martedì 17 novembre 2009

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - VITA, FAMIGLIA E SVILUPPO: L'UNITA' ANTROPOLOGICA DELL'ENCICLICA / 1 (74.ESIMA PARTE)

29 ottobre 2009
Tratto da ZENIT.org
Ecco l'articolo di David L. Schindler, Preside dell'Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia di Washington, apparso nell'ultimo "Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa" (V (2009) 93-97) dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân, dedicato alla "Caritas in veritate” di Benedetto XVI.
«La verità dello sviluppo consiste nella sua integralità: se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo» (Caritas in veritate n. 18). Questo, dice Benedetto XVI nella sua nuova enciclica, è «il messaggio centrale della Populorum progressio, valido oggi e sempre» (18). Lo sviluppo umano integrale sul piano naturale, risposta a una vocazione di Dio creatore1, domanda il proprio inveramento in un “umanesimo trascendente, che ... conferisce [all'uomo] la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale”2. La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale (n. 18).
Secondo Benedetto, la carità nella verità incentrata in Dio è la chiave di questo “sviluppo umano integrale”. «Dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende» (n. 2). La carità è così «il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» (n. 1).
La chiamata all’amore, in altre parole, non è qualcosa di imposto all’uomo dall’esterno, come una aggiunta estrinseca al suo essere. Al contrario, la carità pulsa nel cuore di ogni uomo. «L'interiore impulso ad amare» è «la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo», proprio mentre è “purificato e liberato da Gesù Cristo,” che ci rivela la sua pienezza (n. 1). «In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona» (n. 1). La Dottrina sociale della Chiesa così, in una parola, è «caritas in veritate in re sociali: annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società» (n. 5).
In questo contributo mi propongo di esaminare il legame tra lo sviluppo, la famiglia e le problematiche della vita nella Caritas in veritate. Per introdurre questa riflessione, propongo tre osservazioni relative all’unità antropologica della Dottrina sociale della Chiesa che sono implicate nelle citazioni dell’enciclica appena viste.
CAPITOLO I.
(1)
E’ importante notare prima di tutto che la Dottrina sociale della Chiesa non pretende di offrire soluzioni tecniche sull’economia e lo sviluppo (n. 9). Nello stesso tempo, in virtù della incarnazione sacramentale della verità in Cristo in quanto Creatore e Redentore, la Chiesa diventa «esperta in umanità»
3, nel senso che ha una «missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (n. 9). La sua Dottrina sociale assume le verità presenti in tutti gli ambiti del sapere, spesso in modo frammentario, e le riunisce in unità.
Quindi, da un lato lo scopo della Chiesa non è di indicare uno specifico sistema economico, dall’altro è di proporre principi che riguardano tutte le attività umane dall’interno, comprese le attività nella politica e dell’ambito pubblico (n. 56) e ogni fase dell’attività economica (n. 37). In questo Benedetto richiama l’insegnamento di Giovanni Paolo II che, dopo il crollo dei sistemi economici e politici dei paesi comunisti dell’Europa orientale, disse che c’era bisogno di un nuovo complessivo progetto di sviluppo, non solo in quei paesi, ma anche nel mondo Occidentale; ora Benedetto afferma che questo “continua ad essere un reale dovere al quale occorre dare soddisfazione» (n. 23).
Circa le tendente in Occidente, la Caritas in veritate rifiuta la lettura della Centesimus annus (n. 92) che concepisce I tre “soggetti” del sistema sociale - lo Stato, il mercato e la società civile - ognuno come avente una sua propria logica, solo estrinsecamente correlata con le altre (nn. 38-40). Come è stato detto dal Cardinale Tarcisio Bertone nel suo discorso al Senato italiano del 28 luglio 2009: «Questa concettualizzazione, che confonde l'economia di mercato che è il genus con una sua particolare species quale è il sistema capitalistico, ha portato ad identificare l'economia con il luogo della produzione della ricchezza (o del reddito) e il sociale con il luogo della solidarietà per un'equa distribuzione della stessa»4
La Caritas in veritate rifiuta questa separazione tra “soggetti,” che minerebbe la vocazione all’amore come elemento integrante per ogni attività e sviluppo umano: di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Parafrasando il Cardinale Bertone, dobbiamo abbandonare la concezione dominante che confina la Dottrina sociale della Chiesa, compresa la centralità della persona, la solidarietà, la sussidiarietà e il bene comune, nelle attività sociali, mentre gli “esperti in efficienza” dovrebbero portare avanti l’economia5. Questo naturalmente non significa che esperienza ed efficienza non siano necessarie, ma solo che la loro integrazione è necessaria per il funzionamento dell’economia già nelle sue attività di produzione di ricchezza, se correttamente intese. In una parola, «Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica» (n. 35).
(2) Il principale presupposto dell’argomentazione della Caritas in veritate è l’universalità della vocazione all’amore. Tutti sappiamo di non essere «risultato di autogenerazione» (68). Questo implica il sentimento del Creatore che il Cardinale Ratzinger/Benedetto descrive in altri suoi scritti in termini di anamnesis, la memoria di Dio che «coincide con i fondamenti del nostro essere»6 . Questa memoria di Dio può essere ignorata o rifiutata ma non è mai assente dalla coscienza umana7 . In una parola, una tensione verso la comunione con Dio e con le altre creature in relazione a Dio è presente nell’intima profondità di ogni essere umano, non solo dei cristiani. La richiesta dell’enciclica di un nuovo corso del pensiero secondo i principi di gratuità e relazionalità, intesi in senso metafisico e teologico, ha origine da questa universale anamnesis dell’amore di Dio (cf. nn. 53, 55).
(3) La Caritas in veritate riafferma con forza l’idea del bene comune. «Volere il bene comune e adoperarsi per esso - dice Benedetto - è esigenza di giustizia e di carità» (n. 7). Prendersi cura del bene comune richiede “complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città (n. 7). L’impegno per il bene comune dà «forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio» (n. 7). Circa l’attività economica, il Papa insiste nel dire che non si possono risolvere i problemi sociali solo con l’applicazione della logica del mercato, che «va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica» (n. 36). «Il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica» (36).
L’insistenza di Benedetto sul bene comune genera due importanti conseguenze. Da un lato implica il rifiuto del dualismo tra ordine temporale ed eterno tipico delle società liberali. Contrariamente a John Locke, per esempio, Benedetto ritiene che l’attività economica non sia propria solo dell’ordine temporale, ma anche di quello eterno, altrimenti la città del cielo arriva solo dopo la vita sulla terra, oppure durante questa vita rimane un fatto puramente privato. Locke riconosce che la religione è importante per la moralità e quindi utile per il funzionamento della città terrena, ma solo come uno strumento per mantenere l’ordine pubblico, e non come un bene intrinseco per la comunità civile in quanto tale.
La Caritas in veritate chiarisce anche che la Chiesa parla di bene comune, piuttosto che di ordine pubblico, come finalità propria dell’attività politica ed economica. L’enciclica, in altre parole, respinge l’idea “giuridica” delle istituzioni politiche ed economiche, in conformità con la lettura data per esempio dalla Dignitatis humane del Concilio Vaticano II o dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II: idea secondo cui queste istituzioni riguardano solo la giustizia come equità procedurale (Rawls) e non come espressione di un ordine naturale ricevuto e dei fini propri dell’uomo 8.
(1-Continua)

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