giovedì 30 dicembre 2010

ELECTION DAY 2011 / I GIOVANI AL CENTRO DEI MELISSANESI PER IL BENE DEL PAESE

I giovani saranno i protagonisti della prossima stagione politico-amministrativa di Melissano.
Mai più strumentalizzati nelle liste per farli fuori durante il governo.
I giovani non sono leve da assoldare per la propria poltrona, sono forze e risorse da valorizzare nel territorio, a disposizione di chi vive e intende migliorare il territorio.
Butta a mare la zavorra, prendi a cuore i giovani.

CARTA CANTA (34) - SINDACO E AMMINISTRAZIONE SORDA, LO DICE ANCHE IL REVISORE NEL SUO VERBALE: "TROPPI CONTRIBUTI A FAMIGLIE BISOGNOSE"












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Proposta di Delibera adottata nella seduta del Consiglio Comunale di Melissano del 30 Novembre 2010.

CARTA CANTA (33) - IL CHIODO FISSO DI ROBERTO FALCONIERI X I DIPENDENTI COMUNALI (E X I CONCORSI) - E' QUESTA SECONDO LUI LA PRIORITA' DEI MELISSANESI




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Proposta di Delibera adottata nella seduta del Consiglio Comunale di Melissano del 30 Novembre 2010.

mercoledì 29 dicembre 2010

ELECTION DAY 2011 / AD ALLISTE E CASARANO E' CAMBIATO TUTTO: I GIOVANI SI RIAPPROPRIERANNO DEL FUTURO DI MELISSANO

Riappropriarci di quello che è nostro si può: del futuro, del futuro di Melissano.
Non è impossibile, è umano.
Con determinazione, convinzione e caparbietà vogliamo migliorare Melissano.
Nessuno è nato Sindaco. Ma un Buon Sindaco lo si diventa!

L'INTERVISTA / PARLA VITTORIO COLITTI JR "HO MENTITO PER PAURA, DA QUI I GUAI"

29 Dicembre 2010
Tratto dal Sito Internet
www.quotidianodipuglia.it
di Erasmo Marinazzo
Per la prima volta dall’inizio di questa storia hanno avuto l’aspetto di una famiglia normale, i Colitti di Ugento. Vittorio, 19 anni, assolto l’altro ieri sera dal Tribunale per i minorenni dall’accusa di aver aiutato il nonno ad ammazzare il vicino di casa e consigliere comunale e provinciale di Italia dei Valori, Peppino Basile.
Il padre Stefano che per primo soccorse Peppino moribondo la notte del 15 giugno del 2008. E la madre Vittoria De Giorgi che tante volte è rimasta a piangere fuori dall’aula in cui si è celebrato il processo del figlio. Ma la tensione e le lacrime per la signora Vittoria, sono ricomparse ieri sera durante il breve incontro avuto con i giornalisti nello studio dell’avvocato Francesca Conte, che ha difeso Vittorio con il collega Roberto Bray.
Signor Stefano, lei che Peppino Basile lo conosceva abbastanza bene che idea si è fatto sugli autori dell’omicidio?
«Peppino si era fatto tanti nemici per quel suo modo aggressivo di fare e di cui si parlava spesso. E poi per carattere si occupava spesso degli affari degli altri. L’idea che mi sono fatta io è questa. Che è poi quella che si diceva in paese».
Vittorio, i tuoi guai sono cominciati e sono proseguiti perchè tutte le volte che sei stato sentito da carabinieri e polizia hai cambiato versione sull’orario di rientro a casa. Perchè tanta incertezza?
«Ma io non ero stato mai in una caserma. E poi vedere un morto ammazzato è una cosa che ti traumatizza, non è cosa di tutti giorni. Tra l’altro lì a terra davanti a casa c’era il compare Peppino. Però non mi rendevo conto dei guai in cui mi stavo andando a ficcare raccontando ora un orario e poi un altro. Ma devo dire anche che l’ho fatto perchè temevo che qualcuno pensasse che avessi visto qualcosa: avevo paura per la mia incolumità».
Signor Stefano, non ebbe qualche buon consiglio da padre per suo figlio?
«Ma io non sapevo che fosse rientrato tardi a casa, più o meno in prossimità dell’ora in cui venne ammazzato Basile».
Signora Vittoria, il pubblico ministero Simona Filoni nelle repliche del giorno della sentenza ha riferito che durante un interrogatorio lei e sua suocera Antonia Marigliano scoppiaste in lacrime e poi vi lasciate con la promessa di pensarci. Pensarci a cosa?
«Di pensarci lo disse lei, il pubblico ministero».
Signor Stefano, durante le indagini e nel processo è stato spesso detto che ad Ugento ed in via Nizza in particolare si fosse creato un clima di omertà sul delitto Basile. Lei che lo soccorse per primo, concorda?
«Posso parlare per me, non per gli altri: appena fui svegliato dalle urla corsi in strada. Ero nudo, in mutande perchè ero troppo preoccupato per perdere tempo a vestirmi. Uscì per strada con l’intenzione di aiutare chiunque mi fossi trovato davanti, uno sconosciuto come il compare Peppino. L’ho fatto io ma credo che l’avrebbe fatto chiunque dei miei vicini. Scesi di corsa, se poi non vidi chi uccise Peppino non posso farci nulla. Ma questa non è omertà, ma questioni di secondi: gli assassini potrebbero aver girato l’angolo poco prima del mio arrivo».
Vittorio, in questi due anni e mezzo don Stefano Rocca ha spesso affermato di pregare per far emergere la verità. Avresti qualcosa da dirgli ora?
«Sì. Che le sue preghiere sono state esaudite».
Vittorio, in attesa di un eventuale appello, che farai nella vita?
«Mi voglio diplomare e lavorare come cuoco».

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (109) - LIBERTA' E RESPONSABILITA': L'AUTENTICA VOCAZIONE DELL'ATTIVITA' ECONOMICA

Di Stefano Fontana
24 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
L’enciclica Caritas in veritate (CV) di Benedetto XVI è molto più di un’enciclica sulla attuale crisi economica. E’ molto di più di un’enciclica sull’economia ed è addirittura molto di più di un’enciclica sullo sviluppo. Essa concerne il reciproco guardarsi della Chiesa e del mondo, della fede e della ragione, della sopranatura e della natura. In questo senso essa è un’enciclica sul “posto di Dio nel mondo” e ci dice non solo che la questione sociale è diventata ormai questione antropologica, ma che essa è, nelle sue radici, questione teologica[1]. Ciò tuttavia l’enciclica parla anche di economia, e a lungo. Quindi anch’io partirò dall’economia, per risalire però poi all’altra questione, più importante e fondativa, quella della questione sociale come questione teologica.
Una delle affermazioni principali dell’enciclica è quando Benedetto XVI dice che il dono e la gratuità devono entrare a far parte dell’attività economica fin dall’inizio[2]. Non si sottovaluti la grande novità di questa affermazione, anche rispetto al precedente magistero sociale. Il donare solitamente viene inteso come successivo al produrre. Si dona quanto si è prodotto. L’ambito del gratuito, della reciprocità, della fraternità sarebbe così un ambito che si aggiunge a quello economico della produzione di ricchezza. Secondo questo schema, quindi, l’economia sarebbe pienamente se stessa affidandosi a proprie logiche diverse da quella del dono. Poi, una volta dispiegatasi e raggiunti i suoi fini naturali, essa lascerebbe posto al dono. Questo schema interpretativo non tiene. E a dire che non tiene è prima di tutto l’economia.
Non è vero che si possa produrre senza presupporre una dimensione di gratuità. Non è vero, in altri termini, che il dono si collochi “dopo”[3]. Senza una quantità di beni immateriali non a carattere economico ma gratuito l’economia non funziona. Quand’anche il dono dovesse subentrare dopo che la produzione economica avesse trovato compimento, esso non sarebbe da essa riconosciuto, in quanto non economico. Il dono, allora, dovrebbe prescindere dalla razionalità economica, come la razionalità economica aveva precedentemente prescisso dal dono. Ma un dono che non tenesse in conto la razionalità economica non sarebbe nemmeno più tale, sarebbe come la carità senza la verità, dato che anche quella economica è una forma di intelligenza umana[4]. Come non è possibile una economia senza dono, così non è possibile il dono senza l’economia. E’ evidente quindi la complementarietà tra economia e dono, mentre rimane aperto, per il momento, se uno dei due abbia la priorità sull’altro, pur nella loro indiscutibile circolarità. Affronteremo questo tema tra poco.
Cerchiamo ora di capire più in profondità cosa significhi che l’economia ha bisogno del dono. Una cosa è certa: il dono non può essere prodotto, ma solo offerto e accolto. Offerto e accolto, appunto, in dono. Il dono e la gratuità rivelano così l’indisponibile, ossia un senso non prodotto ma ricevuto. Si pensa di solito che l’economia abbia solo a che fare con il disponibile, anzi essa sarebbe proprio la scienza che rende disponibili le risorse e i beni.
Eppure essa non funziona se non in virtù di qualcosa – il dono – che è indisponibile e quindi pre-economico, o meta-economico. Ciò significa che l’economia non è in grado di costituire autonomamente se stessa[5]. Essa ha bisogno di “qualcos’altro” che sfugge alle sue capacità produttive, in quanto è appunto indisponibile. Vorrei che si ponesse attenzione ad un aspetto. Non è che l’economia abbia bisogno di questo “qualcos’altro” per essere indirizzata “poi” in senso altruistico o solidale.
Essa ne ha bisogno per costituirsi come tale, o meglio, per prendere coscienza di sé sul suo proprio terreno. Nessuna realtà assume pienamente coscienza di sé a partire da se stessa. Nessun livello di realtà è fonte della propria verità. Niente si dà da sé il proprio nome. Ogni cosa ha bisogno di altro che la precede, la fonda e ne risveglia la capacità di senso. Infatti, il senso prodotto da noi non soddisfa, solo un senso non prodotto, ricevuto in dono, assume un vero soddisfacente significato e alla risposta al suo interpellarci ci costituiamo in identità[6].
Non chiedete agli economisti cos’è l’economia. Essi vi risponderebbero che l’economia è quello che gli economisti chiamano economia, il che non è propriamente una risposta. Per sapere chi si è bisogna distogliere lo sguardo da sé, e indirizzarlo non al guardare ma all’essere guardati. Così è anche per l’economia che ha bisogno di presupposti di senso che essa non sa produrre né sostituire quando dovessero venir meno nella coscienza comune.
Possiamo forse ora affrontare il tema che prima ho volutamente lasciato in disparte. Stante questa circolarità tra economia e dono, possiamo però stabilire una priorità dell’una sull’altro o viceversa? Il dono rivela l’indisponibile e come tale dovrebbe avere una priorità. Il senso, infatti, non è mai prodotto e un senso prodotto non ci soddisfa.
Però questo dono – come dice la CV - deve essere già presente nell’economia fin dall’inizio e non aggiungersi dopo. Esso non è prodotto dall’economia stessa e quindi deve venirle incontro, ma allora come fa ad esserci fin dall’inizio? Non si tratta di un bizantinismo. Se il dono si aggiunge “dopo” rimarrà sempre estrinseco all’economica; per essere riconosciuto e fatto proprio esso deve esserci già fin dall’inizio. Credo che sia possibile risolvere filosoficamente questo interessantissimo problema in questo modo: la dimensione del dono rappresenta la “vocazione” dell’economia, presente fin dall’inizio nell’economia stessa come “attesa”.
La dimensione del dono e della relazione di gratuita fraternità tra gli uomini dà senso all’economia, le indica la sua vocazione, le dice cos’è e a cosa deve tendere. Tutte cose che l’economia non sa darsi da sé. Questa parola, però, non potrebbe nemmeno essere compresa dall’economia se essa già non la attendesse. Capita così che la dimensione fraterna del dono induca l’economia a guardare dentro se stessa, a fare la propria anamnesi, a scoprire più in profondità la propria identità. La luce della vocazione non verrebbe nemmeno vista se essa non fosse già in qualche modo attesa, e l’attesa viene rischiarata nella propria realtà dalla scoperta della vocazione. Ciò che non dipende da noi e che ci è gratuitamente donato non si aggiunge quindi “dopo” quanto produciamo noi, ma ci interpella rendendoci maggiormente consapevoli di quello che possiamo e sappiamo fare.
Propongo allora di intendere così il rapporto tra economia e dono - una volta si diceva tra economia ed etica ma ormai questo termine è diventato ambiguo, come osserva la stessa CV - : il dono rappresenta la vocazione dell’economia in quanto le fa capire di non essere fine a se stessa ma di essere chiamata a sostenere la fraternità umana – una volta si diceva solidarietà, ma anche questo termini è diventato ambiguo e bene ha fatto la CV ad adoperare la parola fraternità. La logica del dono, come quella di ogni vocazione, non interviene in un secondo momento, alla fine del processo, quando l’economia ha fatto il proprio corso.
In questo caso essa sarebbe estrinseca all’economia e superflua, una appiccicaticcia etichetta moralistica. La vocazione è già presente nell’economia, già la anima nella forma dell’attesa. Si badi bene che questa dinamica circolare di vocazione e attesa ha senso se collocata nel suo luogo proprio, cioè nella persona umana. Non c’è l’economia, non c’è il dono, c’è la persona umana che è nello stesso tempo agire economico ed agire oblativo. Non dobbiamo cadere nelle astrazioni, né moltiplicare gli enti senza necessità.
La persona vivente è la sintesi, in essa si incontrano la razionalità economica e il dono. E’ qui, nella persona, che il dono funge da vocazione per la razionalità economica, invitando quest’ultima, che lo attendeva, a prendere maggiormente coscienza di sé. E’ la persona, non l’economia, ad avere bisogno di senso senza saperselo dare pienamente da sola. E’ la persona a fare l’esperienza del dono nella sua vita e di come questo dono non soffochi la propria umanità ma la inviti a scendere più in profondità dentro di sé.
Ci sono due esperienze umane che più di ogni altra portano con sé le caratteristiche di un senso in dono, ossia di una vocazione. Si tratta, per dirla con la CV, della verità e dell’amore. Tutti gli uomini ne fanno esperienza[7], tutti fanno la «stupefacente esperienza del dono»[8] e in quello stesso mentre vengono costituiti nella loro specifica verità e dignità. Nessuno, come si diceva, si dà la propria verità, nessuno, per dirla con un Ratzinger di annata 1969, si toglie fuori da solo dalle proprie incertezze[9]. La mia dignità risulta chiara a me stesso quando sono fatto oggetto di amore e quando scopro la verità, che è sempre più di quanto non ci aspettasimo. Amore e verità ci liberano così dai nostri determinismi e ci rendono maturi e liberi. L’amore e la verità sono la vocazione dell’intera realtà. Esse sono però già presenti nella realtà nella forma dell’attesa, altrimenti non sarebbero nemmeno riconosciute al loro passare. Più che conosciuti, amore e verità sono riconosciuti.
Siamo così ritornati al principio della CV, al titolo stesso dell’enciclica. Dicevo prima che essa è più di un’enciclica sull’economia e più di un’enciclica sullo sviluppo. Essa riguarda l’interfacciarsi della Chiesa e del mondo, della fede e della ragione, della sopranatura e della natura. Ci invita a domandarci se, secondo noi, il mondo, la ragione, la natura hanno in se stessi le capacità per capire fino in fondo cosa sono.
Oppure, se non siano capaci di darsi un senso, perché il senso non può mai essere prodotto ma solo ricevuto in dono. La risposta della CV è la risposta eterna del Vangelo. Solo il Dio che è Amore e Verità può essere vocazione, ossia un senso in dono. Vocazione che però ha la pretesa di corrispondere ad una nostra profonda attesa[10]. Vorrei esprimere questo concetto con le parole di Henri de Lubac: «Rivelando il Padre ed essendo rivelato da lui, Cristo finisce di rivelare l’uomo a se stesso.
Prendendo possesso dell’uomo, afferrandolo e penetrando fino al fondo del suo essere, forza anche lui a scendere dentro di sé per scoprirvi bruscamente regioni fino ad allora insospettate. Per mezzo di Cristo la persona è adulta, l’uomo emerge definitivamente dall’universo, prende piena coscienza di sé»[11]. Dentro in questo uomo che prende coscienza di sé mediante l’incontro con Cristo c’è anche la razionalità economica, la quale quindi è chiamata a scendere dentro di sé per scoprirvi regini fino ad allora insospettate. E’ così che essa capisce cosa veramente sia e a cosa serva.
Note
1) E’ questo il titolo della Conclusione del mio libro Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Cantagalli, Siena 2010, pp. 151-154. Le riflessioni di questo contributo tengono conto ampiamente di quanto esposto in questo libro, oltre che nelle sue Conclusioni.
2) «Il principio e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica» (Caritas in veritate n. 36).
3) «La carità non è un’aggiunta posteriore, quasi un’appendice a lavoro ormai concluso delle varie discipline, bensì dialoga con esse fin dal principio» (Caritas in veritate n. 30).
4) «Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore» (Caritas in veritate n. 30).
5) «Il mercato non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità» (Caritas in veritate n. 35).
6) Ho ampiamente trattato di questi temi in S. Fontana, Parola e comunità politica … cit.
7) Perche «sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo» (Caritas in veritate n. 1).
8) Caritas in veritate n. 34.
9) «Dal pantano dell’incertezza, dell’incapacità di vivere, nessuno è in grado di tirarsi fuori da sé» (Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, dodicesima edizione con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 2003, p. 41».
10) «La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio concorda con le aspirazioni più segrete del cuore umano (Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes n. 21).
11) H. de Lubac, Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma cit. p. 258.
Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa (http://www.vanthuanobservatory.org/) e direttore del settimanale della Diocesi di Trieste “Vita Nuova”.

