Inaugurazione dell’anno accademico 2009-2010
dell’Università Europea di Roma
24 novembre 2009
24 novembre 2009
Tratto da ZENIT.org
Di seguito la Lectio magistralis svolta dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone sul tema “Verso un nuovo umanesimo” in occasione dell'inaugurazione dell’anno accademico 2009-2010 dell’Università Europea di Roma.
Carità - Verità - Giustizia
La Caritas in veritate, nella ricchezza dei suoi contenuti quale documento magisteriale e pastorale, propositivo e interpretativo della complessità economica e sociale del III millennio, riporta l'uomo al centro di un nuovo umanesimo, i cui valori sono la Carità e la Verità. Non v’è dubbio che proprio questi concetti suscitino oggi sospetto – soprattutto il termine verità – o siano oggetto di fraintendimento – e ciò vale soprattutto per il termine “amore”. Per questo è importante chiarire di quale verità e di quale amore parli la nuova enciclica. Il Santo Padre ci fa comprendere che queste due realtà fondamentali non sono estrinseche all’uomo o addirittura imposte a lui in nome di una qualsivoglia visione ideologica, ma hanno un profondo radicamento nella persona stessa. Infatti, “amore e verità – afferma il Santo Padre - sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo” (n. 1), di quell’uomo che, secondo la Sacra Scrittura, è appunto creato “ad immagine e somiglianza” del suo Creatore, cioè del “Dio biblico, che è insieme «Agápe» e «Lógos»: Carità e Verità, Amore e Parola” (n. 3).
Carità e Verità in questo senso si coniugano e si interfacciano specularmene a fondamento della dottrina sociale della Chiesa.
Se la Carità, infatti, è il principio delle micro e delle macro relazioni - dalla famiglia ai rapporti sociali, economici e politici - la Verità permette agli uomini di extrapolare le opinioni e le sensazioni individuali e di portarsi al di sopra - e oltre - delle determinazioni culturali e storiche, fino "a valutazioni del valore e della sostanza delle cose". In tal senso, l'uomo, come persona i cui comportamenti non sono ispirati dal soggettivismo finalizzato all'egoismo attraverso un calcolo edonistico, ma dal solidarismo fondato sul bene comune, è il trait-d'union tra un consolidato umanesimo - che trova origine nella dottrina del tomismo e prassi economica nel capitalismo mercantile - ed il suo rinnovamento imposto dal processo di globalizzazione e dall'attuale crisi finanziaria.
Il bene comune, scrive Benedetto XVI, "è esigenza di giustizia e di carità"; è impegnarsi nel "prendersi cura, da una parte, e avvalersi dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale". Perciò, nell'età della globalizzazione, "il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere la dimensione dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, per renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio" (cfr n. 7).
Significativo, in questo senso il capitolo della Caritas in veritate dedicato alla collaborazione della famiglia umana, dove viene messo in evidenza che “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia” per cui “un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione”. E ancora: “Il tema dello sviluppo coincide con quello dell'inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell'unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace” (nn. 53-54).
Primo umanesimo e sua connessione con le strutture economiche
È nel XIV secolo, e con maggiore forza e rinnovato vigore nel XV secolo, che un vasto e impetuoso moto culturale europeo riscopre l'uomo riportandolo al centro del mondo, vale a dire al centro di tutti gli interessi morali e spirituali. Si va, in questo modo, aprendo la via all'età moderna: all'umanesimo prima, al rinascimento poi. L'uomo, dunque, è posto al centro del mondo.
Non è superfluo ricordare che il mondo è, in quel passaggio epocale, coeso e connesso: gli affari si estendono dall'Inghilterra alle oasi del Sahara, dal Portogallo alla Cina. Si tratta del maggiore impero economico mai conosciuto fino ad allora.
La riscoperta dell'uomo va dunque correttamente collocata sullo sfondo dell'impetuoso slancio che la vita economica alto-medioevale assume fin dall'XI secolo. Si tratta di uno slancio che rappresenta uno dei punti di svolta nella storia della civiltà europea; la maggiore rivoluzione, dopo quella neolitica e prima di quella industriale, di cui l'Europa sia stata teatro.
