lunedì 24 agosto 2009

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - IL LIBERALISMO HA IN COMUNE QUALCOSA CON IL CRISTIANESIMO (44.ESIMA ED ULTIMA PARTE)

44.ESIMA - ULTIMA PARTE
Il prof. Quagliarello
in un convegno a Roma
sull'enciclica “Caritas in veritate”

30 luglio 2009
Tratto da ZENIT.org

In questo equilibrio va ricercata la differenza implicita tra individualismo e centralità della persona. L'individualismo presuppone la ricerca di un allargamento della sfera dell'autodeterminazione personale che prescinde da ogni fondamento, dalla considerazione degli altri e persino dai dati stessi della realtà inevitabilmente intrisi di una tradizione che si può certo criticare e innovare ma non ignorare. La centralità della persona, al contrario, presuppone la responsabilità nei confronti degli altri e in particolare nei confronti delle comunità all'interno delle quali la vicenda umana si inserisce. Tale relazione, in ogni caso, non cancella l'autonomia dell'individuo - come invece nella comunità proposta dai totalitarismi del XX secolo - perché “il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto”.
E' sulla base di questa analisi delle novità introdotte dal XXI secolo che vanno letti i brani dell'enciclica specificamente riferiti al sistema di libero mercato. Innanzitutto vi si afferma il nesso inscindibile tra libertà economica e sviluppo umano: “Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata”. Quando il progresso non si ideologizza, scadendo in progressismo, esso racchiude la possibilità di un maggior benessere diffuso e, per questo, va ricercato con fiducia. Da qui, il definitivo “sdoganamento” del profitto: esso non è il fine assoluto del processo economico, ma ne è comunque un elemento inevitabile; non può dunque considerarsi lo sterco del diavolo, ma è bene che venga temperato dal ruolo della carità che implica il dono e la gratuità. Tale compito spetta alle singole persone, ed è per questo ben diverso dal tentativo di raggiungere la giustizia sociale imbrigliando il profitto all'interno di una organizzazione statuale che di fatto giunga a negarlo.
Vi è nell'enciclica, insomma, la consapevolezza che il mercato non è un luogo selvaggio: ha delle regole sulle quali si può agire. Da qui, la volontà di rispettarne la logica di fondo, ma anche di condizionarne il funzionamento, affinché la centralità della persona possa affermarsi in tutte le sue fasi. Si cerca insomma di agire sui presupposti del processo economico per stabilire la centralità della persona, abbandonando la spasmodica ricerca di una tanto ideologica quanto utopistica uguaglianza sociale assoluta che stabilisca un'astratta perfezione. Anche per questo, in Caritas in veritate la povertà viene trattata come un'opportunità di sviluppo, anziché essere cristallizzata come il risultato di un meccanismo iniquo. E, in particolare nelle parti consacrate alla cooperazione internazionale, vi è un chiaro rigetto dell'assistenzialismo.
Questo tentativo di influenzare le regole del mercato in tutte le diverse fasi del suo ciclo porta da una parte a sollecitare una positiva e progressiva contaminazione tra i diversi tipi di impresa, senza erigere muri e barriere tra profit e non profit. E' evidente che le diversità strutturali fra le imprese non possono annullarsi, ma esse - secondo la Caritas in veritate - devono sempre più integrarsi e scolorirsi. Così come - cosa ancora più importante - questa enciclica crea integrazione anche tra l'agire economico e l'agire politico. Viene meno insomma quella distinzione che a lungo ha legittimato l'intervento politico del cosiddetto riformatore cattolico. In Caritas in veritate non c'è più un “prima” e un “dopo”: non c'è il processo capitalistico che provoca ingiustizie e il riformatore cattolico che successivamente deve agire per mettervi riparo. E, conseguentemente, viene meno il ruolo dello Stato come grande distributore di equità. L'equità possibile, il rispetto per la persona, la capacità di sfuggire ai corporativismi che per Benedetto XVI hanno preso eccessivo spazio nel mondo sindacale, devono essere ricercati fin dalla definizione del mercato come luogo di incontro, di reciproca fiducia, di vantaggiosa commutazione. A questo deve tendere l'operato del politico ispirato dai principi cristiani. Ed è in questo compito di regolatore sulla base del primato della persona che lo Stato ritrova una sua funzione, anche a dispetto del mito dell'autonomia contrattuale come sinonimo di libertà personale.
Infine, a fronte di questa nuova impostazione del confronto con il mercato, in controtendenza può segnalarsi l'auspicata costituzione di un'autorità politica mondiale per il governo dei problemi globali. In teoria, tale concentrazione di potere si pone in contraddizione con il principio di sussidiarietà più volte richiamato dalla stessa enciclica. In pratica poi, la proposta potrebbe risolversi in un rafforzamento del potere dell'Organizzazione delle Nazioni Unite alla quale, pure, l'enciclica non lesina delle critiche. Ma se la richiesta di tale autorità implica, più pragmaticamente, un adeguamento del sistema dei controlli per evitare una degenerazione della finanza prodotta anche dalle politiche interventiste degli Stati nazionali, evidentemente la contraddizione si attenua e diviene il prezzo che ogni liberale deve esser pronto a pagare di fronte a ciò che nel mondo è accaduto a causa dello sviluppo dopato che, a partire dall'amministrazione Clinton, è stato provocato dalla politica americana sui mutui per sostenere il mercato abitativo.
Insomma, se il liberalismo ha in comune qualcosa con il cristianesimo, questo è innanzitutto il saper non mettere la testa sotto la sabbia al cospetto delle storture del mondo, il cercare soluzione non ideologiche per risolvere i problemi, il saper correggere la rotta pur rispettando una linea di sostanziale continuità. Ed è proprio lungo questa strada che l'enciclica Caritas in Veritate fissa un proficuo punto di incontro.
(Seconda ed Ultima Parte)

Nessun commento: