martedì 30 marzo 2010

INCONTRO ALLA PASQUA (35) - TERZA PREDICA DI PADRE CANTALAMESSA PER LA QUARESIMA 2010 / 4.a ED ULTIMA PARTE

Se tornerai a me...
26 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org

Continua la pubblicazione della terza e ultima predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto lo scorso venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.
Il tema delle meditazioni di quest'anno è "Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti", in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.
La precedenti prediche sono state pronunciate il 5 e il 12 marzo.
5. "Voglio sperare!"
Torniamo, per finire, alla risposta di Dio ai lamenti di Geremia. Dio fa al suo profeta convertito delle promesse che acquistano un significato particolare se lette come rivolte a noi sacerdoti della Chiesa cattolica nell'attuale momento di grave disagio che stiamo attraversando: "Se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile": cioè, se saprai distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario nella tua vita, se preferirai la mia approvazione a quella degli uomini; "tu sarai come la mia bocca". "Essi devono tornare a te, non tu a loro": sarà il mondo a cercare il tuo favore, non tu quello del mondo. "Io ti renderò come un muro durissimo di bronzo (questa parola è rivolta ora a lei, Santo Padre); combatteranno contro di te, ma non potranno prevalere, perché io sarò con te" (Ger 15, 19-20).
Quello che occorre in questo momento è un sussulto di speranza; dovremmo tornare a leggere l'enciclica "Spe salvi sumus" del nostro Santo Padre. La Scrittura ci presenta diversi esempi di sussulti di speranza, ma uno mi pare particolarmente istruttivo e vicino alla situazione attuale: la Terza Lamentazione di Geremia. Comincia in tono sconsolato: "Io sono l'uomo che ha visto l'afflizione sotto la verga del suo furore. Egli mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce...Io sono diventato lo scherno di tutto il mio popolo, la sua canzone di tutto il giorno. Io ho detto: ‘È sparita la mia fiducia, non ho più speranza nel Signore!" (Lam III, 1-18).
Ma a questo punto è come se il profeta avesse un improvviso ripensamento; dice a se stesso: " È una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà! ‘Il Signore è la mia parte, perciò spererò in lui".
E dal momento che prende la decisione "Voglio sperare!", il tono cambia e da cupa lamentazione diventa fiduciosa attesa di restaurazione: "Il Signore è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Porga la guancia a chi lo percuote, si sazi pure di offese! Il Signore infatti non respinge per sempre; ma, se affligge, ha pure compassione, secondo la sua immensa bontà; poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli dell'uomo" (Lam III, 22-33).
Mi sono trovato a predicare un ritiro al clero di una diocesi americana scosso dalla reazione indiscriminata dell'opinione pubblica di fronte agli scandali di alcuni dei loro membri. Si era all'indomani del crollo delle Torri Gemelle e le macerie materiali sembravano il simbolo di altre macerie. Questo testo della Scrittura contribuì visibilmente a ridare fiducia e speranza a molti.
Cristo soffre più di noi per l'umiliazione dei suoi sacerdoti e l'afflizione della sua Chiesa; se la permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire, in vista di una maggiore purezza della sua Chiesa. Se ci sarà umiltà, la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra! L'accanimento dei media - lo vediamo anche in altri casi - a lungo andare ottiene l'effetto contrario a quello da essi desiderato.
L' invito di Cristo: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò", era rivolto, in primo luogo, a coloro che aveva intorno a sé e oggi ai suoi sacerdoti. "Venite a me e troverete ristoro": il frutto più bello di questo anno sacerdotale sarà un ritorno a Cristo, un rinnovamento della nostra amicizia con lui. Nel suo amore, il sacerdote troverà tutto quello di cui si è privato umanamente e "cento volte di più", secondo la sua promessa.
Cambiamo dunque la iniziale protesta di Geremia in ringraziamento: "Grazie Signore, che un giorno ci hai sedotto, grazie che ci siamo lasciati sedurre, grazie che ci dai la possibilità di ritornare a te e ci riprendi dopo ogni tentativo di fuga. Grazie che affidi a noi "la custodia dei tuoi atri" (Zacc 3, 7) e fai di noi "la tua bocca". Grazie per il nostro sacerdozio!
Note
[1] Cit. nella Lettera di indizione dell'anno sacerdotale di Benedetto XVI
[2] Cf. Agostino, Sermo 46: CCL 41, pp.529 ss.
[3] Teresa d'Avila, Vita, cc. 7-8.
[4] Ib. 9, 1-3.

(4-FINE)

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