A propagare i benefici effetti della ripresa demografica e tecnologica sono la più ampia circolazione della moneta e dei titoli di credito, il commercio, specie marittimo, che entra anche esso in un periodo di rinascita, e il ruolo delle città, in particolare di due centri posti uno a meridione, l'altro a settentrione dell'Europa: Venezia, da una parte, Bruges, dall'altra, senza dimenticare Genova.
Propagandosi all'interno del Continente, il movimento venuto dal Nord incontra quello proveniente dal Sud. Il contatto, come è noto, avviene nella pianura della Champagne, dove hanno luogo le celebri fiere di Troyes, di Lagny, di Provins e di Bar-sur-Aube, che fino alla fine del XIII secolo svolgono la moderna funzione di borsa e di clearing house. Lettere di cambio, prestiti, vendite a rate: la finanza è già all'opera.
Non a caso, il commercio – vale a dire il capitalismo mercantile – occupa un posto centrale nel pensiero di Nicolas d'Orèsme (1320-1382), Vescovo di Lisieux e autore di un celebre trattato sulla moneta e la sua corretta gestione da parte del principe. Orèsme è l'autorevole testimone di un mondo nuovo e in via di espansione, in cui i mercati – e la moneta – vanno affermandosi.
Fu la rivoluzione commerciale lo sfondo che permise all'Europa cristiana di sviluppare quell'umanesimo che pose l'uomo al centro del mondo.
Carismi cristiani ed economia di mercato
Nel contesto della storia dell’umanità non possiamo tralasciare di menzionare il fatto che essa è costellata di esperienze civili ed economiche origi¬nate da correnti e carismi spirituali. L'Euro¬pa, per esempio, non sarebbe come oggi la conosciamo, anche sotto il profilo sociale ed economico, senza il movimento benedetti¬no o quello francescano, da cui hanno avuto origine innovazioni fondamentali anche per quella che sarebbe poi diventata l'economia di mercato. Le «reduciones» dei gesuiti in Sud America restano ancora oggi un esempio luminoso di civiltà. I carismi sociali di tanti fondatori di ordini religiosi tra il XVIII e il XIX secolo, che hanno dato vita ad ospedali, scuole, opere caritative, hanno segnato la na¬scita e lo sviluppo del moderno stato socia¬le (welfare state). Tutte esperienze a movente ideale e spirituale, certamente, ma che hanno arricchito e in certi casi determinato lo svi¬luppo economico e sociale dei nostri paesi.
Ai fini della presente relazione, conviene prendere le mosse dalla fine dell'XI secolo, quando l'ordine cistercense si consolida e si diffonde in Europa. Figura chiave di questo periodo è Bernardo da Chiaravalle, al quale si deve la proliferazione delle abbazie bene¬dettine. A partire da Digione, e poi nel resto dell'Europa, il rapido sviluppo delle abba¬zie fa sorgere ben presto problemi di natura squisitamente economica di cui Bernardo percepisce fin da subito la novità.
Uno di questi ha a che fare con i vin¬coli che è opportuno porre all'agire econo¬mico dell'abbazia - e dunque dell'abate - af¬finché possa essere scongiurato il rischio di un'accumulazione improduttiva di terreni e ricchezze. Il pericolo di quella che molto in seguito sarà chiamata «manomorta» già vie¬ne intravisto da Bernardo. Un secondo pro¬blema riguarda l'organizzazione interna del lavoro nell'abbazia: è preferibile l'autarchia, con il che ciascuna abbazia deve tendere ad essere autosittica, provvedendo da sè mede¬sima a tutto ciò di cui ha bisogno, oppure la specializzazione? In questo secondo caso, ciascuna abbazia deve occuparsi di determi¬nate lavorazioni soltanto e poi, per il tramite dello scambio, entrare in possesso dei beni prodotti dalle altre abbazie. Un terzo pro¬blema, infine, in parte conseguenza di quel¬lo precedente, è quello del tipo di rapporto che avrebbe dovuto instaurarsi tra abbazia madre e abbazie «affiliate»: rapporti di coo¬perazione oppure di competizione? Per dir¬la con il linguaggio economico moderno, i rapporti tra le abbazie devono essere quelli vigenti tra le imprese di un gruppo oppure tra reti di imprese?
