Dibattito organizzato
dalla Comunità San Giovanni
Di Anita S. Bourdin
8 marzo 2010
Di Anita S. Bourdin
8 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org
Lo Studium della Comunità San Giovanni ha organizzato un dibattito su "Politica e Religioni davanti al futuro" nella sede dell'UNESCO a Parigi il 19 e il 20 marzo.
L'obiettivo sarà far "dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica", sottolinea l'Osservatore Permanente della Santa Sede all'UNESCO, monsignor Francesco Follo, in questa intervista concessa a ZENIT.
Qual è la questione di fondo di questo Colloquio, che conta sul doppio patrocinio dell'UNESCO - è previsto l'intervento del suo direttore generale, Irina Bokova - e del Pontificio Consiglio della Cultura?
Monsignor Francesco Follo: Una piccola affermazione preliminare: non bisogna dimenticare la specificità della situazione dell'uomo nel mondo. L'uomo è l'unico essere dell'universo a far parte di due "mondi": quello dei corpi e quello degli spiriti, aperto alla trascendenza.
Bisognerebbe dunque formare la coscienza delle persone per comprendere e vivere, per vedere in se stessi e rispettare negli altri la complessità dell'esperienza della libertà.
Si dovrebbero anche trovare e proporre le motivazioni e gli strumenti perché l'uomo "religioso" e l'uomo "politico", o meglio, la dimensione religiosa e la dimensione politica dell'uomo, vivano insieme nella sfera privata e in quella della relazione comunitaria, sociale (tra individuo e individuo, tra individuo e società).
Bisognerebbe infine educare e formare il cittadino in questa dimensione completa che Jacques Maritain ha definito "umanesimo integrale".
Per raggiungere questo obiettivo,il simposio farà dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica.
In questo modo, ci sarà una vera cooperazione tra politici, filosofi, teologi e religiosi, per una teoria e una pratica del bene comune.
Lei parla del "bene comune". Uno dei principali oratori sarà il Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. L'insegnamento sociale della Chiesa cattolica, così ricco, parla a tutte le culture?
Monsignor Francesco Follo: Darei due risposte. La prima viene dai fatti, dalla realtà dell'esistenza.
I martiri cristiani, che testimoniano il loro impegno con Dio e con gli uomini fino alle estreme conseguenze, si uniscono all'impegno di tutti gli uomini.
Si è detto che "le Encicliche sono state scritte con il sangue dei martiri".
Perché il Vangelo entri in una cultura, deve trovare la via dell'uomo, penetrando nelle diverse culture, anche al prezzo della vita di questi testimoni che sono i martiri, martiri "per" gli altri e non contro gli altri.
In questo modo, la Dottrina Sociale della Chiesa diventa la voce di quanti non hanno voce: si parla di "opzione preferenziale per i poveri". Il soggetto della Dottrina Sociale della Chiesa è l'umanità stessa.
Anche la seconda risposta viene dalla storia. Con l'Enciclica Centesimus Annus (1991), l'universalità della Dottrina Sociale della Chiesa ha compiuto un altro passo.
Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato che milioni di persone, con il loro impegno, hanno ispirato la Dottrina Sociale della Chiesa.
Nel corso della storia, c'è stato "un grande movimento per la difesa della persona umana e della sua dignità", ma in collaborazione con i credenti di altre religioni e con le persone di buona volontà.
Di recente, Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, ci ricorda che la carità è universale e che è la principale forza di propulsione del vero sviluppo di ogni persona e dell'intera umanità.
Questa carità si basa sulla verità. In effetti, una carità non basata sulla verità è un involucro vuoto che si riempie arbitrariamente (Caritas in veritate n. 3).
Le porto un esempio. Se un uomo ha fame, non è difficile capire cosa sia un bene per lui: mangiare. Non è difficile sapere quello che è il bene di quell'uomo: alimentarsi a sufficienza.
Alla questione relativa al bene dell'uomo, ho dunque risposto con certezza: è l'alimentazione. Ho detto la verità sul bene dell'uomo.
Se a un uomo affamato do dei vestiti ma non del cibo, non lo amerò davvero, non vorrò il suo bene. La "carità nella verità" significa volere il bene dell'altro, vero e reale.
Il Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza Episcopale Francese, presiederà l'Eucaristia. Quale posto occupa questa celebrazione nel simposio?
Monsignor Francesco Follo: L'Arcivescovo di Parigi presiederà la mattina di sabato 20 marzo la Santa Messa che i partecipanti al Colloquio celebreranno nella bella Cappella di Nostra Signora del Buon Consiglio, a poche decine di metri dall'UNESCO.
Credo che si sia voluta la Messa anche per sottolineare che il dialogo tra le persone deve essere radicato in quello con Dio.
I due dialoghi non possono essere opposti, entrambi hanno la loro giustificazione e la loro necessità teologica e spirituale.
Se è necessaria una difesa "spirituale" del dialogo con gli uomini, è ancor più importante vedere come la preghiera sia all'origine e nel futuro del dialogo.
La preghiera è all'origine profonda del dialogo fraterno perché "grazie a lei" posso pronunciare parole che vengono da Dio.
E' anche il futuro delle parole fraterne, perché nella parola rivolta al prossimo c'è già una parola a Dio.
Le parole meramente umane corrono il rischio di essere come quelle di un prigioniero ad altri prigionieri.
