Tratto da ZENIT.org
Ecco di seguito il discorso pronunciato il 5 ottobre scorso dall’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo a Vicenza a un incontro promosso dalla Fondazione Migrantes diocesana.
CAPITOLO I. Introduzione
Vi sono grato per l’invito ad aprire il Vostro programma pastorale 2009-2010.
La Caritas in Veritate1, oggetto della nostra attenzione stasera sotto il particolare angolo di visuale che è la pastorale per i migranti, è nella linea delle grandi encicliche che costituiscono la dottrina sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum alla Populorum Progressio, dalla Sollecitudo Rei Socialis alla Centesimus Annus, per citarne alcune. Essa tratta dello “sviluppo umano integrale”, ma - è sua specificità - alla luce della “carità nella verità”, ritenuta “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (N. 1). Non ignorando certo il contesto sociale e culturale in cui viviamo, che tende a “relativizzare il vero”, ugualmente il Papa afferma che “l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale” (N. 4). Fra di essi, la carità, se separata dalla verità, sarà “relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni” e “esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale” (ib.).
Così dopo l’inizio folgorante del documento, per noi una vera e propria teologia pastorale con base nella carità e verità, di cui riprenderemo qualche linea fondamentale, presenteremo qui alcuni tratti dell’enciclica che hanno relazione con la pastorale specifica della mobilità umana, prima e dopo il N. 62 del documento, il quale tratta direttamente del macrofenomeno delle migrazioni (e sul quale sosteremo più a lungo).
In effetti il nostro Pontificio Consiglio si occupa di ben nove Settori di pastorale della mobilità, quella migratoria (interna a un Paese e internazionale, di tipo economico e forzata - rifugiati, richiedenti asilo, profughi, soggetti al traffico di esseri umani, lavoratori forzati, apolidi, ragazzi soldato, ecc. -, e riferentesi agli studenti esteri) e quella itinerante, che comprende altresì i turisti internazionali, assieme ai pellegrini, oltre a nomadi, zingari, circensi, lunaparkisti, pescatori, marinai e croceristi, viaggiatori e lavoratori dell’aeronautica civile e infine automobilisti e autotrasportatori, ragazzi e donne di strada e persone senza fissa dimora. Queste ultime quattro categorie sono articolate nel Settore “Apostolato - o Pastorale - della strada”.
CAPITOLO II. Visione generale dell’enciclica in rapporto alle migrazioni
L’inizio del documento è un nuovo inno alla carità, in linea con quello di S. Paolo (I Cor, 13), in binomio con la verità, basato in Gesù Cristo, morto e risorto, “forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (N. 1). “In Cristo, la carità nella verità diventa il “Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto” (ib.), e fra di essi ci sono anche i migranti.
Per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa, come appare dall’enciclica, la carità è la sua via maestra (cfr. N. 2), alla cui dinamica, ricevuta e donata, risponde la stessa dottrina (cfr. N. 5); la carità poi è “amore ricevuto e donato. Essa è grazia” (ib.).
Vi è qui una conseguenza, per Benedetto XVI, che desidero richiamare, sempre in prospettiva pastorale, e cioè che “Per [lo] stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica” (N. 3). “La verità, infatti, è ‘logos’ che crea ‘dia-logos’ e quindi comunicazione e comunione” (N. 4).
Trovasi ivi la radice di quell’umanesimo cristiano (N. 78), che è molte volte auspicato nel testo dell’enciclica e che risulta una delle sue caratteristiche espressioni (v. “un umanesimo nuovo”: N. 19, “un vero umanesimo integrale”: N. 78, “un umanesimo trascendente”: N. 18, “un umanesimo aperto all’Assoluto”: N. 78, che si manifesta pure nella “civiltà dell’amore”: N. 33, la quale deve puntare anche alla “civilizzazione dell’economia”: N. 38).