DENTRO IL NATALE (19) - IL NATALE VISTO DA SANT'AGOSTINO

Di don Marcello Stanzione
24 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Sant’Agostino (354-430) era un vescovo vicino al suo popolo, pensatore acutissimo, scrittore, teologo, esegeta, filosofo. I suoi scritti sono un tesoro della Patrologia cristiana. La sua creazione della regola comunitaria nella Chiesa è un fondamento sul quale i secoli successivi hanno potuto elevare un’alta torre senza schiacciare la base teologica fornita dal vescovo di Ippona.
Agostino è considerato uno dei padri della Chiesa d’Occidente, insieme ad Ambrogio, Gregorio Magno e Girolamo, nonché uno dei più grandi teologi e filosofi della Chiesa. A renderlo famoso è stata la sua immensa produzione letteraria, una enorme quantità di discorsi e scritti tra i quali i più celebri sono “La città di Dio”, un’apologia del cristianesimo e “Le Confessioni”, la sua autobiografia che rappresenta anche uno dei grandi capolavori di tutti i tempi. Agostino apprezzava la fede semplice di sua madre Monica che la Chiesa festeggia il 27 agosto, ma era convinto che il credente dovesse crescere nella conoscenza della fede e ripensarla criticamente per non essere travolto dagli errori e dalle critiche.
Agostino era convinto che l’amore genuino di Dio e del prossimo nasce solo dalla verità conosciuta attraverso la ragione e la fede. Il nucleo del suo pensiero teologico ruota attorno al tema del peccato e della Grazia divina, intesa come unica, autentica fonte da cui attingere la salvezza. Agostino è stato un intellettuale vicino ai poveri, ai quali distribuiva tutte le offerte che riceveva e giunse persino a fondere i sacri vasi di metallo per soccorrere i bisogni dei poveri. Accoglieva le persone dimentico di se stesso a tal punto da passare intere giornate senza mangiare. Vedeva nel sacerdozio e nell’episcopato non un titolo di onore ma un dovere di servizio tanto da essere stato il primo ad autodefinirsi “servo dei servi di Dio”.
La Provvidenza si serve delle anime secondo i suoi disegni. La corruzione in gioventù, gli errori dottrinali di Agostino, prima della sua conversione, hanno provocato una reazione di santità in lui, dovuta alle preghiere ed alle lacrime della sua santa madre, Monica, ed alla sua corrispondenza alla grazia divina. Con questi titoli di Buon Pastore e di Dottore, egli è stato e resta nella Chiesa di Dio uno di quelli che hanno distribuito in abbondanza il pane delle anime che sono la dottrina e la santità.
Riguardo al Natale Agostino ha scritto molti discorsi ne riportiamo uno di questi in cui il vescovo sottolinea come il mistero dell’incarnazione sia rimasto nascosto ai superbi. Dice il vescovo di Ippona: “E’ spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra, il giorno da giorno è nato nel nostro giorno. Esultiamo e rallegriamoci! Quando beneficio ci abbia apportato l’umiltà di un Dio tanto sublime lo comprendono bene i fedeli cristiani, mentre non lo possono capire i cuori empi, perché Dio ha nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli. Si aggrappino perciò gli umili all’umiltà di Dio, perché con questo aiuto tanto riescano a raggiungere le altezze di Dio; nella stessa maniera in cui, quando non ce la fanno da soli, si fanno aiutare dal loro giumento. I sapienti e gli intelligenti invece, mentre si sforzano di indagare sulla grandezza di Dio, non credono neanche a quella. Vuoti e frivoli gonfi d’orgoglio, sono come sospesi tra cielo e terra in mezzo al turbinio del vento. Sono sì sapienti e intelligenti, ma secondo questo mondo, non secondo colui che ha creato il mondo. Se possedessero la vera sapienza, quella che è Dio, anzi che è Dio stesso, comprenderebbero che Dio poteva assumere un corpo, senza per questo doversi mutare in corpo. Comprenderebbero che Dio ha assunto ciò che non era, pur rimanendo ciò che era; che è venuto a noi nella natura di uomo, senza essersi per nulla allontanato dal Padre; che è rimasto ciò che è da sempre e si è presentato a noi nella nostra propria natura; che ha nascosto la sua potenza in un corpo di bambino senza sottrarla al governo dell’universo. E come di lui che rimane presso il Padre ha bisogno l’universo, così di lui che viene a noi ha bisogno il parto di una Vergine. La Vergine Madre fu infatti la prova della sua onnipotenza: vergine prima del concepimento, vergine dopo il parto; trovata gravida senza essere resa tale da un uomo; incinta di un bambino senza l’intervento di un uomo; tanto più beata e più singolare per aver avuto in dono la fecondità senza perdere l’integrità. Quei sapienti preferiscono ritenere inventato un prodigio così grande anziché crederlo realmente avvenuto. Così nei riguardi di Cristo, uomo e Dio, non potendo credere alla natura umana, la disprezzano; non potendo disprezzare quella divina, non la credono. Ma quanto più essi lo disprezzano, tanto più noi accettiamo il corpo dell’uomo nell’umiltà di Dio; e quanto più essi lo ritengono impossibile, tanto più per noi è opera divina il parto verginale nella nascita del bambino”. (Disc. 184,1,1).
Don Marcello Stanzione è il Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.

L'ALTRA OMELIA (59) - NATALE: IL DONO DEL BAMBINO

Natale del Signore
25 dicembre 2010
Di padre Angelo del Favero
24 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. (…) Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,1-6).
“Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,1-14).

Nel suo sfolgorante inno messianico dedicato alla venuta dell’Emmanuele, vera e propria profezia del presepio, Isaia non fa menzione degli Angeli. Eppure sicuramente la loro luminosa presenza contribuiva alla “grande luce” intravista dal profeta alcuni secoli prima: infatti gli Angeli “appaiono nel presepe come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi” (H.U. von Balthasar).
Certo, la presenza degli Angeli non serve solo a riflettere la luce divina, come spiega un esperto: “Il nome stesso ne denota la funzione: significa, infatti, “messaggero”.(…)Il compito dell’angelo è sostanzialmente quello di salvaguardare la trascendenza di Dio, ossia il suo essere misterioso e “altro” rispetto al mondo e alla storia, ma al tempo stesso di renderlo vicino a noi comunicando la sua parola e la sua azione, proprio come fa il “messaggero”.(…) La funzione dell’angelo è, quindi, quella di rendere quasi visibili e percepibili in modo mediato la volontà, l’amore e la giustizia di Dio, come si legge nel Salterio: “L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono, e li libera...”(Salmo 34,8)” (G. Ravasi, in I volti della Bibbia, p. 23).
Duemila anni fa, nella notte, l’Angelo di Dio fece proprio così! Dopo essersi accampato attorno ai pastori che vegliavano il gregge (il cui accampamento detto “Campo dei pastori” distava tre chilometri dalla grotta), con il suo annunzio li liberò per primi dalle tenebre spirituali nelle quali il popolo camminava, suscitando subito in loro la volontà di recarsi a Betlemme dove l’amore di Dio per gli uomini era apparso in forma umana. Si compiva così quella giustizia (salvezza) che il profeta Isaia da secoli aveva annunziato nel segno del bambino avvolto in fasce.
Dopo quella dell’Angelo a Zaccaria, quella a Maria e quella a Giuseppe, ecco dunque la sorprendente annunciazione ai pastori, figure poco raccomandabili (a quel tempo).
Di loro sappiamo, infatti, che erano rifiutati dal sinedrio perché considerati disonesti ed impuri a causa della convivenza con quegli animali che, secondo il presepio tradizionale, anche Giuseppe e Maria gradirono presso il neonato Gesù.
Ai poveri pastori dunque, come alle donne nel mattino di Pasqua, la prima rivelazione della gioia più grande che la terra abbia mai conosciuto: la venuta del Figlio di Dio nella nostra carne!
Questa “grande gioia” è il Salvatore, è il bambino Gesù, l’Autore della vita, il Creatore del mondo. Con Gesù, per Gesù e in Gesù ogni bambino che nasce è una grande gioia per il mondo intero, poiché annuncia, in se stesso, il Vangelo della vita.
Al riguardo, è significativo il fatto che l’annuncio al mondo dell’avvenuta elezione di un nuovo pontefice, inizia esattamente con le parole dell’Angelo ai pastori di Betlemme: “Nuntio vobis gaudium magnum”, “vi annuncio una grande gioia” (Lc 2,10). Questo stesso annuncio è dato anche all’inizio della più natalizia delle encicliche, l’“Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II: “All’aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia: “Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. A sprigionare questa grande gioia è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è rivelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia di ogni bambino che nasce (cfr Gv 16,21)” (n. 1).
Perciò i pastori di allora rappresentano anzitutto quelli spirituali della Chiesa, di oggi e di tutti i tempi, primo fra tutti il Papa, “Pastore dei pastori”. Significativamente, Luca racconta che dopo l’annuncio dell’Angelo i pastori non si limitarono a recarsi in fretta a Betlemme per vedere il segno del bambino, ma misero in atto un vero e proprio “piano pastorale”, annunciando a tutti ciò che avevano veduto e udito, ciò che anche le loro mani avevano toccato, ossia il “Verbo della vita” (1Gv 1,1): “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.” (Lc 2,17-18).
Ecco perciò: la “Pastorale della vita” ha avuto inizio a Betlemme.
Ma cos’è, in sé, la “pastorale”?
E’, appunto, l’incontro “natalizio” della Vita di Dio con la vita dell’uomo; è il mandato gioioso affidato da Gesù ai pastori della sua Chiesa di prendersi cura, in ogni tempo e in ogni luogo, di tutti gli uomini, per comunicare loro l’abbondanza della Vita del Padre (GV 10,10).
La moltitudine dei credenti, come gli Angeli a Betlemme, è chiamata a glorificare con la testimonianza e ad annunciare con la parola anzitutto l’amore di Dio per ogni uomo: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). E il segno più grande di questo amore del Dio che si è fatto carne, è proprio il bambino, ogni bambino che nasce, ogni figlio concepito, che da Dio è “stato dato” ai genitori e al mondo intero sin dal suo primo istante di vita. Il bambino è la prova più tangibile ed eloquente dell’amore di Dio. Creato “persona” sin dal concepimento, egli porta pace e gioia in ogni casa e in ogni caso, anche quando l’annuncio della sua venuta mette a dura prova la famiglia.
Voglio qui portare l’esemplare testimonianza di Mariacristina Mocellin, una giovane mamma di 26 anni morta il 22 ottobre 1995 per un tumore, volontariamente accolto per non compromettere la vita del bambino che portava in grembo, il suo Riccardo.
Ecco la lettera che Cristina gli scrisse un mese prima di volare in Cielo: “Caro Riccardo, tu devi sapere che non sei qui per caso. Il Signore ha voluto che tu nascessi nonostante tutti i problemi che c’erano. Papà e mamma, puoi ben capire, non erano molto contenti all’idea di aspettare un altro bambino, visto che Francesco e Lucia erano molto piccoli. Ma quando abbiamo saputo che c’eri, ti abbiamo amato e voluto con tutte le nostre forze. Ricordo il giorno in cui il dottore mi disse che diagnosticava ancora un tumore all’inguine. La mia reazione fu quella di ripetere più volte: “Sono incinta! Sono incinta! Ma io dottore sono incinta!”. Per far fronte alle paure di quel momento ci venne data una forza smisurata di volontà di averti. Mi opposi a tutte le mie forze al rinunciare a te, tanto che il medico capì già tutto e non aggiunse altro. Riccardo, sei un dono per noi. In quella sera, in macchina di ritorno dall’ospedale, che ti muovesti per la prima volta sembrava che mi dicessi: “Grazie mamma, che mi vuoi bene!”(da “Una vita donata”, Mariacristina Cella Mocellin, p. 94).
Sì, Natale è il dono del Bambino, un dono che fa comprendere, fino a questo punto eroico, che ogni bambino concepito è un dono assoluto, unico e irripetibile dell’amore di Dio.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

martedì 28 dicembre 2010

ELECTION DAY 2011 / UN GRUPPO DI GIOVANI E' AL LAVORO PER PROPORRE AI MELISSANESI COME MIGLIORARE LA CITTA' DAL 2011

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Sarà l'anno delle sorprese il 2011, e questi giovani si faranno spazio con le loro braccia e con la propria forza.
Chi l'ha detto che un gruppo di giovani non possa costruirsi il proprio futuro lontano da alcuni "Padri di Congrega" che da vent'anni giocano dalla maggioranza e dall'opposizione?
Siamo giovani, portiamo proposte, ci mettiamo impegno: vi mostreremo la Melissano che portiamo nel cuore!

DELITTO BASILE, ASSOLTO COLITTI JR, SENTENZA ACCOLTA CON URLA E PIANTI


28 Dicembre 2010
Tratti dal Sito Internet
www.quotidianodipuglia.it
Assoluzione per Vittorio Colitti jr, accusato di aver ucciso insieme col nonno il consigliere comunale e provinciale di Ugento Peppino Basile. La sentenza è stata letta ieri intorno alle 23.40 dai gudici del tribunale dei minori. La pubblica accusa aveva chiesto quindici anni di
reclusione. L'imputato è stato assolto «per non aver commesso il fatto».
Sotto inchiesta, con l'accusa di omicidio volontario, resta Vittorio Colitti senior, il nonno, ritenuto dalla procura colui che ha inferto le 24 coltellate a Peppino Basile. Il pm ha chiesto e ottenuto una proroga alle indagini. Colitti jr è finito sotto processo davante ai giudici del tribunale dei minori perchè all'eposa del delitto - la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008 - era ancora minorenne.
Il pubblico ministero Simona Filloni, che aveva concluso la sua requisitoria chiedendo 15 anni di reclusione per il giovane ugentino, questa mattina aveva anche depositato un'istanza per l'emissione di una custodia cautelare in carcere a carico dell'imputato.
Ad accusare i due Colitti è una bambina che la notte del delitto sarebbe stata svegliata dalle urla in strada e affacciandosi avrebbe visto nonno e nipote mentre colpivano Peppino Basile. Una testimonianza che, evidentemente, non è stata ritenuta sufficiente.
La lettura della sentenza è stata salutata con pianti e applausi dai familiari di Vittorio Colitti.

BASILE, IL GIORNO DOPO SI RITORNA A CHIEDERE VERITA'

Dopo il verdetto di assoluzione per il giovane Vittorio Colitti, e in attesa di conoscere le sorti del nonno, diversi interventi da Idv, Pdci-Fds e Io conto per chiedere che sia fatta piena luce
28 Dicembre 2010
Tratto dal Sito Internet
www.lecceprima.it
Dopo il verdetto di assoluzione per il giovane Vittorio Colitti, da parte del tribunale per i minori che l’ha giudicato, in quanto 17enne all’epoca dei fatti, e in attesa di conoscere la sentenza del tribunale ordinario sul nonno omonimo, il giorno dopo è il momento dei commenti, anche e soprattutto da parte di chi ha sempre pensato che le orme da seguire, sul caso del delitto Basile, fossero altre. “Così come abbiamo sempre sostenuto, per il grande rispetto che abbiamo nei confronti della magistratura e degli organi inquirenti, ci limitiamo a chiedere ancora una volta ed ora più che mai: verità e giustizia per Peppino Basile”. A dichiararlo, in una nota congiunta, sono Gianfranco Coppola, consigliere provinciale e comunale di Ugento dell’Italia dei valori e Francesco D’Agata, coordinatore provinciale del partito a Lecce. Compagni di partito del consigliere comunale e provinciale, massacrato a coltellate, davanti alla propria abitazione, nella notte tra il 14 e 15 giugno del 2008.
“Con la decisione di ieri sera la città di Ugento e l’intero Salento – commentano - sprofondano sempre più nell’incertezza su un fatto sempre più oscuro della recente storia del nostro territorio, anche perché la tragica vicenda umana di Peppino si è inevitabilmente intrecciata con le vite di ugentini e salentini e ha attraversato anche i trascorsi politici del consigliere comunale e provinciale che oggi appaiono necessari di un approfondimento anche per chiarire se ogni pista sia stata sufficientemente vagliata”.
“Proprio per questo non possiamo, dunque, non continuare a confidare nel certosino lavoro sin qui svolto dagli inquirenti che certamente dovrà prendere atto di questo brusco stop, così come confidiamo nel buon senso della politica – aggiungono - affinché qualcuno non osi strumentalizzare quest’ennesima vicenda anche perché questa volta per tutti, eccettuato per la famiglia Colitti, non c’è nulla da strumentalizzare o peggio ancora da festeggiare”.
Angelo Minenna, consigliere comunale ad Ugento del Pdci-Fds di Ugento è più esplicito, e ricorda: “Sono stato da sempre convinto dell’estraneità di Vittorio e della sua famiglia in questa sporca vicenda, che ha visto l’assassino brutale di Peppino Basile. Alla lunga la magistratura, le cui sentenze non commento né giudico in nessun caso, ha accertato la piena innocenza di Vittorio Colitti dalle accuse che gli erano state rivolte, frutto forse di un’eccessiva fretta nel chiudere il caso da parte di certi ambienti, giudiziari e non. Quello che adesso è importante è restituire serenità a Vittorio Colitti e alle persone ad esso più care, che mai lo hanno abbandonato e sempre gli sono state vicino, e cercare di ripartire con il piede giusto nelle indagini, evitando contrapposizioni, frecciate, strumentalizzazioni e superficialità nei giudizi”.
“Solo così – conclude Minenna - potremo finalmente giungere alla risoluzione di quello definito, non a torto, come un vero e proprio giallo di Ugento”. Resta comunque sempre da definire ancora del tutto il contorno della vicenda. Se la procura dei minori si prepara a ricorrere, un’eventuale sentenza opposta, cioè di condanna del nonno, maturata nel tribunale ordinario aprirebbe uno squarcio ancor più grande in quello che è già da adesso un enorme punto interrogativo.
Sulla stessa lunghezza d’onda il comitato civico Io conto di Ugento. Che così chiosa, per voce del suo presidente, Vito Rizzo: “La sentenza di primo grado del tribunale dei minori di Lecce sull’omicidio Basile, che mette fine all’odissea giudiziaria del giovane Vittorio Colitti, ci riporta indietro di due anni e mezzo. Noi non siamo mai stati né colpevolisti né innocentisti, abbiamo solo e soltanto chiesto la verità sulla tragica vicenda. Dal 25 novembre 2009, giorno dell’arresto dei Colitti, ci siamo limitati a dichiarare: la giustizia ha dato segno della sua presenza, ora aspettiamo la verità”.
“Abbiamo ribadito tale concetto anche in occasione del secondo anniversario della morte di Peppino Basile, allorquando abbiamo scelto una sobria cerimonia dettata dal rispetto per il processo in corso. Oggi chiediamo ancora che si faccia presto luce sull’omicidio Basile. Vorremmo che tutti condividessero tale richiesta affinché, dopo due anni e mezzo, la comunità ugentina riscattasse la sua dignità. Non vogliamo polemizzare con nessuno, desideriamo semplicemente incoraggiare tutti a chiedere verità e giustizia per Peppino. Il nostro non è uno spot elettorale o la rivendicazione di una fazione – scrivono -, ma il timore che il delitto rimanga impunito”.
“Restiamo preoccupati per quanto è accaduto in questi due anni e mezzo: minacce, calunnie, insulti, omertà, clima di odio, pettegolezzi mirati esclusivamente a danneggiare le persone. Ci aspettiamo dall’intera comunità una scossa di riscatto dell’immagine negativa data all’esterno. Dobbiamo dimostrare di saper e di voler essere comunità per mettere fine alla lacerazione che affligge la nostra Ugento. E’ tempo ormai di dire basta a tutto questo. Cerchiamo insieme la verità, quella vera e definitiva”.

