Tratto dal Sito Internet
www.lagazzettadelmezzogiorno.it
C’è chi ancora spera che il presidente Nichi Vendola «si ravveda», riapra le porte al Pd per una nuova (sarebbe l’ennesima) concessione ai Democratici sui nomi da portare in giunta, onde ri-concordarli con una delegazione da inviare al termine dell’ufficio politico, convocato oggi dal segretario regionale pugliese Sergio Blasi. In realtà, dietro gli auspici di qualcuno, c’è la diffusa consapevolezza che i giochi sono fatti, la giunta è quella decisa venerdì scorso dal governatore. Ed ora, più che aria di ritocchi a questa o quella poltrona di governo (forse ancora possibile solo sulle deleghe da assegnare, non sui nomi) tira aria di resa dei conti dentro il Pd, per la gestione approssimativa del negoziato col governatore da parte dei vertici.
Sul banco degli imputati (anche a Roma, dove i leader sarebbero indispettiti dalla situazione) ci sarebbe Blasi, reo - a detta di una fetta trasversale del partito, che va dall’area di Michele Emiliano all’area Democratica di Guglielmo Minervini agli stessi dalemiani - di aver tentato il «colpo grosso»: da segretario (e consigliere regionale) avrebbe cercato di ottenere il posto da vicepresidente in giunta nonostante i veti posti dal leader Bersani. Un tentativo, andato in scena con il blitz di Emiliano e Maniglio, immediatamente rintuzzato dal governatore che, forte di un negoziato che lo aveva visto sino ad allora concedere solo cinque posti ai Democratici (gli uscenti Minervini, Amati, Pelillo, Capone e Gentile) ha potuto agevolmente chiudere la trattativa lasciando al Pd il sesto assessorato con il «paletto» che fosse una donna a guidarlo. Così, mentre l’asse Emiliano-Blasi tentava l’assist (il primo per piazzare in giunta il segretario e riprendere in mano il partito, il secondo per entrare in giunta), Vendola chiudeva il cerchio direttamente con Massimo D’Alema, lasciando ai Democratici la vicepresidenza ma ottenendo dal leader Pd il nome della svolta: Marida Dentamaro. Il cerchio si chiude: le «anime» del partito sono tutelate e rappresentate (Amati e Minervini per i franceschiniani, Gentile e la Dentamaro per i dalemiani-Bersani, Capone per l’area Emiliano e Pelillo per l’area Letta-Bersani), l’uscente dalemiano Loizzo viene compensato da una donna della stessa area (la Dentamaro) e il Pd pugliese arriva, con tre giorni di ritardo, alla discussione che avrebbe dovuto precedere ogni negoziato, quella di oggi.
«Il partito non c’è, il congresso ha determinato un segretario - attacca il deputato Gero Grassi - che si muove in solitudine, tenendosi attorno organismi pletorici che non decidono nulla. Bisogna creare un partito, con una maggioranza e una minoranza, sapendo che la prima non è un padrone e la seconda non è un’ospite. Solo un partito degno di essere chiamato tale può aiutare Vendola a ragionare non sulle poltrone ma sulle soluzioni dei problemi. E, non presentandosi ai negoziati come un mendicante, rappresentati da un segretario che invece di chiedere per il partito chiede per sé, evitare che Nichi diventi una sorta di Bokassa alla pugliese». È illusorio, aggiunge, riunirsi «pensando di rimettere in discussione ciò che Vendola ha già deciso e su cui ha trovato un punto di sintesi. È vero - dice Grassi - Nichi ha fatto l’asso pigliatutto in questa vicenda, ha largheggiato negli assessori esterni non valutando le competenze che ci sono tra i consiglieri eletti e ha esagerato sulla parità di genere, impuntandosi sui 7 posti per le donne. Ma di fronte a lui non ha avuto un interlocutore, perché il Pd non è stato in grado di esserlo».
Una punta di rabbia la covano anche i consiglieri regionali e ad attaccare è Nicola Canonico: «oggi c’è la prima riunione del partito con i suoi eletti, l’intero gruppo consiliare è stato estromesso da ogni decisione - dice - né è stato mai discusso un criterio da seguire nella gestione del negoziato. Questa discussione doveva avvenire prima». Ma anche tra le donne c’è risentimento nei confronti delle decisioni assunte dal governatore. Non è stato osservato - denuncia Cinzia De Marzo, del coordinamento della «Rete delle rose rosse» - «il rispetto dei rapporti di forza e della volontà degli elettori», scegliendo in giunta i più suffragati come ha fatto in Veneto Zaia, che ha nominato «assessori solo gli eletti al consiglio regionale e con la stessa indennità economica». Vendola, insomma, ha fatto un uso «strumentale e demagogico dell’argomento dei “tecnici esterni” e delle “quote rosa”».
Ed è questa la leva su cui punteranno, per lavorare ai fianchi di Nichi sino al momento della proclamazione, Emiliano e Blasi, contrari (per motivi diversi tra loro) alla nomina della Dentamaro: un esterno (sarebbero 7 su 14) costa troppo. Ma il tempo sembra davvero scaduto.