1. Due criteri orientativi: la giustizia e il bene comune
Caritas in veritate è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa (N. 6), con due criteri orientativi, in particolare, dettati in special modo dall’impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune (v. N. 7, 36, 78). Lo sono per noi, espressamente, per una delle manifestazioni della globalizzazione che richiama allo sviluppo umano integrale, e cioè il macrofenomeno delle migrazioni. Sottolineo qui in modo speciale il bene comune, poiché continuamente abbiamo proposto quattro principi per il regolamento legittimo dei flussi migratori da parte dei Governi, e cioè :
Il loro impegno a far sì che non sia necessario a chi vive in Paesi poveri il dover emigrare per vivere conformemente alla propria dignità umana (diritto a non emigrare);
quello a emigrare;
il diritto delle pubbliche autorità nazionali a regolare i flussi migratori (con rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti e della distinzione, nei loro flussi misti, fra quelli “economici” e i rifugiati e richiedenti asilo ), tenendo presente il bene comune della nazione;
ma nel contesto del bene comune universale (v. N. 7; cfr. pure la bella parte finale del N. 34 e l’affermazione che “i poveri non sono da considerarsi un ‘fardello’, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico”: N. 35. In ogni caso “ogni lavoratore è un creatore”: N. 41).
2. Continuità di Magistero
Occorre sottolineare che le novità presentate dall’attuale enciclica sono in continuità con il Magistero sociale dei precedenti Pontefici, sia dopo che prima del Concilio Vaticano II, e dello stesso Sinodo ecumenico. Infatti “non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. È giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale. Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta. La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo «patrimonio» dottrinale che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa” (N. 12).
Ci sia permesso a questo punto, richiamare l’attenzione sulla rilettura, nel documento in parola, della Populorum Progressio, che il Santo Padre fa nel capitolo primo di questa nuova enciclica, all’inizio programmata proprio per il quarantesimo di pubblicazione, prendendovi egli lo spunto anche per ribadire l’importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II, il fecondo rapporto della Populorum Progressio con tale Concilio e, in particolare, con la Costituzione pastorale Gaudium et Spes (N. 11). Il Papa sottolinea che detta enciclica, “non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale Magistero nella continuità della vita della Chiesa” (N. 12). È evidente qui il riecheggiare del discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulla corretta ermeneutica conciliare.2
L’insegnamento conciliare è poi legato al discernimento dei segni dei tempi (cfr. N. 18), tra i quali certamente è da considerare la mobilità umana3, e cioè sia la migrazione che il turismo, nel contesto dell’autentico sviluppo, il quale “deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” (18), pure di chi è migrante, dunque, sia sul piano naturale che soprannaturale (cfr. ib.).
CAPITOLO I. Introduzione
Vi sono grato per l’invito ad aprire il Vostro programma pastorale 2009-2010.
La Caritas in Veritate1, oggetto della nostra attenzione stasera sotto il particolare angolo di visuale che è la pastorale per i migranti, è nella linea delle grandi encicliche che costituiscono la dottrina sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum alla Populorum Progressio, dalla Sollecitudo Rei Socialis alla Centesimus Annus, per citarne alcune. Essa tratta dello “sviluppo umano integrale”, ma - è sua specificità - alla luce della “carità nella verità”, ritenuta “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (N. 1). Non ignorando certo il contesto sociale e culturale in cui viviamo, che tende a “relativizzare il vero”, ugualmente il Papa afferma che “l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale” (N. 4). Fra di essi, la carità, se separata dalla verità, sarà “relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni” e “esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale” (ib.).
Così dopo l’inizio folgorante del documento, per noi una vera e propria teologia pastorale con base nella carità e verità, di cui riprenderemo qualche linea fondamentale, presenteremo qui alcuni tratti dell’enciclica che hanno relazione con la pastorale specifica della mobilità umana, prima e dopo il N. 62 del documento, il quale tratta direttamente del macrofenomeno delle migrazioni (e sul quale sosteremo più a lungo).
In effetti il nostro Pontificio Consiglio si occupa di ben nove Settori di pastorale della mobilità, quella migratoria (interna a un Paese e internazionale, di tipo economico e forzata - rifugiati, richiedenti asilo, profughi, soggetti al traffico di esseri umani, lavoratori forzati, apolidi, ragazzi soldato, ecc. -, e riferentesi agli studenti esteri) e quella itinerante, che comprende altresì i turisti internazionali, assieme ai pellegrini, oltre a nomadi, zingari, circensi, lunaparkisti, pescatori, marinai e croceristi, viaggiatori e lavoratori dell’aeronautica civile e infine automobilisti e autotrasportatori, ragazzi e donne di strada e persone senza fissa dimora. Queste ultime quattro categorie sono articolate nel Settore “Apostolato - o Pastorale - della strada”.