Che tipo di notizie ci potrebbero comunicare le persone chiuse in carcere, senza informazioni provenienti dal mondo della libertà e della vita? Non molto interessanti, né realmente originali. La novità viene dall'esterno, dall'alto, da Dio che ci ascolta e che, attraverso di noi, parla agli uomini.
L'obiettivo sarà far "dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica", sottolinea l'Osservatore Permanente della Santa Sede all'UNESCO, monsignor Francesco Follo, in questa intervista concessa a ZENIT.
Qual è la questione di fondo di questo Colloquio, che conta sul doppio patrocinio dell'UNESCO - è previsto l'intervento del suo direttore generale, Irina Bokova - e del Pontificio Consiglio della Cultura?
Monsignor Francesco Follo: Una piccola affermazione preliminare: non bisogna dimenticare la specificità della situazione dell'uomo nel mondo. L'uomo è l'unico essere dell'universo a far parte di due "mondi": quello dei corpi e quello degli spiriti, aperto alla trascendenza.
Bisognerebbe dunque formare la coscienza delle persone per comprendere e vivere, per vedere in se stessi e rispettare negli altri la complessità dell'esperienza della libertà.
Si dovrebbero anche trovare e proporre le motivazioni e gli strumenti perché l'uomo "religioso" e l'uomo "politico", o meglio, la dimensione religiosa e la dimensione politica dell'uomo, vivano insieme nella sfera privata e in quella della relazione comunitaria, sociale (tra individuo e individuo, tra individuo e società).
Bisognerebbe infine educare e formare il cittadino in questa dimensione completa che Jacques Maritain ha definito "umanesimo integrale".
Per raggiungere questo obiettivo,il simposio farà dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica.
In questo modo, ci sarà una vera cooperazione tra politici, filosofi, teologi e religiosi, per una teoria e una pratica del bene comune.
Lei parla del "bene comune". Uno dei principali oratori sarà il Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. L'insegnamento sociale della Chiesa cattolica, così ricco, parla a tutte le culture?
Monsignor Francesco Follo: Darei due risposte. La prima viene dai fatti, dalla realtà dell'esistenza.
I martiri cristiani, che testimoniano il loro impegno con Dio e con gli uomini fino alle estreme conseguenze, si uniscono all'impegno di tutti gli uomini.
Si è detto che "le Encicliche sono state scritte con il sangue dei martiri".
Perché il Vangelo entri in una cultura, deve trovare la via dell'uomo, penetrando nelle diverse culture, anche al prezzo della vita di questi testimoni che sono i martiri, martiri "per" gli altri e non contro gli altri.
In questo modo, la Dottrina Sociale della Chiesa diventa la voce di quanti non hanno voce: si parla di "opzione preferenziale per i poveri". Il soggetto della Dottrina Sociale della Chiesa è l'umanità stessa.
Anche la seconda risposta viene dalla storia. Con l'Enciclica Centesimus Annus (1991), l'universalità della Dottrina Sociale della Chiesa ha compiuto un altro passo.
Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato che milioni di persone, con il loro impegno, hanno ispirato la Dottrina Sociale della Chiesa.
Nel corso della storia, c'è stato "un grande movimento per la difesa della persona umana e della sua dignità", ma in collaborazione con i credenti di altre religioni e con le persone di buona volontà.
Di recente, Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, ci ricorda che la carità è universale e che è la principale forza di propulsione del vero sviluppo di ogni persona e dell'intera umanità.
Questa carità si basa sulla verità. In effetti, una carità non basata sulla verità è un involucro vuoto che si riempie arbitrariamente (Caritas in veritate n. 3).
Le porto un esempio. Se un uomo ha fame, non è difficile capire cosa sia un bene per lui: mangiare. Non è difficile sapere quello che è il bene di quell'uomo: alimentarsi a sufficienza.
Alla questione relativa al bene dell'uomo, ho dunque risposto con certezza: è l'alimentazione. Ho detto la verità sul bene dell'uomo.
Se a un uomo affamato do dei vestiti ma non del cibo, non lo amerò davvero, non vorrò il suo bene. La "carità nella verità" significa volere il bene dell'altro, vero e reale.
Il Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza Episcopale Francese, presiederà l'Eucaristia. Quale posto occupa questa celebrazione nel simposio?
Monsignor Francesco Follo: L'Arcivescovo di Parigi presiederà la mattina di sabato 20 marzo la Santa Messa che i partecipanti al Colloquio celebreranno nella bella Cappella di Nostra Signora del Buon Consiglio, a poche decine di metri dall'UNESCO.
Credo che si sia voluta la Messa anche per sottolineare che il dialogo tra le persone deve essere radicato in quello con Dio.
I due dialoghi non possono essere opposti, entrambi hanno la loro giustificazione e la loro necessità teologica e spirituale.
Se è necessaria una difesa "spirituale" del dialogo con gli uomini, è ancor più importante vedere come la preghiera sia all'origine e nel futuro del dialogo.
La preghiera è all'origine profonda del dialogo fraterno perché "grazie a lei" posso pronunciare parole che vengono da Dio.
E' anche il futuro delle parole fraterne, perché nella parola rivolta al prossimo c'è già una parola a Dio.
Le parole meramente umane corrono il rischio di essere come quelle di un prigioniero ad altri prigionieri.
Che tipo di notizie ci potrebbero comunicare le persone chiuse in carcere, senza informazioni provenienti dal mondo della libertà e della vita? Non molto interessanti, né realmente originali. La novità viene dall'esterno, dall'alto, da Dio che ci ascolta e che, attraverso di noi, parla agli uomini.
(1-Continua)
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