DELITTO BASILE, ASSOLUZIONE PIENA PER VITTORIO COLITTI

Secondi i giudici del Tribunale dei minori di Lecce non è stato lui ad uccidere insieme al nonno il consigliere provinciale di Italia dei valori Peppino Basile nella notte fra il 14 e 15 giugno 2008
27 Dicembre 2010
Tratto dal Sito Internet
www.lecceprima.it
Non è stato Luigi Vittorio Colitti ad uccidere Peppino Basile. Si è concluso con un verdetto di assoluzione piena, il processo davanti al Tribunale dei minorenni, che vedeva come imputato il 19enne di Ugento, ritenuto insieme al nonno responsabile dell’omicidio del consigliere provinciale e comunale dell’Italia dei valori, avvenuta nella notte fra il 14 e 15 giugno 2008, con oltre venti coltellate. I giudici, Aristodemo Ingusci e Lucia Rabboni, sono stati chiusi in camera di consiglio con gli altri due magistrati onorari per ben oltre dieci ore prima di pronunciare il verdetto. Le prove prodotte dalla Procura minorile, e cioè dal pubblico ministero Simona Filoni, che aveva invocato una condanna a 15 anni di carcere, non sono bastate.
In aula, lacrime e commozione dopo la pronuncia del dispositivo. “Assolto per non aver commesso il fatto”. Per capire appieno i motivi che hanno indotto il Tribunale ad assolvere il ragazzo bisognerà ora attendere il deposito delle motivazioni. E’ plausibile però ritenere che sia stata premiata la linea difensiva degli avvocati Francesca Conte e Roberto Bray. I legali hanno sempre insistito sul fatto che le indagini siano state condotte in modo lacunoso. In primo luogo, perché non sarebbero state sufficientemente approfondite le piste alternative. Prima fra tutte quella politica, poiché Basile per via del suo impegno nel sociale si era fatto non pochi nemici. E poi quella della pista passionale, in riferimento alle sua molteplici frequentazioni femminili.
Di certo, per i giudici l’oggi 19enne Vittorio Colitti, all’epoca dei fatti non ancora maggiorenne, non sarebbe coinvolto. E lui s’è sempre professato innocenti, così come il nonn. E’ vero, le contraddizioni nelle dichiarazioni rese agli inquirenti ci sono, non lo si può negare. Ma sono state dettate soltanto dallo stress per quei continui ascolti, ed anche da una buona dose di ingenuità. Proprio l’imputato ha mentito più volte sull’orario di rientro a casa; ma a suo dire solo per evitare di essere rimproverato dai genitori. E non sono bastate neanche le dichiarazioni della bambina di cinque anni e mezzo, che ha raccontato di aver visto i Colitti, nonno e nipote, mentre “davano le botte a Peppino”. La difesa ha sempre sostenuto la sua inattendibilità. Sarà interessante vedere quali saranno le mosse della Procura ordinaria, che proprio mercoledì scorso ha spedito di nuovo dietro le sbarre Vittorio Colitti senior, il nonno del ragazzo.
Linda Cappello

DENTRO IL NATALE (18) - CATECHESI DI BENEDETTO XVI SUL MISTERO DEL NATALE

All'Udienza generale del mercoledì
22 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI durante l'Udienza generale svoltasi nell’Aula Paolo VI.
Nel suo discorso, il Papa si è soffermato sul mistero del Natale ormai prossimo.

Cari fratelli e sorelle!
Con quest’ultima Udienza prima delle Festività Natalizie, ci avviciniamo, trepidanti e pieni di stupore, al "luogo" dove per noi e per la nostra salvezza tutto ha avuto inizio, dove tutto ha trovato un compimento, là dove si sono incontrate e incrociate le attese del mondo e del cuore umano con la presenza di Dio. Possiamo già ora pregustare la gioia per quella piccola luce che si intravede, che dalla grotta di Betlemme comincia ad irradiarsi sul mondo. Nel cammino dell’Avvento, che la liturgia ci ha invitato a vivere, siamo stati accompagnati ad accogliere con disponibilità e riconoscenza il grande Avvenimento della venuta del Salvatore e a contemplare pieni di meraviglia il suo ingresso nel mondo.
L’attesa gioiosa, caratteristica dei giorni che precedono il Santo Natale, è certamente l’atteggiamento fondamentale del cristiano che desidera vivere con frutto il rinnovato incontro con Colui che viene ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ritroviamo questa disposizione del cuore, e la facciamo nostra, in coloro che per primi accolsero la venuta del Messia: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, il popolo semplice, e specialmente Maria e Giuseppe, i quali in prima persona hanno provato la trepidazione, ma soprattutto la gioia per il mistero di questa nascita. Tutto l’Antico Testamento costituisce un’unica grande promessa, che doveva compiersi con la venuta di un salvatore potente. Ce ne dà testimonianza in particolare il libro del profeta Isaia, il quale ci parla del travaglio della storia e dell’intera creazione per una redenzione destinata a ridonare nuove energie e nuovo orientamento al mondo intero. Così, accanto all’attesa dei personaggi delle Sacre Scritture, trova spazio e significato, attraverso i secoli, anche la nostra attesa, quella che in questi giorni stiamo sperimentando e quella che ci mantiene desti per l’intero cammino della nostra vita. Tutta l’esistenza umana, infatti, è animata da questo profondo sentimento, dal desiderio che quanto di più vero, di più bello e di più grande abbiamo intravisto e intuito con la mente ed il cuore, possa venirci incontro e davanti ai nostri occhi diventi concreto e ci risollevi.
"Ecco viene il Signore onnipotente: sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi" (Antifona d’ingresso, S. Messa del 21 dicembre). Frequentemente, in questi giorni, ripetiamo queste parole. Nel tempo della liturgia, che riattualizza il Mistero, è ormai alle porte Colui che viene a salvarci dal peccato e dalla morte, Colui che, dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva, ci riabbraccia e spalanca per noi l’accesso alla vita vera. Lo spiega sant’Ireneo, nel suo trattato "Contro le eresie", quando afferma: "Il Figlio stesso di Dio scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio, e gli diede in dono lo stesso Padre" (III, 20, 2-3).
Ci appaiono alcune idee preferite di sant’Ireneo, che Dio con il Bambino Gesù ci richiama alla somiglianza con se stesso. Vediamo com’è Dio. E così ci ricorda che noi dovremmo essere simili a Dio. E dobbiamo imitarlo. Dio si è donato, Dio si è donato nelle nostre mani. Dobbiamo imitare Dio. E infine l’idea che così possiamo vedere Dio. Un’idea centrale di sant’Ireneo: l’uomo non vede Dio, non può vederlo, e così è nel buio sulla verità, su se stesso. Ma l’uomo che non può vedere Dio, può vedere Gesù. E così vede Dio, così comincia a vedere la verità, così comincia a vivere.
Il Salvatore, dunque, viene per ridurre all’impotenza l’opera del male e tutto ciò che ancora può tenerci lontani da Dio, per restituirci all’antico splendore e alla primitiva paternità. Con la sua venuta tra noi, Dio ci indica e ci assegna anche un compito: proprio quello di essere somiglianti a Lui e di tendere alla vera vita, di arrivare alla visione di Dio nel volto di Cristo. Ancora sant’Ireneo afferma: "Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a percepire Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo, Dio ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele" (ibidem). Anche qui c’è un’idea centrale molto bella di sant’Ireneo: dobbiamo abituarci a percepire Dio. Dio è normalmente lontano dalla nostra vita, dalle nostre idee, dal nostro agire. È venuto vicino a noi e dobbiamo abituarci a essere con Dio. E audacemente Ireneo osa dire che anche Dio deve abituarsi a essere con noi e in noi. E che Dio forse dovrebbe accompagnarci a Natale, abituarci a Dio, come Dio si deve abituare a noi, alla nostra povertà e fragilità. La venuta del Signore, perciò, non può avere altro scopo che quello di insegnarci a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio. Il Verbo fatto bambino ci aiuta a comprendere il modo di agire di Dio, affinché siamo capaci di lasciarci sempre più trasformare dalla sua bontà e dalla sua infinita misericordia.
Nella notte del mondo, lasciamoci ancora sorprendere e illuminare da questo atto di Dio, che è totalmente inaspettato: Dio si fa Bambino. Lasciamoci sorprendere, illuminare dalla Stella che ha inondato di gioia l’universo. Gesù Bambino, giungendo a noi, non ci trovi impreparati, impegnati soltanto a rendere più bella la realtà esteriore. La cura che poniamo per rendere più splendenti le nostre strade e le nostre case ci spinga ancora di più a predisporre il nostro animo ad incontrare Colui che verrà a visitarci, che è la vera bellezza e la vera luce. Purifichiamo quindi la nostra coscienza e la nostra vita da ciò che è contrario a questa venuta: pensieri, parole, atteggiamenti e azioni, spronandoci a compiere il bene e a contribuire a realizzare in questo nostro mondo la pace e la giustizia per ogni uomo e a camminare così incontro al Signore.
Segno caratteristico del tempo natalizio è il presepe. Anche in Piazza San Pietro, secondo la consuetudine, è quasi pronto e idealmente si affaccia su Roma e sul mondo intero, rappresentando la bellezza del Mistero del Dio che si è fatto uomo e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Il presepe è espressione della nostra attesa, che Dio si avvicina a noi, che Gesù si avvicina a noi, ma è anche espressione del rendimento di grazie a Colui che ha deciso di condividere la nostra condizione umana, nella povertà e nella semplicità. Mi rallegro perché rimane viva e, anzi, si riscopre la tradizione di preparare il presepe nelle case, nei posti di lavoro, nei luoghi di ritrovo. Questa genuina testimonianza di fede cristiana possa offrire anche oggi per tutti gli uomini di buona volontà una suggestiva icona dell’amore infinito del Padre verso noi tutti. I cuori dei bambini e degli adulti possano ancora sorprendersi di fronte ad essa.
Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria e san Giuseppe ci aiutino a vivere il Mistero del Natale con rinnovata gratitudine al Signore. In mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, questo tempo ci doni un po’ di calma e di gioia e ci faccia toccare con mano la bontà del nostro Dio, che si fa Bambino per salvarci e dare nuovo coraggio e nuova luce al nostro cammino. E’ questo il mio augurio per un santo e felice Natale: lo rivolgo con affetto a voi qui presenti, ai vostri familiari, in particolare ai malati e ai sofferenti, come pure alle vostre comunità e a quanti vi sono cari.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, gli Zampognari di Bojano e la delegazione del Comune di Bolsena.
Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l'amore, che Dio manifesta all'umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire generosamente i fratelli. Sia per voi, cari malati, fonte di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e di reciproca fedeltà.

