13 febbraio 2010
Tratto da ZENIT.org
Concludiamo oggi la pubblicazione dell'editoriale del Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, apparso sull'ultimo numero di “Oasis” (n. 10, 2009) dedicato al tema “Le fedi alla prova della modernità”.
Tradizioni e Tradizione
Il circolo cultura-fede rimarrebbe tuttavia senza carne né sangue se non si considerasse il ruolo delle tradizioni. Su questo argomento Oasis ha avuto modo di ritornare più volte, da ultimo nello scorso numero 9 e nel ricco Comitato scientifico 2009, molti dei cui interventi sono riportati nella sezione attualità di questo numero. Nulla infatti è più astratto dell’immagine di un individuo che edifichi, ogni volta da capo, la propria interpretazione culturale, nata con lui e con lui destinata a morire.
Ben più concretamente, l’interpretazione culturale della fede si attua e si trasmette di generazione in generazione nelle tradizioni, offerte alla libera verifica dei singoli. Contrariamente a quanto una mentalità individualistica indurrebbe a pensare, appartenere a una tradizione non è una limitazione della libertà e inventiva personale ma, al contrario, è la condizione del loro miglior esercizio poiché fornisce un’ipotesi di partenza nella lettura del reale. Le tradizioni, nell’inesausta dialettica tra dare e ricevere che l’etimologia del termine suggerisce, si presentano pertanto come luogo del concreto esercizio dell’inevitabile interpretazione culturale di ogni fede. Proprio per questo esse appaiono sempre bisognose di purificazione e critica, poiché, come afferma Pascal, «per quanta forza abbia tale antichità, la verità deve sempre avere la meglio, quantunque di recente scoperta, giacché essa è sempre più antica di tutte le opinioni che se ne sono avute»(4). Ma - tale è la sconcertante pretesa cristiana - quella stessa Verità che le tradizioni non sanno esaurire ha scelto di assicurare, attraverso la propria libera e definitiva iniziativa, il permanere della Traditio, luogo in cui la Verità vivente e personale, cioè Gesù Cristo, continuamente si offre nella sua oggettività alla libertà dell’uomo. La Traditio, che come ci ricorda Dei Verbum è strettamente connessa alla Sacra Scrittura e al Magistero (n° 10), è «continuità e progresso, conservazione e sviluppo [...] La garanzia divina della sua fedeltà è lo Spirito Santo»(5).
L’Interpretazione Culturale degli Islam
Alla luce di queste considerazioni risulta ora più chiara l’opzione che Oasis ha progressivamente fatto propria a favore delle interpretazioni culturali degli Islam - o, se si preferisce, delle sue diverse tradizioni. Attraverso questa scelta non s’intende operare un’artificiosa separazione sulla pelle dei nostri fratelli musulmani, privilegiando al loro interno i filosofi, i prosatori, gli scienziati, i mistici a detrimento di un nucleo di fede popolare che rimarrebbe estraneo alla nostra ricerca, se non guardato con sospetto. Lo smentisce il dato che della necessità di un’interpretazione culturale della fede si deve parlare anche per il Cristianesimo.
Così pure l’accento posto sulle diversità interne all’Islam, fino al punto di usare talvolta il plurale, non nasconde una strategia del divide et impera, ma intende dar conto delle molteplici traduzioni che ogni fede conosce (quelli che chiamiamo “Islam di popolo”), senza per questo rinunciare a un nucleo distintivo che le è proprio. Sono stato confortato - sia detto en passant - nel sorprendere la stessa formula “gli Islam” nell’intervista al mufti di Bosnia pubblicata nello scorso numero 9. In sintesi e giocando sul titolo di un famoso libro dell’orientalista cattolico Louis Gardet, Gli uomini dell’Islam(6), potremmo dire che Oasis non sceglie gli uomini contro l’Islam, ma gli uomini per arrivare all’Islam.
Vi sono ormai molti esempi di come l’incontro tra credenti di diverse religioni, se vissuto con adeguata coscienza, possa tradursi in un arricchimento vicendevole. Ciascuno infatti può essere stimolato a vivere più in profondità la propria appartenenza religiosa, a comprenderla meglio e più a fondo. Non senza il rischio della libertà, comunque: la possibilità della conversione dev’essere ammessa perché il dialogo possa essere autentico e senza infingimenti. Nell’odierna società plurale questa stessa dinamica d’incontro che i singoli credenti già praticano è chiamata a trovare forme di espressione anche a livello comunitario, principalmente nel campo che chiamiamo delle implicazioni delle fedi. In una prospettiva cristiana, le implicazioni costituiscono le modalità nelle quali i Misteri della fede, secondo la logica sacramentale della Rivelazione [Fides et Ratio n° 13], si incarnano dinamicamente nella storia del soggetto che li vive, incidendo sul modo di concepirsi come uomini, sul modo di concepire la società e il rapporto con il creato.
