Seconda Domenica di Quaresima
28 febbraio 2010
Di padre Angelo del Favero
26 febbraio 2010
Tratto da ZENIT.org
“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco: due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: 'Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia'. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: 'Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!'. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto” (Lc 9,28-36).
“Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi.(…) La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!” (Fil 3,17-4,1).
La Trasfigurazione è un evento che Gesù vuole per soccorrere la debolezza della fede dei discepoli, ormai prossimi allo scandalo del fallimento totale del loro Maestro, fine ignominiosa dei loro sogni messianici. Questo collegamento con la Passione del Signore è evidente in Luca, se si confrontano i fatti del Monte degli Ulivi (Lc 22,39-46) con quelli del Monte Tabor: in entrambi i casi Gesù sale sul monte a pregare portando con sé Pietro, Giacomo e Giovanni; sull’uno e sull’altro monte il suo aspetto subisce una trasfigurazione inaudita: gloriosa sul Tabor, angosciosa sul Monte degli Ulivi; e in ambedue i casi, sorprendentemente, i discepoli, anziché star svegli, cadono in un sonno profondo. Luca mette in parallelo Monti così opposti per farci comprendere la verità di ognuno dei due, quella definitiva del Monte di Gerusalemme, da dove il Signore Risorto sale al Cielo per entrare vincitore nella sua gloria, e noi con Lui.
Il messaggio fa parte dell’esperienza quotidiana: viene l’ora, sull’orologio della vita di tutti, in cui il cuore si ritrova nel buio del dramma pasquale, una notte talmente oscura da far pensare, con ogni evidenza, che Dio e la sua luce ci hanno abbandonato. Ma ecco che qualcosa o qualcuno spunta nelle tenebre, ed esse vengono rischiarate come uscendo da un tunnel. Allora il cuore s’accorge che si trattava solo di un’eclissi nei propri occhi, e scopre che il Sole divino stava sempre là, e ora vede la verità, e tutto è cambiato e trasfigurato in una gran pace.
A differenza di Marco e di Matteo che scrivono: “fu trasfigurato davanti a loro” (Mc 9,2 - Mt 17,2), Luca descrive il Signore sul Tabor dicendo semplicemente che: “il suo volto cambiò d’aspetto”; espressione più familiare alla nostra esperienza. Anche lui accenna poi allo splendore incomparabile delle vesti di Gesù, simbolo della sua persona, ed è il solo a precisare che questa intera Trasfigurazione accade durante l’incontro con il Padre nella preghiera, allo stesso modo in cui si illumina il volto di chi apre la porta, quando vede sulla soglia la persona amata.
La Trasfigurazione, oltre a dimostrare la natura divina di Gesù, è così anche il segno visibile della sua relazione filiale con il Padre, relazione che è luce del suo volto e sostanza della sua divinità, come rivela Giovanni nel Prologo: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso (=rivolto a) Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1).
Il discepolo che Gesù amava, che era presente sul Monte Tabor, nel suo Vangelo non racconta la Trasfigurazione, ma già nel Prologo sembra farci volgere lo sguardo al Tabor con queste parole: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,4-5). La vita divina nascosta corporalmente nella persona del Signore, Giovanni l’ha vista come il sole in una stanza che abbia le pareti di cristallo.
E’ la “prova” dell’incarnazione del Verbo: con essa, per il tramite della natura umana assunta dal Figlio di Dio, la Luce è entrata nella creazione ottenebrata dal peccato, vi ha portato la vita stessa di Dio-Amore, e ci ha fatto partecipi della relazione che unisce come in un abbraccio le tre divine Persone. Per entrare nel vortice ineffabile di questo flusso amoroso, a ognuno di noi è chiesta l’obbedienza filiale della fede, cioè l’ascolto fiducioso del bambino che pende dalle labbra del genitore che lo tiene in braccio: “Questo è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!” (Lc 9,35).
Tutto ciò non è davvero troppo lontano dalla nostra esperienza, se solo volgiamo lo sguardo alla relazione tra una mamma e il suo bambino, punteggiata com’è, sin dal primo giorno, da momenti di reciproca, amorosa “trasfigurazione”. Non c’è nulla di più puro su questa terra della luce che promana dal volto sorridente di un bambino nel momento in cui quello radioso della mamma si china su di lui: è il riflesso della luce purissima di Dio, Creatore di ogni uomo.
