione a monte delle somme finanziariamente disponibili.
Così, se l’ambito territoriale dispone di 100 mila euro per il servizio di educativa, i 100 mila euro vengono suddivisi tra i Comuni che fanno parte dell’ambito con un criterio che è diverso da quello stabilito dalla legge: la demografia. Nei casi più evoluti, incrociato con la demografia per la fascia interessata (quindi, nell’esempio citato, la fascia dei minori).
Altro che bisogno. Altro che gestione associata dei servizi. Così, sempre nei casi migliori, ciascun Comune conoscendo la disponibilità economica del servizio di educativa domiciliare per il proprio Comune, anticipa le somme ed eroga il servizio, sempre con le regole comuni di cui l’ambito si è dotato. Successivamente, a fronte di rendicontazione del servizio, riceve dall’ambito territoriale il rimborso delle spese che ha sostenuto. Formalmente è tutto corretto perché la legge viene rispettata (le stesse regole, gli stessi bandi, etc.) ma sostanzialmente le cose sono molto differenti.
Perché si fa fatica ad elaborare una visione strategica e sistemica d’insieme?
Perché non si riesce a rinunciare alle quote finanziarie per singolo comune e si stenta ancora a gestire, trattenendo una fetta e non lasciando la delega piena al Comune che, per convenzione, si è scelto per questo ruolo?
Ci sono intoppi tecnici o politici?

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - CARD. BERTONE: SI RIVOLGE A CREDENTI E NON CREDENTI (40.ESIMA PARTE)

Perché si basa sulla legge naturale
28 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org
La "Caritas in Veritate" si rivolge a credenti e non credenti perché si basa sulla legge naturale, ha spiegato il più stretto collaboratore di Benedetto XVI presentando questo martedì la nuova Enciclica davanti al Senato italiano.
Il Cardinale Tarcisio Bertone S.D.B., Segretario di Stato, che mercoledì scorso aveva lavorato alla sua presentazione del testo con il Papa a Les Combes, ha osservato che il Pontefice ha raggiunto l'obiettivo di unire intimamente i due termini del titolo: la "caritas" e la "veritas", l'amore e la verità.
"Il Santo Padre ci fa comprendere che queste due realtà fondamentali non sono estrinseche all'uomo o addirittura imposte a lui in nome di una qualsivoglia visione ideologica, ma hanno un profondo radicamento nella persona stessa", ha affermato il porporato.
Per questo, ha aggiunto, "questa realtà ci è testimoniata non solo dalla Rivelazione biblica, ma può essere colta da ogni uomo di buona volontà che usa rettamente della sua ragione nel riflettere su se stesso".
Le proposte che il Papa presenta nella sua Enciclica si basano sulla legge naturale, che secondo il numero 1954 del Catechismo della Chiesa Cattolica "esprime il senso morale originale che permette all'uomo di discernere, per mezzo della ragione, il bene e il male, la verità e la menzogna".
In questo senso, il Cardinale ha collegato la nuova Enciclica al documento pubblicato di recente (per il momento in italiano e in francese) dalla Commissione Teologica Internazionale con il titolo "Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale".
Il testo, iniziato sotto l'impulso del Cardinale Joseph Ratzinger quando era presidente della Commissione Teologica, documenta ciò che Benedetto XVI ha spiegato nel suo discorso del 18 aprile 2008 davanti all'Assemblea Generale dell'ONU.
I diritti umani, ha detto in quell'occasione, "trovano il loro fondamento nella legge naturale inscritta nel cuore dell'uomo e presente nelle diverse culture e civiltà".
"Separare i diritti umani da tale contesto significherebbe limitare la loro portata e cedere a una concezione relativista, per la quale il senso e l'interpretazione dei diritti potrebbe variare", ha aggiunto il Pontefice nel suo discorso al Palazzo di Vetro.
Secondo quanto ha spiegato al Senato il Cardinal Bertone, il nuovo documento della Commissione Teologica Internazionale "illustra proprio come la verità e l'amore siano esigenze essenziali di ogni uomo, profondamente radicate nel suo essere".
"'Nella sua ricerca del bene morale, la persona umana si mette in ascolto di ciò che essa è e prende coscienza delle inclinazioni fondamentali della sua natura' (n. 45), le quali inclinano l'uomo verso dei beni necessari alla sua realizzazione morale".
L'uomo, ha aggiunto, è dunque fatto per conoscere "la verità in tutta la sua ampiezza, cioè non limitandosi ad acquisire conoscenze tecniche per dominare la realtà materiale, ma aprendosi fino ad incontrare il Trascendente, e per vivere pienamente la dimensione interpersonale dell'amore, principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici".
"Sono proprio la 'veritas' e la 'caritas' che ci indicano le esigenze della legge naturale che Benedetto XVI pone come criterio fondamentale della riflessione di ordine morale sull'attuale realtà socio-economica".
Per questo, ha segnalato il Cardinale, "la proposta dell'Enciclica non è né di carattere ideologico né solo riservata a chi condivide la fede nella Rivelazione divina, ma si fonda su realtà antropologiche fondamentali, quali sono appunto la verità e la carità rettamente intese, o come dice la stessa enciclica, date all'uomo e da lui ricevute, non da lui prodotte arbitrariamente".

