lunedì 24 maggio 2010

IL LAVORO COME DOVERE E PERFEZIONAMENTO DELL'UOMO (SECONDA ED ULTIMA PARTE)

Di mons. Angelo Casile
13 maggio 2010
Tratto da ZENIT.org
Giovanni Paolo II°
Giovanni Paolo II nella Redemptoris custos presenta il lavoro come espressione quotidiana di «amore nella vita della Famiglia di Nazareth… Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della redenzione». La virtù della laboriosità è capace di rendere «l’uomo in un certo senso più uomo» e apre alla «santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti: San Giuseppe».[7]
Nello storico incontro per il Giubileo mondiale dei lavoratori, Giovanni Paolo II ebbe ad affermare che «la globalizzazione è oggi un fenomeno presente ormai in ogni ambito della vita degli uomini, ma è fenomeno da governare con saggezza. Occorre globalizzare la solidarietà». E appellandosi agli imprenditori e dirigenti, ai sindacati dei lavoratori, agli uomini della finanza, agli artigiani, ai commercianti e ai lavoratori dipendenti, ha sottolineato come tutti devono «operare perché il sistema economico, in cui viviamo, non sconvolga l’ordine fondamentale della priorità del lavoro sul capitale, del bene comune su quello privato. è quanto mai necessario che si costituisca nel mondo una globale coalizione a favore del “lavoro dignitoso”».[8]
Benedetto XVI°
Nel 2006, la Chiesa italiana e le associazioni del mondo del lavoro si sono stretti attorno a Benedetto XVI per far memoria grata e pregare insieme nella festa di san Giuseppe. Il Papa sottolineava la necessità di «vivere una spiritualità che aiuti i credenti a santificarsi attraverso il proprio lavoro, imitando san Giuseppe… La sua testimonianza mostra che l’uomo è soggetto e protagonista del lavoro. Vorrei affidare a lui i giovani che a fatica riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, i disoccupati e coloro che soffrono i disagi dovuti alla diffusa crisi occupazionale».[9]
Nella Caritas in veritate, Benedetto XVI indica la priorità dell’«obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti»[10] e ripropone quanto auspicato da Giovanni Paolo II nel corso del Giubileo dei Lavoratori sul lavoro decente, dignitoso, cioè «un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna… scelto liberamente… permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione… consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli… lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale… assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa».[11]
Il Vangelo del lavoro
Fenomeni gravi, presenti in tante parti del mondo, come la disoccupazione, lo sfruttamento dei minori, l’insufficienza dei salari, la precarietà del lavoro femminile, attendono ancora di essere affrontati e risolti. In questo senso gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le possibilità che si sono aperte per tutti di dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, affinché lavorando in un simile contesto sempre più ampio e interconnesso, l’uomo comprenda la sua vocazione unitaria e solidale.[12]
È necessario «testimoniare anche nell’odierna società il “Vangelo del lavoro”, di cui parlava Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem exercens. Auspico che non manchi il lavoro specialmente per i giovani, e che le condizioni lavorative siano sempre più rispettose della dignità della persona umana».[13] È dunque urgente impegnarsi in un’articolata formazione ai diversi livelli di responsabilità in modo che si aprano strade percorribili al “Vangelo del lavoro” e alla testimonianza effettiva dei laici cattolici nella società del lavoro e si possa promuovere l’autentico sviluppo delle persone e dell’intera umanità. Come ci ricordano i nostri vescovi, «i veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone. E le persone, come tali, vanno educate e formate: “lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune” (Caritas in veritate, n. 71».[14]
Il 1° maggio, memoria di san Giuseppe lavoratore, ci richiama a cogliere il lavoro dentro una visione dell’uomo che è illuminata profondamente da Gesù di Nazareth. Egli ci aiuti a vivere in pienezza il rapporto tra lavoro e resto della vita, lavoro e festa, lavoro e famiglia, lavoro e figli, lavoro e realizzazione di se stessi, e quindi il rapporto con Dio, gli altri, il creato.
Mons. Angelo Casile è Direttore dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro.
Note
1) Pio XII, Discorso in occasione della festività di San Giuseppe, 1° maggio 1955.
2) Leone XIII, Lettera enciclica Quamquam pluries, 15 agosto 1889.
3) Pio XI, lettera enciclica Divini Redemptoris, 19 marzo 1937. Altri riferimenti a san Giuseppe come «modello» degli operai e dei lavoratori si possono trovare in: cfr Benedetto XV, Motu proprio Bonum sane, 25 luglio 1920; Pio XII, Allocuzione, 11 marzo l945.
4) Giovanni XXIII, Radiomessaggio, 1º maggio 1960.
5) Paolo VI, Udienza generale, 1° maggio 1965.
6) Idem, Allocuzione, 19 marzo 1969.
7) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Redemptoris custos, 15 agosto 1989.
8) Idem, Discorso all’incontro con il mondo del lavoro, Tor Vergata, 1° maggio 2000.
9) Benedetto XVI, Omelia, 19 marzo 2006.
10) Idem, Lettera enciclica Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 32.
11) Ibidem, n. 63.
12) Cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 25 ottobre 2004, n. 322.
13) Benedetto XVI, Angelus, 1° maggio 2005.
14) Conferenza Episcopale Italiana, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 21 febbraio 2010, n. 16.
(2-FINE)

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