sabato 27 marzo 2010

INCONTRO ALLA PASQUA (30) - TERZA PREDICA DI PADRE CANTALAMESSA PER LA QUARESIMA 2010 / 1

Se tornerai a me...
26 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org
Di seguito la terza e ultima predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto lo scorso venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.
Il tema delle meditazioni di quest'anno è "Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti", in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.
La precedenti prediche sono state pronunciate il 5 e il 12 marzo.
1. La crisi del sacerdote
Nella Scrittura troviamo la descrizione della crisi interiore di un sacerdote nella quale molti pastori di oggi, sono sicuro, si riconoscerebbero. È quella di Geremia che, prima di essere un profeta fu un sacerdote, "uno dei sacerdoti che risiedevano in Anatot" (Ger 1,1).
"Ti ho servito come meglio potevo, mi sono rivolto a te con preghiere per il mio nemico...Io non mi sono seduto assieme a quelli che ridono, e non mi sono rallegrato....Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti" (Ger 15, 11-18). In un altro momento la crisi esplode in maniera ancor più aperta: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre...Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20, 7-9).
Qual è la risposta di Dio al profeta e sacerdote in crisi? Non un "Poverino, hai ragione, come sei infelice!". "Allora, il Signore mi rispose: "Se tornerai, io ti farò tornare e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che vile, sarai la mia bocca" (Ger 15, 19). In altre parole: conversione!
Parlando della novità del ministero della nuova alleanza abbiamo visto che essa consiste nella grazia, cioè nel fatto che il dono precede il dovere e che il dovere scaturisce proprio dal dono. Applichiamo ora questo principio fondamentale al ministero sacerdotale. Quello che abbiamo considerato finora costituiva la grazia sacerdotale, il dono ricevuto: ministri di Cristo, dispensatori dei misteri di Dio. Non possiamo concludere le nostre riflessioni senza mettere in luce anche il dovere e l'appello che scaturisce da esso, per così dire l'ex opere operantis del sacerdozio. Tale appello è lo stesso che Dio rivolse a Geremia: conversione!
Credo di interpretare la preoccupazione più volte espressa in passato dal Santo Padre e che ha motivato, almeno in parte, la proclamazione di questo anno sacerdotale, dedicando quest'ultima meditazione alla necessità di una purificazione all'interno della Chiesa, a partire dal suo clero.
L'appello alla conversione risuona nei momenti cruciali del Nuovo Testamento: all'inizio della predicazione di Gesù: "Convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15); all'inizio della predicazione apostolica, il giorno di Pentecoste: "Che dobbiamo fare, fratelli? E Pietro rispose: "Convertitevi e fatevi battezzare e riceverete lo Spirito Santo!" (At 2, 37). Ma non sono questi i contesti che riguardano più direttamente noi sacerdoti. Noi abbiamo creduto al vangelo, siamo stati battezzati e abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. C'è un altro "convertitevi!" che ci riguarda da vicino, quello che risuona all'interno di ognuna delle sette lettere alle chiese dell'Apocalisse. Esso non è rivolto a non credenti o neofiti, ma a persone che vivono da tempo nella comunità cristiana.
Un dato rende queste lettere particolarmente significative per noi: esse sono rivolte al pastore e al responsabile di ognuna delle sette chiese. "All'angelo della chiesa che è in Efeso scrivi": non si spiega il titolo angelo se non in riferimento, diretto o indiretto, al pastore della comunità. Non si può pensare che lo Spirito Santo attribuisca a degli angeli reali la responsabilità delle colpe e delle deviazioni che vi sono nelle diverse chiese e che l'invito alla conversione sia rivolto ad essi.
2. "Sii fedele fino alla fine"
Rileggiamo alcune di queste lettere, cercando di cogliere in esse gli elementi di una autentica conversione del clero, diaconi, sacerdoti e vescovi. Iniziamo dalla prima lettera, quella alla chiesa di Efeso. Notiamo anzitutto una cosa. Il Risorto non comincia il suo discorso dicendo ciò che non va nella comunità. Questa lettera, come quasi tutte le altre, inizia mettendo in rilievo il positivo, il bene che si fa nella chiesa: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza...Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti" (Ap 2, 2).
Solo a questo punto interviene l'appello alla conversione: "Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti (metanoeson) e compi le opere di prima". L'appello alla conversione prende l'aspetto di un ritorno al primitivo fervore e amore per Cristo. Chi di noi sacerdoti non ricorda con commozione il momento in cui ci rendemmo conto di essere chiamati da Dio al suo servizio, il momento della professione per i religiosi, l'entusiasmo dei primi anni di ministero per i sacerdoti? È vero che lì c'era anche il fattore dell'età, la gioventù. Ma in questo caso non si tratta di natura: grazia era allora e grazia può essere oggi.
"Ti ricordo, scriveva l'Apostolo al discepolo Timoteo, di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l'imposizione delle mie mani" (2 Tim 1,6) Il termine greco che viene tradotto con "ravvivare" suggerisce l'idea di soffiare sul fuoco perché torni ad ardere, riaccendere la fiamma. In una delle meditazioni di Avvento, abbiamo visto come l'unzione sacramentale, ricevuta nell'ordinazione, può tornare ad essere attiva e operante mediante la preghiera e un soprassalto di fede. Anche l'autore della lettera agli Ebrei ammoniva i primi cristiani a ricordare il loro iniziale entusiasmo: "Ricordatevi di quei primi giorni..." (Eb 10,32).
Della lettera alla chiesa di Efeso riteniamo dunque il pressante invito a ritrovare l'amore e il fervore di un tempo. Un'altra componente della conversione sacerdotale lo troviamo nella lettera alla chiesa di Smirne. Anche qui, il Risorto mette anzitutto in luce il positivo: "Conosco la tua tribolazione, la tua povertà...", ma segue subito l'appello: "Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita".
Fedeltà! Il Santo Padre ha messo questa parola come titolo e programma all'anno sacerdotale: "Fedeltà di Cristo e fedeltà del sacerdote". La parola fedeltà ha due significati fondamentali. Il primo è quello di costanza e di perseveranza; il secondo, è quello di lealtà, correttezza, l'opposto insomma di infedeltà, inganno e tradimento.
Il primo significato è quello presente nelle parole del Risorto alla chiesa di Smirne, il secondo è quello inteso da Paolo nel testo che abbiamo scelto come guida delle nostre riflessioni: "Ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele" (1 Cor 4, 1-2). Questa parola richiama, forse volutamente, quella di Gesù nel vangelo di Luca: "Chi è l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?" (Lc 12, 42). Il contrario di questa fedeltà è quello che fa, nella parabola, l'amministratore infedele (Lc 16, 1 ss.).
A questa fedeltà si oppone il tradimento della fiducia di Cristo e della Chiesa, la doppia vita, il venir meno ai doveri del proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità. Sappiamo per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo tipo di infedeltà. È la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo momento.

(1-Continua)

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