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - L'APERTURA RESPONSABILE ALLA VITA E' UNA RICCHEZZA SOCIALE ED ECONOMICA (39.ESIMA PARTE)

Di Angela Maria Cosentino
21 luglio 2009

Tratto da ZENIT.org
L’attuale crisi economica evidenzia la fragilità di un sistema, a cui occorre rispondere con un cambiamento di stili di vita e un’alleanza tra etica ed economia. Questo è il fondamentale messaggio dell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI di fronte all’attuale questione sociale, oggi globale.
Il documento rappresenta una proposta rivolta ad intra e ad extra in continuità con il passato (Populorum progressio e Humanae vitae di Paolo VI, Evangelium vitae di Giovanni Paolo II) e nello stesso tempo aperta a nuovi temi (immigrazione, globalizzazione, tutela dell’ambiente, ricerca di fonti alternative di energia, attuale crisi economica e finanziaria, innovative esperienze sindacali). Particolarmente significativo è il collegamento, oggi sempre più inquietante, tra rispetto della vita e sviluppo dei popoli.
Già Humanae vitae, che sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale (CV, 15), inaugurando una tematica magisteriale che ha preso corpo in vari documenti, fino all’enciclica Evangelium vitae. La Chiesa propone con forza questo collegamento, nella consapevolezza che non può “avere solide basi una società che - mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace - si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata” (EV, 93).
Anche per effetto, in varie parti del mondo, di politiche demografiche che spesso impongono un forte controllo delle nascite con contraccezione, aborto e sterilizzazione. Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno condizionato mentalità e comportamento, e contribuiscono a diffondere anche in altri Stati, come progresso culturale, una deleteria mentalità antinatalista (CV, 28).
Così, l’aborto, insieme ad una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite e sul versante opposto, una mens eutanasica, che in certe condizioni considera la vita non più degna di essere vissuta, e per pressione di gruppi nazionali e internazionali rivendica il riconoscimento giuridico dell’eutanasia, sono espressioni di posizioni culturali che negano la dignità umana e che con tali pratiche, alimentano, a loro volta, una concezione materiale e meccanicistica della vita umana. “Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo?” (CV 75).
L’apertura moralmente responsabile alla vita, invece, è una ricchezza sociale ed economica, al centro del vero sviluppo. Quando una società si orienta verso la negazione della vita finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per il vero bene dell’uomo. La ridotta sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza alla vita comporta l’inaridimento anche di altre forme di accoglienza sociale. L’apertura alla vita, invece, “tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” ( CV, 28).
È auspicabile, perciò, un maggiore impegno per creare un clima più favorevole a una revisione delle politiche demografiche verso una cultura per la vita. L’iter della mozione con cui il governo italiano si dovrebbe impegnare all’ONU per una moratoria sull’aborto come mezzo di controllo delle nascite è una tappa significativa, di elevato valore simbolico, per contribuire a rompere quella logica di morte che sta attanagliando l’Europa e il mondo intero.