Quest’icona materna, così semplice e familiare nella sua bellezza, è anche immagine della verità profonda della preghiera. La natura della preghiera, infatti, è di essere vero e proprio incontro con il Dio trinitario che ci ha creato, e com’è vero che non esiste dialogo se uno se ne sta da solo, così non c’è vera ed efficace preghiera senza incontro. E come un uomo non può incontrare un altro uomo senza la mediazione del proprio corpo (il sorriso del volto, la voce amica, il contatto della mano), così è solo lungo la via della sacra Umanità di Cristo che ci è dato incontrare il Padre nostro.
Su tutto ciò, il mistero della Trasfigurazione, lungi dall’essere “accessorio” per la nostra vita di fede (quasi una parentesi straordinaria mentre si torna alla vita normale: “Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto” – Lc 9,36), rivela qualcosa di essenziale del nostro rapporto con Dio, e ci consente di fare la stessa scoperta che trasfigurò la vita della carmelitana santa Teresa di Gesù, Dottore della Chiesa e maestra di preghiera.
Teresa è vissuta quasi cinque secoli fa, ma il suo messaggio è più che mai urgente oggi, in questo nostro mondo che vuole fare a meno del Crocifisso. Un messaggio che deriva anzitutto dalla sua esperienza di preghiera, per la quale ella potrebbe far sua, oggi, l’esortazione paolina: “Fatevi insieme miei imitatori..” (Fil 3,17).
E l’imitazione consiste anzitutto nel far nostra la sua certezza meravigliosa: i Cieli, cioè il regno di Dio, sono dentro di noi, e non solo è possibile entrarvi quando vogliamo, ma anche rimanervi “attendati” in perenne compagnia del “buon Gesù”, com’è vero che ogni battezzato è costituito dimora vivente della santa Trinità.
“E’ bello per noi essere qui!”: è l’esclamazione ontologica della persona umana, in compagnia battesimale con il Padre, il Figlio e con lo Spirito Santo; un’amicizia ineffabile e per tutti, nascosta nella nube della fede, ma non per questo anonima al cuore, se accettiamo di perseverare fedelmente e ad ogni costo, con Gesù e con Teresa, nel cammino dell’orazione.
Dico “ad ogni costo” anche perché Teresa è la prima ad aver sperimentato la fatica dell’aridità e della perseveranza nella preghiera. Alla santa riformatrice del Carmelo, infatti, era stato consigliato di rinunciare allo sforzo di pensare il Signore, presente dentro di sé, “come uomo”. Ma è proprio l’umanità di Cristo che ci mette in comunione profonda con Dio e ci permette di contemplare lo splendore della sua Persona divina, come i discepoli sul Tabor!
Perciò Teresa non seguì il consiglio dei teologi del tempo, rimanendo saldamente ancorata al fondamento della presenza “incarnata” del Signore, secondo l’esortazione di Paolo: “Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!” (Fil 4,1). Pensando a Gesù, le pareva, tuttavia, di trovarsi nella situazione di un cieco, che mentre sa di avere davanti qualcuno, non riesce a immaginare il suo volto, dato che non può vederlo. Allora, appoggiando semplicemente il pensiero e l’affetto sui fatti del Vangelo, Teresa fece la scoperta che il punto centrale della preghiera, la sua realtà e verità fondamentale, è l’incontro-comunione della nostra umanità con quella del Signore, al modo stesso degli sposi. Tale sponsalità, in forza del mistero dell’Incarnazione, è un “già” che opera in profondità anche nella fatica della preghiera, affinchè sempre più sia colmata l’infinita distanza del “non ancora” dell’unione perfetta.
Quello che è accaduto nell’incarnazione di Cristo è una sorta di nodo ontologico che nella persona divina del Figlio di Dio è stato stretto indissolubilmente tra la natura umana di ognuno di noi e la natura divina di Cristo. In forza di questa verità e realtà, tutto ciò che appartiene al mio essere è stato trasfigurato, “preso dentro” l’amore della Trinità, come una spugna fa con l’acqua, e la vita di orazione è l’artefice di tale divinizzazione della persona umana, dono e compito dello Spirito Santo.
Alfine, è per questo fine di Amore che siamo stati creati, e solo custodendo il dono della preghiera, cioè ascoltando la Parola di Dio, possiamo sperimentare che in Cristo, uomo come noi, “è bello per noi essere qui”, pur nella tristezza dei nostri tempi.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.