CAPITOLO II. Visione generale dell’enciclica in rapporto alle migrazioni
L’inizio del documento è un nuovo inno alla carità, in linea con quello di S. Paolo (I Cor, 13), in binomio con la verità, basato in Gesù Cristo, morto e risorto, “forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (N. 1). “In Cristo, la carità nella verità diventa il “Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto” (ib.), e fra di essi ci sono anche i migranti.
Per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa, come appare dall’enciclica, la carità è la sua via maestra (cfr. N. 2), alla cui dinamica, ricevuta e donata, risponde la stessa dottrina (cfr. N. 5); la carità poi è “amore ricevuto e donato. Essa è grazia” (ib.).
Vi è qui una conseguenza, per Benedetto XVI, che desidero richiamare, sempre in prospettiva pastorale, e cioè che “Per [lo] stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica” (N. 3). “La verità, infatti, è ‘logos’ che crea ‘dia-logos’ e quindi comunicazione e comunione” (N. 4).
Trovasi ivi la radice di quell’umanesimo cristiano (N. 78), che è molte volte auspicato nel testo dell’enciclica e che risulta una delle sue caratteristiche espressioni (v. “un umanesimo nuovo”: N. 19, “un vero umanesimo integrale”: N. 78, “un umanesimo trascendente”: N. 18, “un umanesimo aperto all’Assoluto”: N. 78, che si manifesta pure nella “civiltà dell’amore”: N. 33, la quale deve puntare anche alla “civilizzazione dell’economia”: N. 38).
1. Due criteri orientativi: la giustizia e il bene comune
Caritas in veritate è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa (N. 6), con due criteri orientativi, in particolare, dettati in special modo dall’impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune (v. N. 7, 36, 78). Lo sono per noi, espressamente, per una delle manifestazioni della globalizzazione che richiama allo sviluppo umano integrale, e cioè il macrofenomeno delle migrazioni. Sottolineo qui in modo speciale il bene comune, poiché continuamente abbiamo proposto quattro principi per il regolamento legittimo dei flussi migratori da parte dei Governi, e cioè :
Il loro impegno a far sì che non sia necessario a chi vive in Paesi poveri il dover emigrare per vivere conformemente alla propria dignità umana (diritto a non emigrare);
quello a emigrare;
il diritto delle pubbliche autorità nazionali a regolare i flussi migratori (con rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti e della distinzione, nei loro flussi misti, fra quelli “economici” e i rifugiati e richiedenti asilo ), tenendo presente il bene comune della nazione;
ma nel contesto del bene comune universale (v. N. 7; cfr. pure la bella parte finale del N. 34 e l’affermazione che “i poveri non sono da considerarsi un ‘fardello’, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico”: N. 35. In ogni caso “ogni lavoratore è un creatore”: N. 41).
2. Continuità di Magistero
Occorre sottolineare che le novità presentate dall’attuale enciclica sono in continuità con il Magistero sociale dei precedenti Pontefici, sia dopo che prima del Concilio Vaticano II, e dello stesso Sinodo ecumenico. Infatti “non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. È giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale. Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta. La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo «patrimonio» dottrinale che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa” (N. 12).
Ci sia permesso a questo punto, richiamare l’attenzione sulla rilettura, nel documento in parola, della Populorum Progressio, che il Santo Padre fa nel capitolo primo di questa nuova enciclica, all’inizio programmata proprio per il quarantesimo di pubblicazione, prendendovi egli lo spunto anche per ribadire l’importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II, il fecondo rapporto della Populorum Progressio con tale Concilio e, in particolare, con la Costituzione pastorale Gaudium et Spes (N. 11). Il Papa sottolinea che detta enciclica, “non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale Magistero nella continuità della vita della Chiesa” (N. 12). È evidente qui il riecheggiare del discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulla corretta ermeneutica conciliare.2
L’insegnamento conciliare è poi legato al discernimento dei segni dei tempi (cfr. N. 18), tra i quali certamente è da considerare la mobilità umana3, e cioè sia la migrazione che il turismo, nel contesto dell’autentico sviluppo, il quale “deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” (18), pure di chi è migrante, dunque, sia sul piano naturale che soprannaturale (cfr. ib.).
(1-Continua)
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