martedì 18 agosto 2009

"MELISSANO PENSIERI LIBERI" NON VA IN VACANZA - CONTINUIAMO A LAVORARE PER VOI

ECCO COME TI ACCERTO LA MULTA CON L'INGANNO A LECCE - COMUNICATO STAMPA

Ecco come ti accerto la multa con l’inganno a Lecce. Commercianti esterrefatti. Il responsabile provinciale di IDV, Francesco D’AGATA e il componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, Giovanni D’AGATA, chiedono l’annullamento in autotutela.
Vendere bibite in lattina dopo le ore 23 a Lecce è proibito, lo sanno da tempo i commercianti leccesi così come sanno da tempo che le multe sono salatissime per i trasgressori e fin qui tutto regolare.
Ciò che colpisce e che lascia allibiti è il nuovo escamotage architettato dai solerti operatori di P.M. addetti all’accertamento delle violazioni “annonarie”, riferitoci da alcuni commercianti leccesi: un agente in borghese entra nel locale commerciale fingendosi assetato ed esausto qualche minuto dopo le 23, richiedendo con estrema gentilezza una bevanda, esce immediatamente dal negozio e pochi minuti dopo eccoti entrare i colleghi anch’essi in borghese che ti servono la contestazione con tanto di sanzione amministrativa da € 309,88.
Ciò che contestano i commercianti che ci hanno riferito tali circostanze è infatti il metodo per non dire l’inganno, sicuramente censurabile con il quale gli “zelanti” agenti di P.M. provvedono all’accertamento di tale tipo di sanzioni amministrative stratagemma certamente non in linea con i doveri di correttezza, trasparenza e “buon andamento” dell’agire amministrativo costituzionalmente garantiti.
Per queste ragioni sembra inevitabile per i sottoscritti Francesco D’AGATA in qualità di responsabile provinciale di IDV e Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, chiedere un immediato ripensamento da parte del Comando di Polizia Municipale ed un intervento diretto volto all’annullamento in autotutela delle sanzioni fin qui accertate con tale metodologia che se non illegittima non può non apparire poco ortodossa.
Lecce, 08 agosto 2009
Il responsabile provinciale
Francesco D’AGATA e Giovanni D'AGATA, Componente dipartimento Tematico Nazionale “Tutela dei Consumatori”

LA VITA BUONA NELLA SOCIETA' ATTIVA (LIBRO BIANCO SUL FUTURO DEL MODELLO SOCIALE) - PRIMA PARTE




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SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - LA NOVITA' DELLA NUOVA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI° (38.ESIMA PARTE)

Di Pierpaolo Donati
21 luglio 2009

Tratto da ZENIT.org
Dell’Enciclica Caritas in Veritate sono già state dette e scritte molte cose. Giustamente ci si è concentrati sul suo messaggio centrale, e cioè che la carità vissuta nella verità “è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (n. 1). Il richiamo del Papa a ritrovare il senso più profondo dell’agire umano nell’amore autentico verso Dio (che è Verità) e verso gli altri uomini è certamente il cuore dell’enciclica. Indubbiamente, è la stella polare che orienta sia l’analisi dei grandi problemi economici, sociali e politici del mondo contemporaneo, sia delle loro possibili soluzioni.
In questo breve intervento io vorrei sottolineare un aspetto dell’enciclica che non è stato ancora approfondito. Alludo al nuovo ‘modo di pensare’ che Papa Ratzinger propone in questo testo. Si tratta di un modo di pensare che è centrato sulla relazionalità come categoria centrale per leggere la condizione umana e le vie da percorrere per un autentico sviluppo integrale della persona e dell’umanità (“Un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione”, n. 53).
Papa Ratzinger vede nella carità “la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” con la seguente giustificazione: perché “essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici” (n. 2). Sin dall’inizio, appare chiaro che la chiave di volta dell’enciclica viene collocata nella qualità delle relazioni, micro e macro, passando per le relazioni meso (quelle proprie delle formazioni sociali intermedie di società civile, di cui si parla diffusamente nei capitoli 3,4,5).
Alla base di questa impostazione c’è l’idea che, ferma restando la verità perenne secondo cui la dignità umana consiste nella filiazione divina, è altrettanto vero che oggi cambia il senso (storico, culturale, contestuale) di ciò che è umano. Lo scenario ci pone davanti a un complesso di degradazioni di ogni genere, specie nel campo della manipolazione della vita umana e della famiglia, così come a tante emergenze, da quella educativa, alla disoccupazione, alla negazione di fondamentali diritti umani in tante parti del globo. Non si può affrontare questo nuovo scenario senza un’adeguata antropologia (“La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”, n. 75) e senza che tale antropologia sia capace di proiettarsi poi sull’intera società, cioè su tutti i rapporti sociali in cui è in gioco la vita umana.
La via che Benedetto XVI propone può essere, a mio avviso, chiamata ‘relazionale’ a motivo del fatto che è nella categoria della relazione che va cercata la soluzione. “La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l'uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L'importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone” (n. 53). E poco più oltre: “La rivelazione cristiana sull'unità del genere umano presuppone un'interpretazione metafisica dell'humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale” (n. 55).
Ecco dunque il filo rosso dell’enciclica: leggere l’umano attraverso la relazionalità e di qui procedere a svolgere un’analisi adeguata al nostro tempo delle varie questioni che ci attanagliano. La qualità delle relazioni sociali si qualifica per ciò che le persone amano di più, per le premure ‘ultime’ che le persone esprimono nelle loro relazioni. L’amore è dono di Dio, ma anche premura fondamentale delle persone umane. La sua presenza o la sua assenza spiega i problemi di cui soffriamo e dischiude le loro possibili soluzioni. Ma l’amore non è un bel sentimento, bensì è una certa relazione con se stessi, con gli altri e con Dio. L’enciclica insiste proprio sul fatto che la carità non può essere intesa come un generico sentimento, affetto o emozione. La carità di cui si parla, proprio perché è relazione, non può essere un fatto ‘privato’ (privato di responsabilità sociale). È invece la sorgente di ogni bene, in quanto bene relazionale. Per questa ragione, l’amore può e deve diventare un principio di organizzazione sociale (la civiltà dell’amore). “Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società” (n. 51). Occorre che gli uomini tessano “delle reti di carità” (n. 5). “La ‘città dell'uomo’ non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio” (n. 6).
Di qui, poi, le conseguenze operative. In sintesi: l’idea che le relazioni in cui la carità si concretizza, come il dono e la fraternità, possano e debbano diventare, da realtà marginali ed emarginate nella società moderna, dei principi che hanno un posto di primo piano nelle cose più pratiche, per esempio nel modo di organizzare e gestire le imprese economiche, un’associazione di consumatori, un sindacato, una rete di servizi sociali, lo Stato sociale, le relazioni fra i popoli, e così via. Fino a sostenere l’articolazione della società, del ‘fare società’ (associazioni in senso lato), su una governance di tipo societario e plurale, che realizza il bene comune attraverso una combinazione di solidarietà e sussidiarietà fra tutte le parti. Ciò vale dall’organizzazione di una famiglia su su fino alle relazioni internazionali.