Nel rispetto delle procedure stabilite, essenziali per il buon funzionamento di uno stato democratico, le diverse interpretazioni culturali dovrebbero potersi confrontare prima di tutto a questi livelli. Ne beneficerebbe la società tutta, ma prima ancora le tradizioni religiose stesse, in un’avventura di reciproca edificazione.
NOTE
(1) Joseph Ratzinger, Cristo, la fede e la sfida delle culture, in «Nuova Umanità» 16 (1994), n°6, 95-118 qui 103.
(2) Si possono qui recuperare le osservazioni di Paul Ricœur sulla natura necessariamente ellittica di un’ermeneutica della testimonianza, chiamata a interpretare i segni che l’Assoluto dona di sé: «È in effetti a motivo della propria finitezza che l’affermazione originaria non possa appropriarsi di sé stessa in una riflessione totale a carattere intuitivo, ma debba passare attraverso un’interpretazione dei segni contingenti che l’assoluto dona di sé nella storia. Tuttavia «il fatto che la coscienza di sé sia sospesa a qualche decisione, a qualche scelta, a qualche processo in cui essa fa comparire ciò stesso che è l’apparire dell’assoluto non esprime la debolezza della prova per testimonianza, come in Aristotele, ma la finitezza della coscienza a cui è rifiutato il sapere assoluto (L’herméneutique du témoignage, in La testimonianza, a cura di Enrico Castelli, CEDAM, Padova 1972, 57).
(3) Il pensiero corre subito alla riflessione del Cardinal Newman: An Essay on the Development of Christian Doctrine, Toovey, London 1845 [segue]
[segue] (tr. italiana Lo sviluppo della dottrina cristiana, Jaca Book, Milano 2003).
(4) «Quelque force enfin qu’ait cette antiquité, la vérité doit toujours avoir l’avantage, quoique nouvellement découverte, puisqu’elle est toujours plus ancienne que toutes les opinions qu’on en a eues». Blaise Pascal, Préface sur le Traité du vide, in Œuvres complètes, a cura di Michel Le Guern, t. I, Gallimard, Paris 1998, 458.
(5) Yves M.-J. Congar, La Tradizione e la vita della chiesa, San Paolo, Catania 1964, 192.
(6) Jaca Book, Milano 2002.
Tratto da ZENIT.org
Concludiamo oggi la pubblicazione dell'editoriale del Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, apparso sull'ultimo numero di “Oasis” (n. 10, 2009) dedicato al tema “Le fedi alla prova della modernità”.
Tradizioni e Tradizione
Il circolo cultura-fede rimarrebbe tuttavia senza carne né sangue se non si considerasse il ruolo delle tradizioni. Su questo argomento Oasis ha avuto modo di ritornare più volte, da ultimo nello scorso numero 9 e nel ricco Comitato scientifico 2009, molti dei cui interventi sono riportati nella sezione attualità di questo numero. Nulla infatti è più astratto dell’immagine di un individuo che edifichi, ogni volta da capo, la propria interpretazione culturale, nata con lui e con lui destinata a morire.
Ben più concretamente, l’interpretazione culturale della fede si attua e si trasmette di generazione in generazione nelle tradizioni, offerte alla libera verifica dei singoli. Contrariamente a quanto una mentalità individualistica indurrebbe a pensare, appartenere a una tradizione non è una limitazione della libertà e inventiva personale ma, al contrario, è la condizione del loro miglior esercizio poiché fornisce un’ipotesi di partenza nella lettura del reale. Le tradizioni, nell’inesausta dialettica tra dare e ricevere che l’etimologia del termine suggerisce, si presentano pertanto come luogo del concreto esercizio dell’inevitabile interpretazione culturale di ogni fede. Proprio per questo esse appaiono sempre bisognose di purificazione e critica, poiché, come afferma Pascal, «per quanta forza abbia tale antichità, la verità deve sempre avere la meglio, quantunque di recente scoperta, giacché essa è sempre più antica di tutte le opinioni che se ne sono avute»(4). Ma - tale è la sconcertante pretesa cristiana - quella stessa Verità che le tradizioni non sanno esaurire ha scelto di assicurare, attraverso la propria libera e definitiva iniziativa, il permanere della Traditio, luogo in cui la Verità vivente e personale, cioè Gesù Cristo, continuamente si offre nella sua oggettività alla libertà dell’uomo. La Traditio, che come ci ricorda Dei Verbum è strettamente connessa alla Sacra Scrittura e al Magistero (n° 10), è «continuità e progresso, conservazione e sviluppo [...] La garanzia divina della sua fedeltà è lo Spirito Santo»(5).
