e Massimiliano Scagliarini
Tratto dal Sito Internet
www.lagazzettadelmezzogiorno.it
Uno scambio di persona. Anzi, due. Dopo l’arresto avvenuto giovedì scorso Sandro Frisullo si difende: gli investigatori - è la tesi dell’ex numero due della giunta Vendola - hanno male interpretato i contenuti di alcune telefonate perché non hanno individuato correttamente gli interlocutori.
Ieri Frisullo ha sostenuto in carcere l’interrogatorio di garanzia. Molto provato, la barba lunga, una tuta verde addosso, l’esponente del Pd è stato ascoltato per tre ore dal gip Sergio Di Paola e dai pm Ciro Angelillis, Eugenia Pontassuglia e Giuseppe Scelsi. I suoi avvocati, Michele Laforgia e Fritz Massa, hanno dunque puntato sull’errore di interpretazione della procura e hanno chiesto la scarcerazione, puntando anche sulle precarie condizioni di salute.
Gli episodi contestati sono due. Il 17 gennaio la Guardia di Finanza intercetta una conversazione tra tale Romano e Frisullo. «Io non sono in vetrina - dice il politico al suo interlocutore - ma sono ancora nel negozio». Secondo gli inquirenti, quella frase dimostrerebbe che Frisullo ha ancora influenza sulla politica regionale (nella conversazione si parla di possibili modifiche alla legge Omnibus). Per i difensori, invece, le «ambizioni» di Frisullo sarebbero inferiori: il «negozio» di cui parla, infatti, non sarebbe altro che il Pd.
A sostegno della tesi difensiva c’è l’identità del Romano. Non si tratta, come scrive la procura, di un imprenditore, bensì di Giuseppe Romano, consigliere regionale uscente del Pd. «Si parlava solo di politica», hanno argomentato i difensori di Frisullo. «Frisullo - sostiene la difesa - ha soltanto espresso le sue opinioni politiche». Giuseppe Romano conferma la versione dei difensori.
In un’altra conversazione Frisullo parla con tale Giovanni a proposito di «Giancarlo». Il gip ha chiesto ieri mattina a Frisullo chi fossero i due. L’indagato ha risposto che si tratta di due politici del Salento, il sindaco di Arnesano, Giovanni Madaro, e il candidato sindaco di Carmiano, Giancarlo Mazzotta. Le elezioni sono vicine e Frisullo, il cui cuore, sia pur affaticato, batte sempre per il Pd, in quella telefonata discute su come risolvere un problema legato all’applicazione dell’Ici su terreni al confine tra i due piccoli comuni del Salento.
«Frisullo - ha detto l’avvocato Laforgia - non è un pericoloso bandito che deve rimanere in carcere perchè potrebbe andare a fare delle rapine. Ne abbiamo chiesto la scarcerazione nei tempi più rapidi possibili».
Quei due episodi, secondo fonti giudiziarie, non sono gli unici su cui si basa l’accusa. Tutt’altro. I due presunti «equivoci», infatti, annegherebbero nel mare di elemento che gli inquirenti ritengono di avere raccolto a carico di Frisullo. Le dichiarazioni di Tarantini, infatti, ritenuto credibile dalla Procura, sarebbero riscontrate da altre testimonianze e dalle numerose intercettazioni. Nell’inchiesta sulla gestione degli appalti alla Asl di Lecce, Frisullo è indagato per associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta: Tarantini lo avrebbe pagato per garantire una sorta di «protezione politica» ai suoi interessi imprenditoriali nell’azienda sanitaria salentina.
Nel corso dell’interrogatorio, secondo Laforgia, «Frisullo ha ammesso di essere stato amico di Gianpaolo Tarantini. Questa amicizia si è rivelata del tutto inopportuna, ma non è certo una ragione per stare in carcere. Anche perché Frisullo non ha mai preso soldi da Tarantini».
Entro domani, intanto, la Procura esprimerà il suo parere sulla richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa. Il gip ha cinque giorni di tempo per decidere.
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Uno scambio di persona. Anzi, due. Dopo l’arresto avvenuto giovedì scorso Sandro Frisullo si difende: gli investigatori - è la tesi dell’ex numero due della giunta Vendola - hanno male interpretato i contenuti di alcune telefonate perché non hanno individuato correttamente gli interlocutori.
Ieri Frisullo ha sostenuto in carcere l’interrogatorio di garanzia. Molto provato, la barba lunga, una tuta verde addosso, l’esponente del Pd è stato ascoltato per tre ore dal gip Sergio Di Paola e dai pm Ciro Angelillis, Eugenia Pontassuglia e Giuseppe Scelsi. I suoi avvocati, Michele Laforgia e Fritz Massa, hanno dunque puntato sull’errore di interpretazione della procura e hanno chiesto la scarcerazione, puntando anche sulle precarie condizioni di salute.
Gli episodi contestati sono due. Il 17 gennaio la Guardia di Finanza intercetta una conversazione tra tale Romano e Frisullo. «Io non sono in vetrina - dice il politico al suo interlocutore - ma sono ancora nel negozio». Secondo gli inquirenti, quella frase dimostrerebbe che Frisullo ha ancora influenza sulla politica regionale (nella conversazione si parla di possibili modifiche alla legge Omnibus). Per i difensori, invece, le «ambizioni» di Frisullo sarebbero inferiori: il «negozio» di cui parla, infatti, non sarebbe altro che il Pd.
A sostegno della tesi difensiva c’è l’identità del Romano. Non si tratta, come scrive la procura, di un imprenditore, bensì di Giuseppe Romano, consigliere regionale uscente del Pd. «Si parlava solo di politica», hanno argomentato i difensori di Frisullo. «Frisullo - sostiene la difesa - ha soltanto espresso le sue opinioni politiche». Giuseppe Romano conferma la versione dei difensori.
In un’altra conversazione Frisullo parla con tale Giovanni a proposito di «Giancarlo». Il gip ha chiesto ieri mattina a Frisullo chi fossero i due. L’indagato ha risposto che si tratta di due politici del Salento, il sindaco di Arnesano, Giovanni Madaro, e il candidato sindaco di Carmiano, Giancarlo Mazzotta. Le elezioni sono vicine e Frisullo, il cui cuore, sia pur affaticato, batte sempre per il Pd, in quella telefonata discute su come risolvere un problema legato all’applicazione dell’Ici su terreni al confine tra i due piccoli comuni del Salento.
«Frisullo - ha detto l’avvocato Laforgia - non è un pericoloso bandito che deve rimanere in carcere perchè potrebbe andare a fare delle rapine. Ne abbiamo chiesto la scarcerazione nei tempi più rapidi possibili».
Quei due episodi, secondo fonti giudiziarie, non sono gli unici su cui si basa l’accusa. Tutt’altro. I due presunti «equivoci», infatti, annegherebbero nel mare di elemento che gli inquirenti ritengono di avere raccolto a carico di Frisullo. Le dichiarazioni di Tarantini, infatti, ritenuto credibile dalla Procura, sarebbero riscontrate da altre testimonianze e dalle numerose intercettazioni. Nell’inchiesta sulla gestione degli appalti alla Asl di Lecce, Frisullo è indagato per associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta: Tarantini lo avrebbe pagato per garantire una sorta di «protezione politica» ai suoi interessi imprenditoriali nell’azienda sanitaria salentina.
Nel corso dell’interrogatorio, secondo Laforgia, «Frisullo ha ammesso di essere stato amico di Gianpaolo Tarantini. Questa amicizia si è rivelata del tutto inopportuna, ma non è certo una ragione per stare in carcere. Anche perché Frisullo non ha mai preso soldi da Tarantini».
Entro domani, intanto, la Procura esprimerà il suo parere sulla richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa. Il gip ha cinque giorni di tempo per decidere.
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