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (108) - UNA RETE CERCA DI SPOSARE CARITA' E VERITA'

Un gruppo internazionale risponde all'appello del Papa
21 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Una rete di movimenti e organizzazioni punta a rispondere all'appello di Benedetto XVI a riscoprire il significato cristiano del servizio sociale.
Il nome del gruppo è CiVI, Caritas in Veritate International, dal titolo dell'ultima Enciclica del Pontefice, la Caritas in Veritate.
La rete cerca di “reclutare, formare e inviare giovani volontari dotati di aiuti materiali – insieme al messaggio della verità – per opere di carità e sostegno spirituale in zone di crisi umanitarie”, hanno spiegato gli organizzatori in un incontro avuto a Roma con ZENIT.
L'organismo si basa su un gruppo di movimenti internazionali nella Chiesa chiamato Youth Arise International, che ha iniziato la sua attività all'inizio degli anni Novanta.
Nel 2000, la rete di leader si è unita formando una nuova organizzazione, Partnership for China, uno sforzo internazionale per stabilire comunità di fede basate sulle parrocchie in Cina.
“Ispirati all'Enciclica di Papa Benedetto XVI Deus Caritas est e dalla grande necessità di combinare il messaggio del Vangelo con opere di carità, molti leader di organizzazioni intercorrelate esistenti hanno ora deciso di collegare i propri sforzi, fondando Caritas in Veritate International”, ha detto a ZENIT Henry Cappello, presidente e Chief utive Officer di CiVI. Negli ultimi 18 anni, Cappello è stato presidente e direttore esecutivo di Youth Arise International.
Progetti
Uno dei progetti della rete CiVI, ha spiegato Cappello, è aiutare Haiti, devastata dal terremoto del 12 gennaio scorso.
“Per far fronte alle necessità fondamentali ad Haiti, ovvero aiutare gli 1,3 milioni di bambini e adulti sfollati che vivono nelle tende, senza condizioni sanitarie adeguate, acqua pulita, cibo o sicurezza, CiVI ha lanciato il progetto Tents to Homes”, ha detto.
“Grazie ai suoi sforzi, 500 famiglie che attualmente vivono nelle tende avranno una casa. In questo villaggio ci saranno una chiesa, una scuola, un centro per le vittime di abusi e un centro per i missionari. Molti sono invitati a collaborare a questo progetto pilota che combina il messaggio del Vangelo e le opere di carità”.
La rete CiVI sarà anche impegnata in un altro sforzo per la Nuova Evangelizzazione, in cooperazione con il sacerdote gesuita Robert Spitzer e il Magis Center of Reason and Faith di Orange County (California, Stati Uniti).
Lavoreranno alla versione internazionale dell'approccio di padre Spitzer all'evangelizzazione intellettuale nei settori della fisica, della filosofia e della matematica, della metafisica e dell'esegesi storica, mostrando le ultime prove dell'esistenza di Dio e della storicità di Gesù.
La rete CiVI è orientata da vari consulenti spirituali, tra cui il Cardinale Paul Josef Cordes, Presidente emerito del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l'Arcivescovo Alberto Taveira Corrêa di Belém do Pará (Brasile), il Vescovo Thomas Olmsted di Phoenix (Arizona, Stati Uniti), il Vescovo Joseph Grech di Sandhurst (Australia) e il Vescovo Sam Jacobs di Houma-Thibodaux (Louisiana, Stati Uniti).
L'ex Primo Ministro ed ex Presidente di Malta Edward Fenech Adami è il Presidente onorario.

SPOT PER UN NEGOZIO, LA NOTIZIA RIPORTATA ANCHE SULLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO DEL 21 DICEMBRE

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Oggi, martedì 21 dicembre, la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica “la vivace replica di Melissano Cambia, gruppo all’opposizione di centrodestra, che ha stigmatizzato il comportamento della giunta Falconieri”.
“Il sindaco e la sua maggioranza - aggiunge Roberto Tundo - utilizzano i soldi dei melissanesi senza alcun pudore e si autoproclamano a salvatori del bene comune. Sono loro, invece, i signori che malgovernano Melissano”.

MA COSA STANNO COMBINANDO NEL POPOLO DELLA LIBERTA' A MELISSANO? SARA' TEMPO DI POLTRONE?

Notizie tratte dal sito
Melissano in Movimento
MELISSANO: ENZO MANCO CONFERMATO COORDINATORE LOCALE DEL PDL
Enzo Manco è stato confermato Coordinatore Locale del Pdl di Melissano. Vice-Coordinatore Cesare Caputo.
RE: MELISSANO: ENZO MANCO CONFERMATO COORDINATORE LOCALE DEL PDL - Francesco Zuccaro 2010-12-23 11:29
E' assolutamente falsa!
Proprio sabato scorso in una riunione con i vertici del PDL leccese è stato confermato semmai che a Melissano vi sono due coordinatori, visto che in nessun altro comune leccese sono stati nominati i coordinatori non vedevano la necessità di nominarli in questo momento a Melissano.
MELISSANO: COORDINATORI DEL PDL LOCALE, GIALLO SULLA CONFERMA O SULLA NOMINA
Enzo Manco confermato coordinatore locale del Pdl di Melissano e Cesare Caputo suo vice? Su questa notizia, che ci era stata comunicata da una delle persone interessate, ci sarebbero però posizioni contrastanti ed elementi contraddittori all'interno del Pdl. Per tale ragione, ci riserviamo di approfondire l'argomento e riferirvene appena possibile anche in via ufficiale.
Intanto si vocifera un possibile "matrimonio" organizzato tra MELISSANO CAMBIA ed ANTONELLA TENUZZO (PD+laElle).
LA SINISTRA E' ALLO SBANDO A MELISSANO, VENDUTA CON 4 CHIACCHIERE?

SU FACEBOOK IMPAZZANO ANCORA I MESSAGGI (SEMPRE PIU' ROVENTI) CONTRO IL MANIFESTO DEL SINDACO E DELLA SUA MAGGIORANZA

Clicca sull'immagine per ingrandirla
Graziano - "Non so perché il sindaco scriva questo manifesto, è per merito suo? E' grazie a lui che (......) ha costruito "Palazzo delle spese"? Ma quanti altri palazzi non posso essere costruiti a causa sua?"
Antonio - "E allora la Mecflex? Che oltre che portare il nome del nostro paese in giro per l'Italia ha sfamato centinaia di famiglie?...Propongo di dedicare un giorno in onore dei fondatori della Mecflex, qui si apra una communiti, e tutti insieme decidiamo quale giorno festeggiare i fondatori della Mecflex..."
Graziano - "Forse non era lui sindaco quando è nata..."
Antonio - "Produttiva di che? In che modo promuove il nostro paese? La nostra cultura? In che modo dà opportunità ai nostri concittadini, ai nostri giovani?...Si attendono risposte."

DENTRO IL NATALE (17) - NATALE, UNA LEZIONE DI CORAGGIO

Di padre Renato Zilio
20 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Nessuno avrebbe mai immaginato di vedere Dio nascere, un giorno, in una grotta di animali. Ecco, così, il centro del mondo: un luogo di incontro di pastori, di angeli, di curiosi e di re. “Le style c’est l’homme!” dicono i francesi, e lo stile di Dio è da sempre la sorpresa. Neppure Maria l’aveva previsto. Trovatasi nella situazione di ogni migrante, era sperduta e fuori casa. Camminando per giorni, aveva finalmente posto tra gli animali di Betlemme e tra uomini che vivono il giorno e la notte in loro compagnia: erano pastori. Esseri ai margini dell’umanità.
È qui, tuttavia, ai margini, dove Dio sempre si nasconde. Dove misteriosamente si fa presente. Era nato quella notte un agnello, forse il più bello mai visto fino allora. Lo chiameranno “l’Agnello di Dio”, un nome che ne segna il destino: la misericordia e il martirio. Un agnello, in fondo, è fatto per essere offerto in sacrificio. Fuori le mura, ai margini della città.
E Maria ci ricorda la miserabile accoglienza che riserviamo a tantissimi migranti, che spesso vivono in maniera ben poco umana. Sembra quasi il loro destino dai tempi di Betlemme. Così, Matilde racconta ancora con emozione la sua esperienza in Svizzera negli anni ‘60. Appena sposata, si presentava con il suo bel vestito bianco a bussare alle porte per avere una casa. Non voleva restare nella miseria di una baracca di legno piena di lavoratori italiani. Ricorda ancora le lacrime, la rabbia e quel gesto inutile e patetico.
Chi viene da fuori è destinato a rimanere alla periferia del mondo. E questa sembra essere una normale legge degli uomini. Ma Dio preferisce rivelarsi proprio qui: alla periferia delle cose, del potere, delle relazioni.
Così, ogni donna italiana ha vissuto in emigrazione la vita di Maria. In un cammino che non finirà mai, queste donne hanno perso a volte il marito e a volte anche i figli. I figli dei migranti, d’altronde, si perdono sempre: diventano così diversi da chi li genera da chiedersi se sono frutto della stessa carne. Chi nasce all’estero pare quasi destinato a diventare straniero a se stesso e ai suoi. Poi, senti Elsa, ormai anziana, pronunciare le parole più commoventi che si possano ascoltare: “Ho perduto tutti, ormai, però ci siamo tanto amati.” Resta solo questo, scritto nell’anima. Ed è ciò che Dio stesso indica, nella tristezza di una grotta, come il segreto di una vita riuscita.
Le nostre donne in emigrazione hanno lottato in casa e fuori, ma sempre ai confini del mondo. Hanno combattuto per salvare il tesoro di una famiglia, la sua unità, perché “i miracoli sono compiuti dagli uomini uniti”. Hanno lottato per crescere i figli, anche se questi imparavano sempre più a prendere il volo, ad allontanarsi dal nido. E hanno saputo sopportare con pazienza e preghiera le loro sbandate. “The greatest power is often simple patience,” dicono gli inglesi con la saggezza del mare.
Un cuore di madre trapiantato all’estero rivela la qualità più vera di una donna: il coraggio. E queste donne sono un esempio grande di forza d’animo e di resistenza. A Betlemme, in fondo, Maria ne indica il senso. Il coraggio proviene da una fiducia e una speranza senza confini, luminose come una stella. Così, in terra di emigrazione, è ancora Natale.
Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l'Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista "Presenza italiana". Dopo l'esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d'Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.