Ma cosa può spingere gli uomini su questa via, stante l’attuale processo di globalizzazione guidato da un capitalismo rampante, da un individualismo sempre più pervasivo, da evidenti fenomeni di scollamento e frammentazione del tessuto sociale?
È qui che entra in gioco la verità, senza cui la carità sarebbe ridotta solo a emozioni: “senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività” (n. 4); e ancora: “la verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali” (n. 3).
Qui si rivela di nuovo l’importanza della chiave relazionale come ‘novità’ dell’enciclica. Infatti, lo specifico dell’enciclica, al di là dei temi ben noti (appello allo sviluppo umano integrale, alla lotta contro le vecchie e nuove povertà, ecc.), sta nell’evidenziare il mutuo interscambio tra carità e verità che si configura come un pensarli ‘relazionalmente’. È da tale relazionalità che possono scaturire i progetti di un nuovo umanesimo aperto alla trascendenza. Non c’è verità senza carità e non c’è carità senza verità. La verità ha bisogno della carità, così come la carità ha bisogno della verità. Questo nesso inscindibile è la relazione che caratterizza l’umano. In essa trovano le loro radici tutte le qualità che possiamo caratterizzare come autenticamente umane, le quali sono indispensabile per avere una ‘società dell’umano’, cioè un’economia, una politica, una tecnologia, una bioetica dal volto umano.
Il nesso relazionale tra amore e verità è sempre necessario, ma le sue forme e i suoi contenuti sono sempre contingenti a motivo della particolarità dei contesti, nello spazio e nel tempo. La portata di questa prospettiva è lo sviluppo di “un nuovo pensiero” (n. 78) che risponde al grido lanciato da Paolo VI: “il mondo soffre per mancanza di pensiero” (n. 53). La Caritas in Veritate ci invita ad abbracciare un nuovo pensiero additandoci una strada precisa, che sgorga da una visione teologica, ma è capace di dialogare e fecondare tutte le scienze umane e sociali.
La Chiesa non pretende di dare delle ricette, ma addita un nuovo modo di pensare che ha nella relazionalità, radicata nella realtà insieme trascendente e immanente della Trinità, la sua fonte. Questa prospettiva, dopo le prime pagine a carattere teologico, è particolarmente espressa come dialogo con le scienze umane e sociali nei nn. 53-55, e dà sostanza a tutte le altre considerazioni più ‘pratiche’ in merito alla configurazione delle relazioni economiche (una nuova economia civile), delle relazioni politiche (un nuovo welfare plurale, sussidiario, relazionale), delle relazioni famigliari e di cura della vita (una nuova bioetica relazionale), e così via.
Il messaggio più profondo dell’enciclica, a me pare, sta dunque nello scommettere su una nuova interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, su un pensiero relazionale che sia all’altezza delle nuove interdipendenze che si vengono a creare tra gli uomini e tra i popoli. Lo sviluppo umano sarà l’effetto emergente di questa nuova visione dello stare in società e delle pratiche che ne conseguono. Per esempio, la procreazione artificiale non potrà essere più pensata e praticata come espressione di un desiderio o di un sentimento privato (emozionale) di uno o due individui, perché ciò che conta è la dignità della relazione da cui nasce il figlio, dignità da cui dipende l’humanum nell’identità del figlio stesso. L’appello di Benedetto XVI “alla reciprocità delle coscienze e delle libertà” è un appello a ripensare la nostra vita in questa direzione, cioè come relazione in ciò che essa ha di umano. Da questo modo di pensare può scaturire una nuova società.
Nell’orizzonte di questa prospettiva il bene comune viene ripensato come bene relazionale, il quale può essere realizzato solo attraverso un uso appropriato e combinato dei principi di solidarietà e sussidiarietà, sulla base di una antropologia relazionale e di una visione relazionale dell’intera società, a partire dalla famiglia.
Pierpaolo Donati è professore ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, dove è anche coordinatore del Dottorato di ricerca in Sociologia e direttore del CEPOSS (Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Past-President dell’Associazione Italiana di Sociologia, ha fondato il CIRS (Centro Interuniversitario per la ricerca sociale, una rete di reti accademiche di ricerca empirica). Dal 1997 è membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali.