martedì 23 marzo 2010

FEDE E POLITICA (4-FINE) - MONS. FOLLO ALL'UNESCO: "POLITICA E RELIGIONI DAVANTI AL FUTURO" / 2.a E ULTIMA PARTE

Dibattito organizzato
dalla Comunità San Giovanni
Di Anita S. Bourdin
8 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org

Lo Studium della Comunità San Giovanni ha organizzato un dibattito su "Politica e Religioni davanti al futuro" nella sede dell'UNESCO a Parigi il 19 e il 20 marzo.
L'obiettivo sarà far "dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica", sottolinea l'Osservatore Permanente della Santa Sede all'UNESCO, monsignor Francesco Follo, in questa intervista concessa a ZENIT.

Il dibattito vuole essere non solo interculturale, ma anche interreligioso: spicca la partecipazione del gran rabbino Haïm Korsia, cappellano generale israeliano dell'Aviazione, e di M. Tareq Oubrou, teologo, imam della moschea di Bordeaux: le tre grandi religioni monoteiste hanno avuto un rapporto molto diverso con la politica...
Monsignor Francesco Follo: Anche le religioni e le culture asiatiche e africane hanno qualcosa da dire in questo incontro, il cui obiettivo è apportare un contributo al "government".
Dopo le varie crisi (politica, economica, finanziaria) che attraversa il mondo, e a trent'anni dal discorso di Giovanni Paolo II all'UNESCO, lo Studium San Giovanni ha voluto sottolineare gli apporti della filosofia e delle religioni al government su questioni di attualità come le relazioni tra giustizia e pace, il posto dei poveri nella società, la lotta per la dignità umana, la tensione tra la logica del bene e la ricerca della logica finanziaria, economica e politica, la responsabilità nei confronti della famiglia umana.
Lei è per formazione un filosofo. Che mediazione rappresenta la riflessione filosofica nel dialogo tra le culture?
Monsignor Francesco Follo: Il cristianesimo è la religione del Logos. Nel dialogo, quindi, i cristiani devono stare attenti a rimanere fedeli a questo orientamento: vivere una fede che viene dal logos, dalla ragione creatrice, e che quindi è aperta a tutto ciò che è realmente razionale, a ciò che è cultura.
"La" cultura è un avvenimento, più che un dono finito. Non ho la pretesa di contribuire alla cultura del domani.
E' ad ogni modo sufficiente aprire gli occhi e le orecchie per percepire che non sono solo le grandi culture ad avere un valore universale, ma anche quelle che dialogano tra loro nell'opera dei grandi artisti.
Omero non ha scritto solo per i greci, ma per tutti noi. Shakespeare non ha scritto solo per gli inglesi, ma per tutti.
La Bibbia non è stata composta solo per un piccolo popolo mediorientale, o per alcuni gruppi di cristiani, ma per tutti.
Ancora, penso a Keith Jarrett, uno dei grandi musicisti jazz del momento: è anche un grande interprete di Bach, e le sue improvvisazioni non si possono comprendere senza considerare l'influenza della musica indiana.
L'universalità è la pretesa delle culture, l'"interculturalità" il ritmo normale di appartenenza a una cultura, e il ritmo normale della vita della cultura.
Siamo realisti, il dialogo interculturale è un dialogo che conduciamo in pace con noi stessi, e in cui constatiamo tutti i frutti in noi stessi.
Nessuna legge regola un dialogo di questo tipo. Gli Stati possono favorirlo: bisognerebbe dare denaro all'Università di Pechino perché le opere di Kierkegaard siano accessibili in lingua cinese.
Quello che fanno gli Stati deve essere fatto prima che gli Stati se ne preoccupino. L'uomo "coltivato" è un uomo intellettuale.
Possiamo andare più oltre e dire che l'"interculturalità" è un fatto, prima che un dovere da compiere.
L'"interculturalità" non aspetta, per essere inscritta in ogni cultura che abbia un po' di ricchezza, che ci formiamo il concetto.
Noi siamo qui nella situazione di quelli che constatano, scrivono la storia e vogliono - evidentemente - che il futuro sia fedele al passato.
Siamo anche, si potrebbe dire, nella situazione di garanti: se è necessario che le grandi opere dell'Oriente siano tradotte in lingue occidentali, bisognerà poter andare ad aiutare traduttori ed editori.
Come l'UNESCO non ha inventato la cultura né l'ha definita, però, non ha nemmeno creato l'"interculturalità", né l'ha definita, e può essere felice di svolgere la funzione di aiuto.
Sarà così fedele alla sua definizione. E mi permetta di ripetere che è nel rispetto della verità, della singolarità, che serviamo con più fedeltà le città, al plurale, le culture, al plurale, e anche la cultura, al singolare.
Come definire il dialogo per giungere realmente a dialogare?
Monsignor Francesco Follo: Il dialogo non è solo uno scambio di idee, deve essere sempre uno scambio di doni (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 13).
C'è dialogo quando una delle due parti "esce" da sé, si apre alla diversità che è l'alterità dell'altro, e questo ha come conseguenza lo "scambio" di temi, la "trasformazione".
Attraverso il dialogo, e come effetto del dialogo, c'è sempre un'apertura di orizzonti.
Vorrei concludere proponendole un'immagine che riassume ciò che sto dicendo: "Quando la farfalla arriva, il fiore si apre; quando il fiore si apre, la farfalla arriva".

(2-FINE)

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