DENTRO IL NATALE (16-Continuazione della rubrica INCONTRO AL NATALE) - CARD. CIPRIANI: "LA NASCITA DI GESU' CI PORTA A GUARDARE LA VITA CON GIOIA"

20 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
A pochi giorni dal Natale, nel suo programma “Dialogo di Fede” di sabato 18 dicembre, il Cardinale Juan Luis Cipriani, Arcivescovo di Lima (Perù), ha esortato a concentrare lo sguardo sulla grandezza della nascita di Gesù e a condividere questo dono meraviglioso in famiglia.
“La nascita di Gesù ci porta a guardare la vita con più gioia, a guardare con più gioia i nostri figli e i nostri genitori. La nascita di Gesù cambia l'ambiente. La gioia viene portata dal Figlio di Dio, che ha voluto stare sulla terra per accompagnarci”, ha osservato.
La nascita di Gesù cambia il mondo perché “con questa nascita la grande offerta di Dio è 'ti invito a casa mia, nella vita eterna', ma questa vita eterna inizia già qui sulla terra, nella Chiesa, nell'Eucaristia e nella confessione”.
La famiglia a Natale
L'Arcivescovo di Lima ha anche ricordato la necessità di condividere questo tempo di Natale in famiglia, a esempio di Gesù, di San Giuseppe e della Vergine Maria, la “famiglia di Betlemme”, e di non essere dipendenti dall'acquisto di regali.
“Gesù è venuto per redimerci e toglierci il peso del peccato, per restare per aiutarci. Per questo motivo i canti ci parlano della notte di pace, della luce, del silenzio”.
“Tutte queste caratteristiche sono quelle che dovremmo cercare nelle nostre case, sono giorni per darci la mano e ritrovarci, per esprimerci maggiormente l'amore”, ha sottolineato.
Condividere la gioia
L'Arcivescovo di Lima ha poi ricordato che il Natale è un periodo propizio per condividere la gioia della nascita di Gesù non solo con i nostri familiari, ma anche con i più bisognosi, i malati e quanti per diverse ragioni sono lontani dalle proprie famiglie e dai propri cari.
“Ci troviamo come in una grande eclissi – ha segnalato –. Anziché vedere la realtà di Gesù, lo vediamo attraverso le nubi. Bisogna sgombrare le nubi e avere una fede più forte per dire: 'Signore, credo che tu sia qui, e vengo a cercarti, e visto che so che vuoi che aiuti il prossimo andrò in quel posto, o chiamerò quel fratello o andrò a trovare quel malato'”.
“Migliaia di persone sono in carcere, altri servono la propria patria lontano, o sono anziani abbandonati; vorrei salutare tutti loro e dire che Dio non li ha abbandonati”, ha aggiunto.
Il porporato ha infine esortato i giovani a diffondere il messaggio del Natale nelle reti sociali e nel mondo di Internet, per evangelizzare la nuova cultura digitale.

GLI AUGURI DI FRANCESCO D'AGATA, COORDINATORE PROVINCIALE DELL'ITALIA DEI VALORI LECCE

Carissimi amici,
Vi riporto solo un piccolo pensiero ed un augurio a tutti, credenti e per questo Natale 2010 dopo aver letto un articolo di oggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno al seguente link
affinchè possa essere di stimolo per la Nostra futura azione politica tra difesa dei diritti di tutti, dell'ambiente, del Territorio, anche se un pensiero non può non correre al tentativo non demagogico della lotta alla povertà.
Mentre c'è chi invita ad acquistare a go go, ad indebitarci, al consumo selvaggio, dalla Nostra Terra si avvertono tante grida di disperazione ricorrentemente amplificate dalle festività natalizie, come se solo in questi momenti ci dovremmo ricordare di chi soffre quotidianamente: è a quelle migliaia di poveri e nuovi poveri che la politica deve svolgere il suo sguardo costante perchè l'esigenza di redistribuzione della ricchezza, purtroppo concentrata in mano a pochissime "famiglie", è divenuta un obbligo prima di finire in una catastrofe sociale, prima che sia troppo tardi!
Di nuovo un caro saluto a tutti e Buone Feste!
Il coordinatore provinciale IDV LECCE
Francesco D'Agata

NATALE 2010 / IL MESSAGGIO DEL VESCOVO DELLA NOSTRA DIOCESI DI NARDO'-GALLIPOLI, MONS. DOMENICO CALIANDRO

"Regem venturum Dominum
Venite, adoremus"

Carissimi figli,
ancora una volta il mistero del Natale bussa alle porte del nostro spirito. Le luci della festa risplendono nuovamente nelle case, nelle piazze, per le vie della città. Per un momento la prospettiva di un mondo più umano e meno ingiusto, sembra diventare realtà e suggerire a ogni uomo un itinerario verso la sua più autentica realizzazione.
Lo sgomento per tante situazioni e fatti della vita, ancor più il dolore per l'incapacità di guardare oltre i propri fallimenti, lasciano spazio a nuove speranze, seppur per breve tempo. Improvvisamente, anche per chi è lontano dal vissuto ecclesiale, tutti i frammenti della vita ordinaria, convergono verso un'ora, dimenticata dalle cronache storiche degli antichi ma decisiva per tutta l'umanità: la nascita del bambino di Betlemme.
Nell'immaginario comune la figura del bambino di Betlemme evoca sullo sfondo categorie come "redenzione","salvezza", "vita eterna". Parole spesso percepite come il retaggio di un'epoca che non esiste più. Eppure, nonostante lo scorrere dei secoli, esse non solo mantengono inalterata la propria bellezza ma continuamente indicano all'uomo il senso della propria esistenza e tutto ciò che la rende tale.
Ma andando oltre il comune sentire, le dotte acquisizioni dei teologi, l'esperienza assolutamente straordinaria dei mistici, chi è per noi Gesù di Nazaret?
Per rispondere a questa domanda occorre guardare alla ricchezza della fede, che vede in Lui un Re ma non secondo l'ordine delle "grandezze umane". Generalmente, quando pensiamo alla figura di un monarca essa emerge con alcune caratteristiche, che ne pongono in luce il grande valore. Spesso i "grandi della terra", tale è la definizione che compete ai sovrani, sono presentati come uomini potenti, capaci di orientare le sorti della storia e imprimere una direzione importante all'azione e al pensiero umano. Il loro nome raramente conosce l'oblio del tempo, e altrettanto durevole è la memoria delle miserie e delle virtù che li distinsero in vita.
Com'è, invece, diversa l'immagine del bambino di Betlemme! Egli non grida, non fa rumore per le strade, non spezza la canna incrinata, non spegne lo stoppino dalla fiamma esile (Is. 42, 2). Tutta la sua maestà ci parla di un amore capace di trasformare il cuore dell'uomo, fino a renderlo "specchio" del cuore di Dio. È l'immagine di un Re umile quella che la storia e la Rivelazione ci consegnano in questi giorni. Accogliamola senza riserve e senza timori. Lasciamoci interrogare dalla sua dignità, attraversare dalla sua dolcezza, guarire dalla sua umanità.
A tutti ma in modo particolare ai minori in situazioni difficili, ai coniugi separati, agli anziani soli, a quanti hanno perso di recente una persona cara e sentono con sofferenza la sua mancanza in questa festa, ai malati, a quanti si sentono privi di affetti e sono senza casa, senza lavoro e senza cittadinanza, giunga il mio augurio di un Santo Natale, insieme alla promessa di un sincero ricordo nella preghiera.
Nardò, Natale 2010
+ Domenico Caliandro
Vescovo di Nardò-Gallipoli

INCONTRO AL NATALE (15) - CARDINALE SCHERER: L'AVVENTO, PROPOSTA PER LA VITA

Dio “entra nella nostra storia e cammina con noi”
20 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
L'Avvento “non è un periodo passeggero, ma una proposta da vivere durante tutta la vita”, ha affermato l'Arcivescovo di San Paolo (Brasile), il Cardinale Odilo Scherer.
In un articolo pubblicato sulla rivista arcidiocesana “O São Paulo”, il porporato sottolinea che già nella prima domenica di Avvento San Paolo ricorda che “la notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”.
“Sì – spiega l'Arcivescovo –, perché Cristo è l'immagine perfetta dell''uomo nuovo' che siamo chiamati ad essere, sul suo esempio”.
Il rischio, secondo il porporato, è quello di passare la vita intera “distratti”, “senza preoccuparci di nulla e pensando solo a godere di ogni gioia che la vita è capace di fornirci”.
“Da ciò deriva l'appello alla vigilanza, come atteggiamento attento per non prendere strade sbagliate nella vita, per non inciampare e cadere; o ancora gli incoraggiamenti a camminare, a non scoraggiarsi, a produrre frutti di opere buone durante la vita, senza stancarsi”.
Secondo il Cardinale, la Liturgia dell'Avvento parla anche del giudizio di Dio: “il Figlio di Dio, un giorno, verrà come Giudice e Signore della Storia, rivestito di potere e di gloria, e tutti dovremo rendere conto della nostra vita”.
“Non dobbiamo però intendere male questo fatto. L'Avvento non è un periodo di terrore; al contrario, è caratterizzato dalla gioiosa speranza e dalla certezza della bontà e della misericordia di Dio”, osserva.
“Dio ha amato tanto il mondo da inviare il suo unico Figlio, perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna!”.
L'Avvento, quindi, non è un periodo passeggero. E' “una proposta da vivere durante tutta la vita”. “Ci parla dei grandi misteri dell'esistenza e getta un fascio di luce e speranza sulla vita”.
“Non esistiamo a caso senza avere una direzione; se per alcuni filosofi la vita umana è assurda, perché piena di sogni impossibili, capiamo che non è così, ma non siamo noi la risposta ultima ai nostri sogni: è Dio che entra nella nostra storia e cammina con noi, mostrandoci la via giusta”.
“Viviamo in un continuo stato di Avvento”, conclude monsignor Scherer, “in attesa dei nuovi cieli e della nuova terra che Dio prepara per quanti lo amano”.

UGENTO / OMICIDIO BASILE, TORNA IN CARCERE NONNO COLITTI

22 Dicembre 2010
Tratto dal Sito Internet
www.quotidianodipuglia.it
Natale in carcere per Vittorio Colitti senior, il 67enne di Ugento accusato di aver assassinato insieme con il nipote minorenne il consigliere comunale e provinciale dell'Idv Peppino Basile. L'uomo, tornato in libertà dopo che il Riesame (a cui il caso era stato rimandato dalla Cassazione) aveva annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, è stato nuovamente arrestato. Nel pomerigio di oggi carabinieri e polizia lo hanno prelevato nell'abitazione di un parente, a Taurisano, e accompagnato in carcere a Lecce.
Vittorio Colitti senior è accusato dalla Procura di aver inferto le 24 coltellate che nella notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008 provocarono la morte di Peppino Basile. L'inchiesta che lo riguarda è giunta al termine e la Procura di Lecce si appresta a chiedere il rinvio a giudizio.
Già sotto processo per concorso nell'omicidio si trova invece il nipote Vittorio Colitti, all'epoca dei fatti ancora minorenne. Nei giorni scorsi la pubblica accusa ha chiesto la condanna a 15 anni di reclusione, mentre la difesa ne ha chiesto l'assoluzione. Si è in attesa della sentenza, che dovrebbe arrivare il 27 o il 28 dicembre.

OMICIDIO BASILE, IL 67ENNE COLITTI RITORNA IN CARCERE

A distanza di oltre un anno dal suo arresto, Vittorio Colitti senior torna in carcere. Sanato il vizio di forma per cui era stato scarcerato, a seguito di un pronunciamento della Corte di cassazione
22 Dicembre 2010
Tratto dal Sito Internet
www.lecceprima.it
A distanza di oltre un anno dal suo arresto, l’ugentino Vittorio Colitti senior torna in carcere. A ridosso della pronuncia della sentenza di primo grado che dovrebbe decidere le sorti del nipote 19enne imputato per l’omicidio di Peppino Basile, il nonno è stato ancora una volta ammanettato. L’arresto è stato effettuato questo pomeriggio, proprio subito dopo la conclusione dell’udienza nel Tribunale dei minorenni. L’ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal gip Carlo Cazzella, su richiesta del pubblico ministero Giovanni De Palma. Ennesimo colpo di scena, dunque, nella vicenda processuale che riguarda i presunti assassini di Peppino Basile.
Vittorio Colitti, 67 anni, era stato scarcerato il 9 settembre scorso dal Tribunale del Riesame di Lecce, dopo che la Corte di cassazione aveva annullato la sua ordinanza di custrodia cautelare. In quell’occasione, i giudici sancirono l’inefficacia dell’ordinanza a causa di un vizio di forma. Il collegio aveva evidenziato come la Procura non avesse trasmesso gli atti relativi alla pista del pentito Giovanni Vaccaro. E probabilmente, gli inquirenti avranno voluto sanare l’errore, emettendo una nuove ordinanza. L’arresto è stato effettuato a Taurisano, a casa di alcuni parenti dei Colitti poiché il resto della famiglia era in Tribunale, a Lecce. L’uomo è difeso dagli avvocati Francesca Conte e Roberto Bray.

