giovedì 20 agosto 2009

PIANI DI ZONA: DOVE SONO I SERVIZI? - OTTAVA PARTE



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GESTIONE ASSOCIATA,
QUESTA SCONOSCIUTA
Tuttavia…
In provincia di Lecce sono pochissimi gli ambiti che, pur essendo obbligati alla gestione associata, poi svolgono un’effettiva e reale gestione associata. Alcuni sostengono che si può parlare di gestione associata quando ci si dota di regole comuni, anche se l’applicazione non è perfettamente aderente a quello che prevede la legge. Secondo la Legge Nazionale (la 328/2000) e l’applicativa regionale (la 19/2006) l’unica modalità per determinare l’accesso ai servizi è il bisogno.
Ne deriva una formula molto semplice: sia che il cittadino appartenga a Martano o Caprarica o ancora a Castrì, se presenta determinati requisiti, stabiliti a monte, può aver diritto o meno a determinate agevolazioni sociali. Facciamo un esempio concreto. Se si dovesse seguire alla lettera la legge, come pure sarebbe buona norma, il servizio di educativa domiciliare sociale per minori ad esempio, dovrebbe essere erogato in questo modo: l’ambito pubblica un avviso in cui indica quali sono i requisiti per l’accesso a quel servizio (es. età, reddito familiare, etc.). I cittadini dell’ambito che presentano i requisiti richiesti fanno domanda. L’ambito stila una graduatoria di ambito che dunque è effettuata sulla base del bisogno ed eroga il servizio agli aventi diritto. Questo, quindi, indifferentemente se il cittadino è di castrì, Caprarica o Martano. Potrebbe succedere che in un ambito territoriale alcuni cittadini di uno dei Comuni non siano raggiunti da un servizio ma questo non segna una sperequazione. Vuol dire solo che in quel Comune non è presente quel bisogno o che lo è in maniera inferiore di quanto non lo sia in altri comuni dell’ambito. Questo è come dovrebbe essere.
Invece…
Nella maggior parte dei Comuni, fatta eccezione per alcuni servizi resi obbligatori dalla Regione (ad esempio l’assistenza domiciliare integrata e l’assistenza sociale), si effettuano tante graduatorie quanti sono i Comuni.
Quindi le regole per l’accesso al servizio di educativa domiciliare per minori sono le stesse per ogni Comune dell’ambito ma viene fatta una ripartizione a monte delle somme finanziariamente disponibili.
Così, se l’ambito territoriale dispone di 100 mila euro per il servizio di educativa, i 100 mila euro vengono suddivisi tra i Comuni che fanno parte dell’ambito con un criterio che è diverso da quello stabilito dalla legge: la demografia. Nei casi più evoluti, incrociato con la demografia per la fascia interessata (quindi, nell’esempio citato, la fascia dei minori).
Altro che bisogno. Altro che gestione associata dei servizi. Così, sempre nei casi migliori, ciascun Comune conoscendo la disponibilità economica del servizio di educativa domiciliare per il proprio Comune, anticipa le somme ed eroga il servizio, sempre con le regole comuni di cui l’ambito si è dotato. Successivamente, a fronte di rendicontazione del servizio, riceve dall’ambito territoriale il rimborso delle spese che ha sostenuto. Formalmente è tutto corretto perché la legge viene rispettata (le stesse regole, gli stessi bandi, etc.) ma sostanzialmente le cose sono molto differenti.
Perché si fa fatica ad elaborare una visione strategica e sistemica d’insieme?
Perché non si riesce a rinunciare alle quote finanziarie per singolo comune e si stenta ancora a gestire, trattenendo una fetta e non lasciando la delega piena al Comune che, per convenzione, si è scelto per questo ruolo?
Ci sono intoppi tecnici o politici?

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