È nella Carta Caritatis del 1098, vera e propria continuazione e aggiornamento della precedente Regula Sancti Benedicti, che troviamo un primo abbozzo di soluzione ai problemi sopra indicati. Due sono i principi che la Carta Caritatis enuncia in modo netto e chiaro. Per un verso, si afferma che non è lecito «costruire la propria abbondanza ricavandola dall'impoverimento altrui». Questo significa che quello economico ha da essere un gioco a somma positiva, dal quale cioè tutte le parti in causa devono trarre giova¬mento, anche se in proporzioni non neces¬sariamente eguali. L'implicazione notevole della concezione per la quale l'agire econo¬mico non può limitarsi ad un gioco a somma nulla - nel quale ciò che una parte ottiene eguaglia quello che l'altra parte perde - è che l'organizzazione del processo produttivo ha da essere tale da generare un sovrappiù: solo così, infatti, tutti coloro che prendono parte al processo possono trarne vantaggio. Per l'altro verso, la Carta sancisce la sostituzione del termine elemosina con il ter¬mine «beneficentia», «fare il bene». Quali le implicazioni di ordine pratico di tale sostitu¬zione? In primo luogo, che nella beneficen¬za il bisogno di chi chiede aiuto deve essere valutato con intelligenza; quanto a dire che il benefattore deve sforzarsi di comprendere le ragioni per le quali il povero è tale. In secondo luogo, che la beneficenza non deve incentivare la pigrizia nel bi-sognoso; non deve cioè inibire la possibilità di uscita dalla situazione di bisogno – quella che oggi viene chiamata «la trappola della povertà». Non accade così nell'elemosina, dove l'identità del portatore di bisogni è spesso sconosciuta al benefattore.
È veramente sorprendente la straor¬dinaria vicinanza di questi due principi con¬tenuti nella Carta con un pensiero assai più antico, quello di Aristotele, quando, nell'Eti¬ca Nicomachea, scrive: «Nel dare bisogna pro¬porsi il bene e dare ragionevolmente. Si deve sapere a chi si deve dare; quale ammontare è conveniente e qual è il momento appropria¬to. In tal modo si fa, nel più alto grado pos¬sibile, un servizio vero all'altro» (IV, I).
Del pari, è importante ricordare come il pensiero e l'opera dei cistercensi confluiranno pochi secoli dopo, a mo' di affluenti, nel grande fiume della tradizione francescana, vera e propria prima scuola di pensiero economico, dalla quale verranno le idee per realizzare gli strumenti finanziari tipici di una moder¬na economia di mercato: la carta di credito; la contabilità d'impresa (si pensi al france¬scano Luca Pacioli, che nel 1494 sistematiz¬zerà in modo definitivo la partita doppia); le lettere di cambio; il foro dei mercanti; la borsa; e soprattutto i Monti di Pietà.
Come è noto, i Monti di Pietà quasi tutti fondati da personaggi come Bernardi¬no da Feltre e ispirati dalle Prediche Volgari (1427) di San Bernardino da Siena, costituiro¬no il modello dal quale trasse origine la ban¬ca moderna. Giova richiamare alla memoria l'idea fondativa del Monte di Pietà: il credito va concesso al povero perché questi possa es¬sere aiutato ad uscire dalla sua condizione e a chi ha progetti da realizzare, cioè a chi ha il talento dell'imprenditorialità, perché possa generare valore aggiunto sociale - come oggi si tende a dire. Sono questi i criteri ispiratori dell'attività finanziaria, e di quella bancaria in particolare, al momento della sua nascita: non si combatte efficacemente l'usura - vera e propria piaga sociale dell'epoca - senza un'adeguata e ben funzionante struttura fi¬nanziaria; né si può assicurare sostenibilità allo sviluppo senza quest'ultima (cfr S. Zamagni, L’etica nell’attività finanziaria, discorso alla Fondazione Gabriele Berionne, dicembre 2006; T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2007).
Queste ed altre esperienze ci insegnano che è nel tempo lungo della storia che l'uomo è chiamato a svolgere la sua missione terrena con dignità e libertà. Non sembra un caso, volgendo nuovamente lo sguardo e il pensiero alle origini umanistiche della moderna civiltà europea, che proprio nel Quattrocento, nella Firenze dei grandi banchieri e dei ricchi mercanti, l'umanista Giovanni Pico della Mirandola scrivesse una Oratio de hominis dignitate, nella quale Dio parla ad Adamo, e dunque all'uomo: «Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine [...] Nell'uomo nascente il Padre ripose semi di ogni specie e germi di ogni vita. E, secondo che ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti».