PANCHO PARDI (ITALIA DEI VALORI) FA IMPAZZIRE LA PRESIDENZA DEL SENATO

giovedì 23 dicembre 2010

INCONTRO AL NATALE (14) - TERZA PREDICA DI AVVENTO: LA RISPOSTA CRISTIANA AL RAZIONALISMO

Terza meditazione di padre Cantalamessa
davanti al Papa e alla Curia Romana
17 dicembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Di seguito la terza Predica d'Avvento pronunciata da padre Raniero Cantalamessa OFM Cap, predicatore della Casa Pontificia, davanti a Benedetto XVI e alla Curia Romana per offrire “La risposta cristiana al razionalismo”.
“PRONTI A RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA CHE È IN NOI”
(1 Pietro 3, 15)
1. La ragione usurpatrice
Il terzo ostacolo, che rende tanta parte della cultura moderna “refrattaria” al Vangelo, è il razionalismo. Di esso intendiamo occuparci in questa ultima meditazione di Avvento.
Il cardinale, e ora beato, John Henry Newman ci ha lasciato un memorabile discorso, pronunciato l’11 Dicembre del 1831, all’Università di Oxford, intitolato “The Usurpation of Raison”, l’usurpazione, o la prevaricazione, della ragione. In questo titolo c’è già la definizione di ciò che intendiamo per razionalismo[1]. In una nota di commento a questo discorso, scritta nella prefazione alla sua terza edizione nel 1871, l’autore spiega cosa intende con tale espressione. Per usurpazione della ragione –dice- si intende “quel certo diffuso abuso di tale facoltà che si verifica ogni qual volta ci si occupa di religione senza una adeguata conoscenza intima, o senza il dovuto rispetto per i primi principi ad essa propri. Questa pretesa ‘ragione’ è chiamata dalla Scrittura ‘la sapienza del mondo’; è il ragionare di religione di chi ha la mentalità secolaristica, e si basa su massime mondane, che le sono intrinsecamente estranee” [2].
In un altro dei suoi Sermoni universitari, intitolato “Fede e ragione a confronto”, Newman illustra perché la ragione non può essere l’ultimo giudice in fatto di religione e di fede, con l’analogia della coscienza.
“Nessuno, scrive, dirà che la coscienza si oppone alla ragione, o che i suoi dettami non possono essere posti in forma argomentativa; tuttavia chi, da ciò, vorrà arguire che la coscienza non è un principio originale, ma che per agire ha bisogno di attendere i risultati di un processo logico-razionale? La ragione analizza i fondamenti e i motivi dell’azione, senza essere essa stessa uno di questi motivi. Come dunque la coscienza è un elemento semplice della nostra natura, e tuttavia le sue operazioni ammettono di essere giustificati dalla ragione, altrettanto la fede può essere conoscibile e i suoi atti possono essere giustificati dalla ragione, senza con questo dipenderne realmente […].Quando si dice che il vangelo esige una fede razionale, si vuole soltanto dire che la fede concorda con la retta ragione in astratto, ma non che ne sia in realtà il risultato”[3].
Una seconda analogia è quella dell’arte. “Il critico d’arte –scrive - valuta ciò che egli stesso non sa creare; altrettanto la ragione può dare la sua approvazione all’atto di fede, senza per questo essere la fonte da cui la fede promana”[4].
L’analisi di Newman ha dei tratti nuovi e originali; mette in luce la tendenza, per così dire imperialista, della ragione a sottomettere ogni aspetto della realtà ai propri principi. Si può però considerare il razionalismo anche da un altro punto di vista, strettamente collegato con il precedente. Per rimanere nella metafora politica impiegata da Newman, potremmo definirlo l’atteggiamento di isolazionismo, di chiusura in se stessa della ragione. Esso non consiste tanto nell’invadere il campo altrui, quanto nel non riconoscere l’esistenza di altro campo fuori del proprio. In altre parole, nel rifiuto che possa esistere alcuna verità al di fuori di quella che passa attraverso la ragione umana.
In questa veste, il razionalismo non è nato con l’illuminismo, anche se esso gli ha impresso una accelerazione i cui effetti perdurano ancora. È una tendenza contro la quale la fede ha dovuto fare i conti da sempre. Non solo la fede cristiana, ma anche quella ebraica e islamica, almeno nel medioevo, ha conosciuto questa sfida.
Contro tale pretesa di assolutismo della ragione, si è levata in ogni epoca la voce non solo di uomini di fede, ma anche di uomini militanti nel campo della ragione, filosofi e scienziati. "L'atto supremo della ragione, ha scritto Pascal, sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano"[5]. Nell'istante stesso che la ragione riconosce il suo limite, lo infrange e lo supera. È ad opera della ragione che si produce questo riconoscimento, che è, perciò, un atto squisitamente razionale. Essa è, alla lettera, una "dotta ignoranza" [6]. Un ignorare "a ragion veduta", sapendo di ignorare.
Si deve dunque dire che pone un limite alla ragione e la umilia colui che non le riconosce questa capacità di trascendersi. "Finora -ha scritto Kierkegaard- si è sempre parlato così: 'Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire'. Ecco lo sbaglio. Si deve dire proprio il contrario: qualora la scienza umana non voglia riconoscere che vi è qualcosa che essa non può capire, o -in modo ancor più preciso- qualcosa di cui essa con chiarezza può 'capire che non può capire', allora tutto è sconvolto. È pertanto un compito della conoscenza umana capire che vi sono e quali sono le cose che essa non può capire"[7].
2. Fede e senso del Sacro
È da attendersi che questo tipo di contestazione reciproca tra fede e ragione continui anche in futuro. È inevitabile che ogni epoca rifaccia il cammino per conto proprio, ma né i razionalisti convertiranno con i loro argomenti i credenti, né i credenti i razionalisti. Bisogna trovare una via per rompere questo circolo e liberare la fede da questa strettoia. In tutto questo dibattito su ragione e fede, è la ragione che impone la sua scelta e costringe la fede, per così dire, a giocare fuori casa e sulla difensiva.
Ne aveva ben coscienza il cardinal Newman che in un altro dei suoi discorsi universitari mette in guardia dal rischio di una mondanizzazione della fede nel suo desiderio di correre dietro la ragione. Egli dice di capire, anche se non può accettarle fino in fondo, le ragioni di coloro che sono tentati di sganciare completamente la fede dall’indagine razionale, a causa “degli antagonismi e le divisioni fomentati dall’argomentare e dibattere, l’orgogliosa confidenza che spesso accompagna lo studio delle prove apologetiche, la freddezza, il formalismo, lo spirito secolaristico e carnale, mentre la Scrittura parla della religione come di una vita divina, radicata negli affetti e manifestantesi in grazie spirituali”[8].
In tutti gli interventi di Newman sul rapporto tra ragione e fede, allora non meno dibattuto di oggi, si avverte un ammonimento: non si può combattere il razionalismo con un altro razionalismo, magari di segno contrario. Bisogna dunque trovare un’altra strada che non pretenda di sostituire quella della difesa razionale della fede, ma almeno che l’affianchi, anche perché i destinatari dell’annuncio cristiano non sono solo degli intellettuali, capaci di impegnarsi in questo tipo di confronto, ma anche la massa delle persone comuni indifferenti ad esso e più sensibili ad altri argomenti.
Pascal proponeva la strada del cuore: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”[9]; i romantici (per esempio Schleiermacher) proponevano quella del sentimento. Ci resta, penso, una via da battere: quella dell’esperienza e della testimonianza. Non intendo qui parlare dell’esperienza personale, soggettiva, della fede, ma di una esperienza universale e oggettiva che possiamo perciò far valere anche nei confronti di persone ancora estranee alla fede. Essa non ci porta fino alla fede piena e che salva: la fede in Gesù Cristo morto e risorto, ma ci può aiutare a crearne il presupposto che è l’apertura al mistero, la percezione di qualcosa che è al di sopra del mondo e della ragione.
Il contributo più notevole che la moderna fenomenologia della religione ha dato alla fede, soprattutto nella forma che essa riveste nell’opera classica di Rudolph Otto “Il sacro”[10], è di aver mostrato che l’affermazione tradizionale che c’è qualcosa che non si spiega con la ragione, non è un postulato teorico o di fede, ma un dato primordiale di esperienza.
Esiste un sentimento che accompagna l’umanità fin dai suoi primordi ed è presente in tutte le religioni e le culture: L’autore lo chiama il sentimento del numinoso. Esso è un dato primario, irriducibile a ogni altro sentimento o esperienza umana; coglie l’uomo con un brivido quando, per qualche circostanza esterna o interna a lui, si trova davanti alla rivelazione del mistero “tremendo e affascinante” del soprannaturale.
Otto designa l’oggetto di questa esperienza con l’aggettivo “irrazionale” (il sottotitolo dell’opera è “L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale”); ma tutta l’opera dimostra che il senso che egli da al termine “irrazionale” non è quello di “contrario alla ragione”, ma quello di “fuori della ragione”, di non traducibile in termini razionali. Il numinoso si manifesta in gradi diversi di purezza: dallo stadio più grezzo che è la reazione inquietante suscitata dalle storie di spiriti e di spettri, allo stadio più puro che è la manifestazione della santità di Dio – il Qadosh biblico -, come nella celebre scena della vocazione di Isaia (Is 6, 1 ss).
Se è così, la rievangelizzazione del mondo secolarizzato passa anche attraverso un recupero del senso del sacro. Il terreno di cultura del razionalismo –sua causa ed insieme suo effetto – è la perdita del senso del sacro, è necessario perciò che la Chiesa aiuti gli uomini a rimontare la china e riscoprire la presenza e la bellezza del sacro nel mondo. Charles Péguy ha detto che “la spaventosa penuria del Sacro è il marchio profondo del mondo moderno”. Lo si nota in ogni aspetto della vita, ma in particolare nell’arte, nella letteratura e nel linguaggio di tutti i giorni. Per molti autori, essere definiti “dissacranti” non è più un’offesa, ma un complimento.
La Bibbia viene accusata a volte di aver “desacralizzato” il mondo per aver scacciato ninfe e divinità dai monti, dai mari e dai boschi, e aver fatto di essi semplici creature a servizio dell’uomo. Questo è vero, ma è proprio spogliandole di questa falsa pretesa di essere essi stessi delle divinità, che la Scrittura le ha restituite alla loro genuina natura di “segno” del divino. È l’idolatria delle creature che la Bibbia combatte, non la loro sacralità.
Così “secolarizzato”, il creato ha ancora più potere di provocare l’esperienza del numinoso e del divino. Di una esperienza del genere reca il segno, a mio parere, la celebre dichiarazione di Kant, il rappresentante più illustre del razionalismo filosofico:
Due cose riempiono l’animo mio di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. […]. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata”[11].
Uno scienziato vivente, Francis Collins, da poco nominato accademico pontificio, nel suo libro “Il Linguaggio di Dio”, descrive così il momento del suo ritorno alla fede: “In un bel mattino di autunno, mentre per la prima volta, passeggiando sulle montagne, mi spingevo all’ovest del Mississippi, la maestà e bellezza della creazione vinsero la mia resistenza. Capii che la ricerca era arrivata al termine. Il mattino seguente, al sorgere del sole, mi inginocchiai sull’erba bagnata e mi arresi a Gesù Cristo” [12].
Le stesse scoperte meravigliose della scienza e della tecnica, anziché portare al disincanto, possono diventare occasioni di stupore e di esperienza del divino. Il momento finale della scoperta del genoma umano viene descritto dallo stesso Francis Collins che fu a capo dell’equipe governativa che portò a tale scoperta, “una esperienza di esaltazione scientifica e al tempo stesso di adorazione religiosa”. Tra le meraviglie del creato, nulla è più meraviglioso dell’uomo e, nell’uomo, della sua intelligenza creata da Dio.
La scienza dispera ormai di toccare un limite estremo nell’esplorazione dell’infinitamente grande che è l’universo e nell’esplorazione dell’infinitamente piccolo che sono le particelle sub-atomiche. Alcuni fanno di queste “sproporzioni” un argomento a favore dell’inesistenza di un Creatore e dell’insignificanza dell’uomo. Per il credente esse sono il segno per eccellenza, non solo dell’esistenza, ma anche degli attributi di Dio: la vastità dell’universo, è segno della sua infinita grandezza e trascendenza, la piccolezza dell’atomo, della sua immanenza e dell’umiltà della sua incarnazione che lo ha portato a farsi bambino nel seno di una madre e minuscolo pezzo di pane nelle mani del sacerdote.
Anche nella vita umana quotidiana non mancano occasioni in cui è possibile fare l’esperienza di un’”altra” dimensione: l’innamoramento, la nascita del primo figlio, una grande gioia. Bisogna aiutare le persone ad aprire gli occhi e a ritrovare la capacità di stupirsi. “Chi si stupisce, regnerà”, dice un detto attribuito a Gesù fuori dei vangeli[13]. Nel romanzo “I fratelli Karamazov”, Dostoevskij riferisce le parole che lo starez Zosima, ancora ufficiale dell’esercito, rivolge ai presenti, nel momento in cui, folgorato dalla grazia, rinuncia a battersi in duello con l’avversario: “Signori, girate intorno lo sguardo ai doni di Dio: questo cielo limpido, quest’aria pura, quest’erba tenera, questi uccellini: la natura è così bella e innocente, mentre noi, noi soli, siamo lontani da Dio e siamo stupidi e non comprendiamo che la vita è un paradiso, giacché basterebbe che lo volessimo comprendere, e subito quello s’instaurerebbe in tutta la sua bellezza, e noi ci abbracceremmo e romperemmo in lacrime”[14]. Questo è genuino senso della sacralità del mondo e della vita!
3. Bisogno di testimoni
Quando l’esperienza del sacro e del divino che ci giunge improvvisa e inattesa da fuori di noi, è accolta e coltivata, diventa esperienza soggettiva vissuta. Si hanno così i “testimoni” di Dio che sono i santi e, in modo tutto particolare, una categoria di essi, i mistici.
I mistici, dice una celebre definizione di Dionigi Areopagita, sono coloro che hanno "patito Dio" [15], cioè che hanno sperimentato e vissuto il divino. Sono, per il resto dell’umanità, come gli esploratori che entrarono per primi, di nascosto, nella Terra Promessa e poi tornarono indietro per riferire ciò che avevano veduto - "una terra dove scorre latte e miele" -, esortando tutto il popolo ad attraversare il Giordano (cf Num 14,6-9). Per mezzo di essi giungono a noi, in questa vita, i primi bagliori della vita eterna.
Quando si leggono i loro scritti, come appaiono lontane e perfino ingenue le più sottili argomentazioni degli atei e dei razionalisti! Nasce, nei confronti di questi ultimi, un senso di stupore e anche di pena, come davanti a qualcuno che parla di cose che manifestamente non conosce. Come chi credesse di scoprire continui errori di grammatica in un interlocutore, e non si accorgesse che questi sta semplicemente parlando un'altra lingua che lui non conosce. Ma non si ha nessuna voglia di mettersi a confutarli, tanto le stesse parole dette in difesa di Dio appaiono, in quel momento, vuote e fuori luogo.
I mistici sono, per eccellenza, coloro che hanno scoperto che Dio "esiste"; anzi, che egli solo esiste davvero e che è infinitamente più reale di ciò che di solito chiamiamo realtà. Fu precisamente da uno di questi incontri che una discepola del filosofo Husserl, ebrea e atea convinta, una notte scoprì il Dio vivente. Parlo di Edith Stein, ora Santa Teresa Benedetta della Croce. Era ospite di amici cristiani e una sera che questi si erano dovuti assentare, rimasta sola in casa e non sapendo cosa fare, prese un libro dalla loro biblioteca e si mise a leggerlo. Era l'autobiografia di santa Tersa d'Avila. Andò avanti a leggere tutta la notte. Giunta alla fine, esclamò semplicemente: "Questa è la verità!". Di buon mattino andò in città a comprare un catechismo cattolico e un messalino e, dopo averli studiati, si recò a una vicina chiesa e domandò al sacerdote di essere battezzata.
Ho fatto anch’io una piccola esperienza del potere che hanno i mistici di far toccare con mano il soprannaturale. Era l’anno in cui si discuteva molto sul libro di un teologo intitolato “Esiste Dio?” (“Existiert Gott?”) ma, giunti alla fine della lettura, ben pochi erano pronti a cambiare il punto interrogativo del titolo in un punto esclamativo. Andando a un congresso mi portai dietro il libro degli scritti della Beata Angela da Foligno che non conoscevo ancora. Ne rimasi letteralmente abbagliato; lo portavo con me alle conferenze, lo riaprivo a ogni intervallo, e alla fine lo richiusi dicendo a me stesso: “Se Dio esiste? Non solo esiste, ma è davvero fuoco divorante!”
Purtroppo una certa moda letteraria è riuscita a neutralizzare anche la "prova" vivente dell'esistenza di Dio che sono i mistici. Lo ha fatto con un metodo singolarissimo: non riducendo il loro numero, ma aumentandolo, non restringendo il fenomeno, ma dilatandolo a dismisura. Mi riferisco a coloro che in una rassegna dei mistici, in antologie dei loro scritti, o in una storia della mistica, mettono uno accanto all'altro, come appartenenti allo stesso genere di fenomeni, san Giovanni della Croce e Nostradamus, santi ed eccentrici, mistica cristiana e cabala medievale, ermetismo, teosofismo, forme di panteismo e perfino l'alchimia. I mistici veri sono un’altra cosa e la Chiesa ha ragione di essere così rigorosa nel suo giudizio su di loro.
Il teologo Karl Rahner, riprendendo, pare, una frase di Raimondo Pannikar, ha affermato: “Il cristiano di domani, o sarà un mistico, o non sarà”. Intendeva dire che, in futuro, a tener viva la fede sarà la testimonianza di persone che hanno una profonda esperienza di Dio, più che la dimostrazione della sua plausibilità razionale. Paolo VI diceva, in fondo, la stessa cosa quando affermava, nell’Evangelii nuntiandi (nr.41): “L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Quando l’apostolo Pietro raccomandava ai cristiani di essere pronti a”dar ragione della loro speranza” (1 Pt 3,15), è certo, dal contesto, che anche lui non intendeva parlare di ragioni speculative o dialettiche, ma delle ragioni pratiche, cioè la loro esperienza di Cristo, unita alla testimonianza apostolica che la garantiva. In un commento a questo testo, il cardinal Newman, parla di “ragioni implicite”, che sono, per il credente, più intimamente persuasive che non le ragioni esplicite e argomentative[16].
4. Un soprassalto di fede a Natale
Arriviamo così alla conclusione pratica che più ci interessa in una meditazione come questa. Di irruzioni improvvise del soprannaturale nella vita, non hanno bisogno soltanto i non credenti e i razionalisti per venire alla fede; ne abbiamo bisogno anche noi credenti per ravvivare la nostra fede. Il pericolo maggiore che corrono le persone religiose è di ridurre la fede a una sequenza di riti e di formule, ripetute magari anche con scrupolo, ma meccanicamente e senza intima partecipazione di tutto l’essere. “Questo popolo si avvicina a me solo con la bocca - si lamenta Dio in Isaia - e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani” (Is 29, 13).
Il Natale può essere un’occasione privilegiata per avere questo soprassalto di fede. Esso è la suprema “teofania” di Dio, la più alta “manifestazione del Sacro”. Purtroppo il fenomeno del secolarismo sta spogliando questa festa del suo carattere di “mistero tremendo” - cioè che induce al santo timore e all’adorazione -, per ridurlo al solo aspetto di “mistero affascinante”. Affascinante, quel che è peggio, in senso solo naturale, non soprannaturale: una festa dei valori familiari, dell’inverno, dell’albero, delle renne e di Babbo Natale. È in atto in qualche paese il tentativo di cambiare anche il nome di Natale in quello di “festa della luce”. In pochi casi la secolarizzazione è così visibile come a Natale.
Per me, il carattere “numinoso” del Natale è legato a un ricordo. Assistevo un anno alla Messa di Mezzanotte presieduta da Giovanni Paolo II in San Pietro. Arrivò il momento del canto della Kalenda, cioè la solenne proclamazione della nascita del Salvatore, presente nell’antico Martirologio e reintrodotta nella liturgia natalizia dopo il Vaticano II:
“Molti secoli dalla creazione del mondo…
Tredici secoli dopo l’uscita dall’Egitto…
Nella centonovantacinquesima Olimpiade,
Nell’anno 752 dalla fondazione di Roma…
Nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Augusto,
Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce a Betlemme di Giudea dalla Vergine Maria, fatto uomo”.
Giunti a queste ultime parole provai quella che viene chiamata “l’unzione della fede”: una improvvisa chiarezza interiore, per cui ricordo che dicevo tra me: “È vero! È tutto vero questo che si canta! Non sono soltanto parole. L’eterno entra nel tempo. L’ultimo avvenimento della serie ha rotto la serie; ha creato un “prima” e un “dopo” irreversibili; il computo del tempo che prima avveniva in relazione a diversi avvenimenti (olimpiade tale, regno del tale), ora avviene in relazione a un unico avvenimento”. Una commozione improvvisa mi attraversò tutta la persona, mentre potevo solo dire: “Grazie, Santissima Trinità, e grazie anche a te, Santa Madre di Dio!”.
Aiuta molto a fare del Natale l’occasione per un soprassalto di fede trovare spazi di silenzio. La liturgia avvolge la nascita di Gesù nel silenzio: “Dum medium silentium tenerent omnia”, mentre tutto intorno era silenzio. “Stille Nacht”, notte di silenzio, viene chiamato il Natale nel più diffuso e caro dei canti natalizi. A Natale dovremmo sentire come rivolto personalmente a noi l’invito del Salmo: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio” (Sal 46,11).
La Madre di Dio è il modello insuperabile di questo silenzio natalizio: “Maria – è scritto –, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19). Il silenzio di Maria a Natale è più che un semplice tacere; è meraviglia, è adorazione; è un “religioso silenzio”, un essere sopraffatta dalla realtà. L’interpretazione più vera del silenzio di Maria è quella che si ha nelle antiche icone bizantine, dove la Madre di Dio ci appare immobile, con lo sguardo fisso, gli occhi spalancati, come chi ha visto cose che non si possono ridire a parole. Maria, per prima, ha elevato a Dio quello che san Gregorio Nazianzeno chiama un “inno di silenzio”[17].
Fa veramente il Natale chi è capace di fare oggi, a distanza di secoli, quello che avrebbe fatto, se fosse stato presente quel giorno. Chi fa quello che ci ha insegnato a fare Maria: inginocchiarsi, adorare e tacere!
Note
[1] J.H. Newman, Oxford University Sermons, London 1900, pp.54-74; trad. Ital. di L. Chitarin, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2004, pp. 465-481.
[2] Ib.p. XV (trad. ital. Cit. p.726).
[3] Ib., p. 183 (trad. ital. Cit. p.575).
[4] Ibidem.
[5] B.Pascal, Pensieri 267 Br.
[6] S. Agostino, Epist. 130,28 (PL 33, 505).
[7] S. Kierkegaard, Diario VIII A 11.
[8] Newman, op. cit., p. 262 (trad. ital. cit., p. 640 s).
[9] B. Pascal, Pensieri, n.146 (ed. Br. N. 277).
[10] R. Otto, Das Heilige. Über das Irrationale in der Idee des Göttlichen und seine Verhältnis zum Rationalem, 1917. ( Trad. ital. di E. Bonaiuti, Il Sacro, Milano, Feltrinelli 1966).
[11] I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1974, p. 197.
[12] F. Collins, The Language of God. A Scientist Presents Evidence for Belief, Free Press 2006, pp. 219 e 255.
[13] In Clemente Alessandrino, Stromati, 2, 9).
[14] F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, parte II, VI,
[15] Dionigi Areopagita, Nomi divini II,9 (PG 3, 648) ("pati divina").
[16] Cf. Newman, “Implicit and Explicit Reason”, in University Sermons, XIII, cit., pp. 251-277
[17] S. Gregorio Nazianzeno, Carmi, XXIX (PG 37, 507).