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C’è chi ancora spera che il presidente Nichi Vendola «si ravveda», riapra le porte al Pd per una nuova (sarebbe l’ennesima) concessione ai Democratici sui nomi da portare in giunta, onde ri-concordarli con una delegazione da inviare al termine dell’ufficio politico, convocato oggi dal segretario regionale pugliese Sergio Blasi. In realtà, dietro gli auspici di qualcuno, c’è la diffusa consapevolezza che i giochi sono fatti, la giunta è quella decisa venerdì scorso dal governatore. Ed ora, più che aria di ritocchi a questa o quella poltrona di governo (forse ancora possibile solo sulle deleghe da assegnare, non sui nomi) tira aria di resa dei conti dentro il Pd, per la gestione approssimativa del negoziato col governatore da parte dei vertici.
Sul banco degli imputati (anche a Roma, dove i leader sarebbero indispettiti dalla situazione) ci sarebbe Blasi, reo - a detta di una fetta trasversale del partito, che va dall’area di Michele Emiliano all’area Democratica di Guglielmo Minervini agli stessi dalemiani - di aver tentato il «colpo grosso»: da segretario (e consigliere regionale) avrebbe cercato di ottenere il posto da vicepresidente in giunta nonostante i veti posti dal leader Bersani. Un tentativo, andato in scena con il blitz di Emiliano e Maniglio, immediatamente rintuzzato dal governatore che, forte di un negoziato che lo aveva visto sino ad allora concedere solo cinque posti ai Democratici (gli uscenti Minervini, Amati, Pelillo, Capone e Gentile) ha potuto agevolmente chiudere la trattativa lasciando al Pd il sesto assessorato con il «paletto» che fosse una donna a guidarlo. Così, mentre l’asse Emiliano-Blasi tentava l’assist (il primo per piazzare in giunta il segretario e riprendere in mano il partito, il secondo per entrare in giunta), Vendola chiudeva il cerchio direttamente con Massimo D’Alema, lasciando ai Democratici la vicepresidenza ma ottenendo dal leader Pd il nome della svolta: Marida Dentamaro. Il cerchio si chiude: le «anime» del partito sono tutelate e rappresentate (Amati e Minervini per i franceschiniani, Gentile e la Dentamaro per i dalemiani-Bersani, Capone per l’area Emiliano e Pelillo per l’area Letta-Bersani), l’uscente dalemiano Loizzo viene compensato da una donna della stessa area (la Dentamaro) e il Pd pugliese arriva, con tre giorni di ritardo, alla discussione che avrebbe dovuto precedere ogni negoziato, quella di oggi.
«Il partito non c’è, il congresso ha determinato un segretario - attacca il deputato Gero Grassi - che si muove in solitudine, tenendosi attorno organismi pletorici che non decidono nulla. Bisogna creare un partito, con una maggioranza e una minoranza, sapendo che la prima non è un padrone e la seconda non è un’ospite. Solo un partito degno di essere chiamato tale può aiutare Vendola a ragionare non sulle poltrone ma sulle soluzioni dei problemi. E, non presentandosi ai negoziati come un mendicante, rappresentati da un segretario che invece di chiedere per il partito chiede per sé, evitare che Nichi diventi una sorta di Bokassa alla pugliese». È illusorio, aggiunge, riunirsi «pensando di rimettere in discussione ciò che Vendola ha già deciso e su cui ha trovato un punto di sintesi. È vero - dice Grassi - Nichi ha fatto l’asso pigliatutto in questa vicenda, ha largheggiato negli assessori esterni non valutando le competenze che ci sono tra i consiglieri eletti e ha esagerato sulla parità di genere, impuntandosi sui 7 posti per le donne. Ma di fronte a lui non ha avuto un interlocutore, perché il Pd non è stato in grado di esserlo».
Una punta di rabbia la covano anche i consiglieri regionali e ad attaccare è Nicola Canonico: «oggi c’è la prima riunione del partito con i suoi eletti, l’intero gruppo consiliare è stato estromesso da ogni decisione - dice - né è stato mai discusso un criterio da seguire nella gestione del negoziato. Questa discussione doveva avvenire prima». Ma anche tra le donne c’è risentimento nei confronti delle decisioni assunte dal governatore. Non è stato osservato - denuncia Cinzia De Marzo, del coordinamento della «Rete delle rose rosse» - «il rispetto dei rapporti di forza e della volontà degli elettori», scegliendo in giunta i più suffragati come ha fatto in Veneto Zaia, che ha nominato «assessori solo gli eletti al consiglio regionale e con la stessa indennità economica». Vendola, insomma, ha fatto un uso «strumentale e demagogico dell’argomento dei “tecnici esterni” e delle “quote rosa”».
Ed è questa la leva su cui punteranno, per lavorare ai fianchi di Nichi sino al momento della proclamazione, Emiliano e Blasi, contrari (per motivi diversi tra loro) alla nomina della Dentamaro: un esterno (sarebbero 7 su 14) costa troppo. Ma il tempo sembra davvero scaduto.
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