Carità - Verità - Giustizia
La Caritas in veritate, nella ricchezza dei suoi contenuti quale documento magisteriale e pastorale, propositivo e interpretativo della complessità economica e sociale del III millennio, riporta l'uomo al centro di un nuovo umanesimo, i cui valori sono la Carità e la Verità. Non v’è dubbio che proprio questi concetti suscitino oggi sospetto – soprattutto il termine verità – o siano oggetto di fraintendimento – e ciò vale soprattutto per il termine “amore”. Per questo è importante chiarire di quale verità e di quale amore parli la nuova enciclica. Il Santo Padre ci fa comprendere che queste due realtà fondamentali non sono estrinseche all’uomo o addirittura imposte a lui in nome di una qualsivoglia visione ideologica, ma hanno un profondo radicamento nella persona stessa. Infatti, “amore e verità – afferma il Santo Padre - sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo” (n. 1), di quell’uomo che, secondo la Sacra Scrittura, è appunto creato “ad immagine e somiglianza” del suo Creatore, cioè del “Dio biblico, che è insieme «Agápe» e «Lógos»: Carità e Verità, Amore e Parola” (n. 3).
Carità e Verità in questo senso si coniugano e si interfacciano specularmene a fondamento della dottrina sociale della Chiesa.
Se la Carità, infatti, è il principio delle micro e delle macro relazioni - dalla famiglia ai rapporti sociali, economici e politici - la Verità permette agli uomini di extrapolare le opinioni e le sensazioni individuali e di portarsi al di sopra - e oltre - delle determinazioni culturali e storiche, fino "a valutazioni del valore e della sostanza delle cose". In tal senso, l'uomo, come persona i cui comportamenti non sono ispirati dal soggettivismo finalizzato all'egoismo attraverso un calcolo edonistico, ma dal solidarismo fondato sul bene comune, è il trait-d'union tra un consolidato umanesimo - che trova origine nella dottrina del tomismo e prassi economica nel capitalismo mercantile - ed il suo rinnovamento imposto dal processo di globalizzazione e dall'attuale crisi finanziaria.
Il bene comune, scrive Benedetto XVI, "è esigenza di giustizia e di carità"; è impegnarsi nel "prendersi cura, da una parte, e avvalersi dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale". Perciò, nell'età della globalizzazione, "il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere la dimensione dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, per renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio" (cfr n. 7).
Significativo, in questo senso il capitolo della Caritas in veritate dedicato alla collaborazione della famiglia umana, dove viene messo in evidenza che “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia” per cui “un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione”. E ancora: “Il tema dello sviluppo coincide con quello dell'inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell'unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace” (nn. 53-54).
Primo umanesimo e sua connessione con le strutture economiche
È nel XIV secolo, e con maggiore forza e rinnovato vigore nel XV secolo, che un vasto e impetuoso moto culturale europeo riscopre l'uomo riportandolo al centro del mondo, vale a dire al centro di tutti gli interessi morali e spirituali. Si va, in questo modo, aprendo la via all'età moderna: all'umanesimo prima, al rinascimento poi. L'uomo, dunque, è posto al centro del mondo.
Non è superfluo ricordare che il mondo è, in quel passaggio epocale, coeso e connesso: gli affari si estendono dall'Inghilterra alle oasi del Sahara, dal Portogallo alla Cina. Si tratta del maggiore impero economico mai conosciuto fino ad allora.
La riscoperta dell'uomo va dunque correttamente collocata sullo sfondo dell'impetuoso slancio che la vita economica alto-medioevale assume fin dall'XI secolo. Si tratta di uno slancio che rappresenta uno dei punti di svolta nella storia della civiltà europea; la maggiore rivoluzione, dopo quella neolitica e prima di quella industriale, di cui l'Europa sia stata teatro.
A propagare i benefici effetti della ripresa demografica e tecnologica sono la più ampia circolazione della moneta e dei titoli di credito, il commercio, specie marittimo, che entra anche esso in un periodo di rinascita, e il ruolo delle città, in particolare di due centri posti uno a meridione, l'altro a settentrione dell'Europa: Venezia, da una parte, Bruges, dall'altra, senza dimenticare Genova.
Propagandosi all'interno del Continente, il movimento venuto dal Nord incontra quello proveniente dal Sud. Il contatto, come è noto, avviene nella pianura della Champagne, dove hanno luogo le celebri fiere di Troyes, di Lagny, di Provins e di Bar-sur-Aube, che fino alla fine del XIII secolo svolgono la moderna funzione di borsa e di clearing house. Lettere di cambio, prestiti, vendite a rate: la finanza è già all'opera.
Non a caso, il commercio – vale a dire il capitalismo mercantile – occupa un posto centrale nel pensiero di Nicolas d'Orèsme (1320-1382), Vescovo di Lisieux e autore di un celebre trattato sulla moneta e la sua corretta gestione da parte del principe. Orèsme è l'autorevole testimone di un mondo nuovo e in via di espansione, in cui i mercati – e la moneta – vanno affermandosi.
Fu la rivoluzione commerciale lo sfondo che permise all'Europa cristiana di sviluppare quell'umanesimo che pose l'uomo al centro del mondo.
Carismi cristiani ed economia di mercato
Nel contesto della storia dell’umanità non possiamo tralasciare di menzionare il fatto che essa è costellata di esperienze civili ed economiche origi¬nate da correnti e carismi spirituali. L'Euro¬pa, per esempio, non sarebbe come oggi la conosciamo, anche sotto il profilo sociale ed economico, senza il movimento benedetti¬no o quello francescano, da cui hanno avuto origine innovazioni fondamentali anche per quella che sarebbe poi diventata l'economia di mercato. Le «reduciones» dei gesuiti in Sud America restano ancora oggi un esempio luminoso di civiltà. I carismi sociali di tanti fondatori di ordini religiosi tra il XVIII e il XIX secolo, che hanno dato vita ad ospedali, scuole, opere caritative, hanno segnato la na¬scita e lo sviluppo del moderno stato socia¬le (welfare state). Tutte esperienze a movente ideale e spirituale, certamente, ma che hanno arricchito e in certi casi determinato lo svi¬luppo economico e sociale dei nostri paesi.
Ai fini della presente relazione, conviene prendere le mosse dalla fine dell'XI secolo, quando l'ordine cistercense si consolida e si diffonde in Europa. Figura chiave di questo periodo è Bernardo da Chiaravalle, al quale si deve la proliferazione delle abbazie bene¬dettine. A partire da Digione, e poi nel resto dell'Europa, il rapido sviluppo delle abba¬zie fa sorgere ben presto problemi di natura squisitamente economica di cui Bernardo percepisce fin da subito la novità.
Uno di questi ha a che fare con i vin¬coli che è opportuno porre all'agire econo¬mico dell'abbazia - e dunque dell'abate - af¬finché possa essere scongiurato il rischio di un'accumulazione improduttiva di terreni e ricchezze. Il pericolo di quella che molto in seguito sarà chiamata «manomorta» già vie¬ne intravisto da Bernardo. Un secondo pro¬blema riguarda l'organizzazione interna del lavoro nell'abbazia: è preferibile l'autarchia, con il che ciascuna abbazia deve tendere ad essere autosittica, provvedendo da sè mede¬sima a tutto ciò di cui ha bisogno, oppure la specializzazione? In questo secondo caso, ciascuna abbazia deve occuparsi di determi¬nate lavorazioni soltanto e poi, per il tramite dello scambio, entrare in possesso dei beni prodotti dalle altre abbazie. Un terzo pro¬blema, infine, in parte conseguenza di quel¬lo precedente, è quello del tipo di rapporto che avrebbe dovuto instaurarsi tra abbazia madre e abbazie «affiliate»: rapporti di coo¬perazione oppure di competizione? Per dir¬la con il linguaggio economico moderno, i rapporti tra le abbazie devono essere quelli vigenti tra le imprese di un gruppo oppure tra reti di imprese?
È nella Carta Caritatis del 1098, vera e propria continuazione e aggiornamento della precedente Regula Sancti Benedicti, che troviamo un primo abbozzo di soluzione ai problemi sopra indicati. Due sono i principi che la Carta Caritatis enuncia in modo netto e chiaro. Per un verso, si afferma che non è lecito «costruire la propria abbondanza ricavandola dall'impoverimento altrui». Questo significa che quello economico ha da essere un gioco a somma positiva, dal quale cioè tutte le parti in causa devono trarre giova¬mento, anche se in proporzioni non neces¬sariamente eguali. L'implicazione notevole della concezione per la quale l'agire econo¬mico non può limitarsi ad un gioco a somma nulla - nel quale ciò che una parte ottiene eguaglia quello che l'altra parte perde - è che l'organizzazione del processo produttivo ha da essere tale da generare un sovrappiù: solo così, infatti, tutti coloro che prendono parte al processo possono trarne vantaggio. Per l'altro verso, la Carta sancisce la sostituzione del termine elemosina con il ter¬mine «beneficentia», «fare il bene». Quali le implicazioni di ordine pratico di tale sostitu¬zione? In primo luogo, che nella beneficen¬za il bisogno di chi chiede aiuto deve essere valutato con intelligenza; quanto a dire che il benefattore deve sforzarsi di comprendere le ragioni per le quali il povero è tale. In secondo luogo, che la beneficenza non deve incentivare la pigrizia nel bi-sognoso; non deve cioè inibire la possibilità di uscita dalla situazione di bisogno – quella che oggi viene chiamata «la trappola della povertà». Non accade così nell'elemosina, dove l'identità del portatore di bisogni è spesso sconosciuta al benefattore.
È veramente sorprendente la straor¬dinaria vicinanza di questi due principi con¬tenuti nella Carta con un pensiero assai più antico, quello di Aristotele, quando, nell'Eti¬ca Nicomachea, scrive: «Nel dare bisogna pro¬porsi il bene e dare ragionevolmente. Si deve sapere a chi si deve dare; quale ammontare è conveniente e qual è il momento appropria¬to. In tal modo si fa, nel più alto grado pos¬sibile, un servizio vero all'altro» (IV, I).
Del pari, è importante ricordare come il pensiero e l'opera dei cistercensi confluiranno pochi secoli dopo, a mo' di affluenti, nel grande fiume della tradizione francescana, vera e propria prima scuola di pensiero economico, dalla quale verranno le idee per realizzare gli strumenti finanziari tipici di una moder¬na economia di mercato: la carta di credito; la contabilità d'impresa (si pensi al france¬scano Luca Pacioli, che nel 1494 sistematiz¬zerà in modo definitivo la partita doppia); le lettere di cambio; il foro dei mercanti; la borsa; e soprattutto i Monti di Pietà.
Come è noto, i Monti di Pietà quasi tutti fondati da personaggi come Bernardi¬no da Feltre e ispirati dalle Prediche Volgari (1427) di San Bernardino da Siena, costituiro¬no il modello dal quale trasse origine la ban¬ca moderna. Giova richiamare alla memoria l'idea fondativa del Monte di Pietà: il credito va concesso al povero perché questi possa es¬sere aiutato ad uscire dalla sua condizione e a chi ha progetti da realizzare, cioè a chi ha il talento dell'imprenditorialità, perché possa generare valore aggiunto sociale - come oggi si tende a dire. Sono questi i criteri ispiratori dell'attività finanziaria, e di quella bancaria in particolare, al momento della sua nascita: non si combatte efficacemente l'usura - vera e propria piaga sociale dell'epoca - senza un'adeguata e ben funzionante struttura fi¬nanziaria; né si può assicurare sostenibilità allo sviluppo senza quest'ultima (cfr S. Zamagni, L’etica nell’attività finanziaria, discorso alla Fondazione Gabriele Berionne, dicembre 2006; T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2007).
Queste ed altre esperienze ci insegnano che è nel tempo lungo della storia che l'uomo è chiamato a svolgere la sua missione terrena con dignità e libertà. Non sembra un caso, volgendo nuovamente lo sguardo e il pensiero alle origini umanistiche della moderna civiltà europea, che proprio nel Quattrocento, nella Firenze dei grandi banchieri e dei ricchi mercanti, l'umanista Giovanni Pico della Mirandola scrivesse una Oratio de hominis dignitate, nella quale Dio parla ad Adamo, e dunque all'uomo: «Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine [...] Nell'uomo nascente il Padre ripose semi di ogni specie e germi di ogni vita. E, secondo che ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti».
(Fine Prima Parte)
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