L’Interpretazione Culturale degli Islam
Alla luce di queste considerazioni risulta ora più chiara l’opzione che Oasis ha progressivamente fatto propria a favore delle interpretazioni culturali degli Islam - o, se si preferisce, delle sue diverse tradizioni. Attraverso questa scelta non s’intende operare un’artificiosa separazione sulla pelle dei nostri fratelli musulmani, privilegiando al loro interno i filosofi, i prosatori, gli scienziati, i mistici a detrimento di un nucleo di fede popolare che rimarrebbe estraneo alla nostra ricerca, se non guardato con sospetto. Lo smentisce il dato che della necessità di un’interpretazione culturale della fede si deve parlare anche per il Cristianesimo.
Così pure l’accento posto sulle diversità interne all’Islam, fino al punto di usare talvolta il plurale, non nasconde una strategia del divide et impera, ma intende dar conto delle molteplici traduzioni che ogni fede conosce (quelli che chiamiamo “Islam di popolo”), senza per questo rinunciare a un nucleo distintivo che le è proprio. Sono stato confortato - sia detto en passant - nel sorprendere la stessa formula “gli Islam” nell’intervista al mufti di Bosnia pubblicata nello scorso numero 9. In sintesi e giocando sul titolo di un famoso libro dell’orientalista cattolico Louis Gardet, Gli uomini dell’Islam(6), potremmo dire che Oasis non sceglie gli uomini contro l’Islam, ma gli uomini per arrivare all’Islam.
Vi sono ormai molti esempi di come l’incontro tra credenti di diverse religioni, se vissuto con adeguata coscienza, possa tradursi in un arricchimento vicendevole. Ciascuno infatti può essere stimolato a vivere più in profondità la propria appartenenza religiosa, a comprenderla meglio e più a fondo. Non senza il rischio della libertà, comunque: la possibilità della conversione dev’essere ammessa perché il dialogo possa essere autentico e senza infingimenti. Nell’odierna società plurale questa stessa dinamica d’incontro che i singoli credenti già praticano è chiamata a trovare forme di espressione anche a livello comunitario, principalmente nel campo che chiamiamo delle implicazioni delle fedi. In una prospettiva cristiana, le implicazioni costituiscono le modalità nelle quali i Misteri della fede, secondo la logica sacramentale della Rivelazione [Fides et Ratio n° 13], si incarnano dinamicamente nella storia del soggetto che li vive, incidendo sul modo di concepirsi come uomini, sul modo di concepire la società e il rapporto con il creato.
Nel rispetto delle procedure stabilite, essenziali per il buon funzionamento di uno stato democratico, le diverse interpretazioni culturali dovrebbero potersi confrontare prima di tutto a questi livelli. Ne beneficerebbe la società tutta, ma prima ancora le tradizioni religiose stesse, in un’avventura di reciproca edificazione.
NOTE
(1) Joseph Ratzinger, Cristo, la fede e la sfida delle culture, in «Nuova Umanità» 16 (1994), n°6, 95-118 qui 103.
(2) Si possono qui recuperare le osservazioni di Paul Ricœur sulla natura necessariamente ellittica di un’ermeneutica della testimonianza, chiamata a interpretare i segni che l’Assoluto dona di sé: «È in effetti a motivo della propria finitezza che l’affermazione originaria non possa appropriarsi di sé stessa in una riflessione totale a carattere intuitivo, ma debba passare attraverso un’interpretazione dei segni contingenti che l’assoluto dona di sé nella storia. Tuttavia «il fatto che la coscienza di sé sia sospesa a qualche decisione, a qualche scelta, a qualche processo in cui essa fa comparire ciò stesso che è l’apparire dell’assoluto non esprime la debolezza della prova per testimonianza, come in Aristotele, ma la finitezza della coscienza a cui è rifiutato il sapere assoluto (L’herméneutique du témoignage, in La testimonianza, a cura di Enrico Castelli, CEDAM, Padova 1972, 57).
(3) Il pensiero corre subito alla riflessione del Cardinal Newman: An Essay on the Development of Christian Doctrine, Toovey, London 1845 [segue]
[segue] (tr. italiana Lo sviluppo della dottrina cristiana, Jaca Book, Milano 2003).
(4) «Quelque force enfin qu’ait cette antiquité, la vérité doit toujours avoir l’avantage, quoique nouvellement découverte, puisqu’elle est toujours plus ancienne que toutes les opinions qu’on en a eues». Blaise Pascal, Préface sur le Traité du vide, in Œuvres complètes, a cura di Michel Le Guern, t. I, Gallimard, Paris 1998, 458.
(5) Yves M.-J. Congar, La Tradizione e la vita della chiesa, San Paolo, Catania 1964, 192.
(6) Jaca Book, Milano 2002.
(3-FINE)
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