Di Stefano Fontana
10 febbraio 2011
10 febbraio 2011
Tratto da ZENIT.org
Il tema della vita è molto presente nella Caritas in veritate (CV), non però come un argomento tra gli argomenti, ma come un principio chiave di tutta la sapienza sociale e politica. La CV tratta esplicitamente del tema della vita soprattutto nei paragrafi 28, 44, 48, 74 e 75. Interessanti precisazioni ci sono anche nel n. 51 che riguarda l’impegno della Chiesa per la protezione del creato su cui tornerò alla fine. Dall’esame di questi paragrafi si vede molto bene come la logica della vita influisca sulla generalità delle politiche, relative a tutti gli ambiti e che non possa assolutamente essere confinata in un ambito specifico.
Nel paragrafo 28, per esempio, si dice che “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza, utili alla vita sociale, si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”. In altre parole il disprezzo della vita corrompe il “capitale sociale” (n. 32) di una comunità politica, ecco perché “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”.
Nel paragrafo 44 si parla delle politiche demografiche. L’enciclica ribadisce i già arcinoti danni economici dell’inverno demografico – dalla crisi dei sistemi di welfare all’impoverimento delle reti di solidarietà intergenerazionale, ma soprattutto conferma l’idea che la crescita demografica è anche un valore economico: “Grandi nazioni sono potute uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alla capacità dei loro abitanti” – il pensiero va automaticamente a Cina ed India. “Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere”. Quante politiche sociali hanno a che fare con la denatalità? In occasione della recente crisi finanziaria alcuni osservatori hanno messo in evidenza come essa abbia avuto all’origine proprio la crisi demografica, che avrebbe rarefatto il mercato e spinto le imprese, complici i prodotti finanziari derivati, a vendere a credito con grande facilità. Non è che un esempio delle profonde connessioni tra denatalità e povertà economica nel lungo periodo.
Nel paragrafo 48 si analizza il legame tra ecologia naturale ed ecologia del rispetto della vita umana. Il paragrafo ha una naturale prosecuzione nei nn. 74 e 75 sulla valenza sociale e politica della bioetica. Leggiamo qui uno dei passi più inquietanti dell’intera enciclica. Il papa ha appena parlato di aborto, di pianificazione eugenetica delle nascite e di mens eutanasica. Poi così prosegue: “Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire per l’indifferenza per le situazioni umane di degrado se l’indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano”.
Stupisce anche come tanti tra gli stessi cattolici, compresi organismi e istituzioni religiose in prima linea sul fronte dello sviluppo e perfino conferenze episcopali, non abbiano ancora compreso questo nesso inscindibile che lega tra loro il rispetto della vita e l’autentico sviluppo. Anche il concetto di ecologia ambientale scivola verso interpretazioni ideologiche – l’ecologismo – se non è strettamente legato all’ecologia naturale umana, il cui primo principio è il rispetto della vita: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale” (n. 51).
Come si può vedere da queste osservazioni, il tema della vita è all’origine di ogni riflessione sulla società, la sua natura e i suoi scopi ed è anche strettamente connesso con tutti gli aspetti della politica, per cui si può veramente dire che con esso o contro di esso tutto cambia. Non faccio in questa sede la rincorsa alle possibili politiche sociali per dimostrare questo assunto. Un interessante esempio di questa centralità politica del diritto alla vita ci è stato fornito dai vescovi degli Stati Uniti sia durante la campagna elettorale americana del 2008 sia in occasione del dibattito per l’approvazione della riforma sanitaria in quel paese. Durante la campagna elettorale molti vescovi hanno insistito sulla priorità politica del tema della vita, altri si erano invece attestati contro la logica del “single issue”, sostenendo che c’è sì l’aborto ma anche la povertà o l’immigrazione. Ad un certo punto è venuto un fondamentale chiarimento da parte dei vescovi del Texas, poi fatto proprio dalla conferenza episcopale. I vescovi texani hanno fatto notare che mentre il tema della povertà, oppure quello dell’immigrazione, ammette molte soluzioni e quindi lascia spazio a scelte prudenziali di carattere politico, quello di non uccidere è un divieto morale assoluto che come tale non ammette deroghe. Esso quindi non può essere posto sullo stesso piano di altre esigenze. Del resto questo era stato già autorevolmente detto dalla Nota dottrinale della Congregazione della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica del 2002. E’ anche presente nell’ordinario magistero di Benedetto XVI ed ha trovato un momento molto espressivo nella indicazione dei cosiddetti principi non negoziabili e nell’dea che la democrazia non à un compromesso al ribasso perché il bene comune non è il minor male comune.
Nel dibattito sulla riforma sanitaria, i vescovi americani sono intervenuti in molti modi, tra i quali tramite due lettere indirizzate al Congresso in cui si puntualizzavano le critiche al testo di legge, lo si confrontava con le precedenti disposizioni dell’amministrazione repubblicana e si facevano concrete proposte giuridiche ed amministrative al riguardo. L’impegno della Chiesa cattolica americana su questi temi è encomiabile e le statistiche dicono che ormai i fronti pro choice e pro life si equivalgono numericamente, fatto questo che ha forse indotto il presidente Obama a togliere nella riforma la parte riguardante il diritto alla vita.
Vorrei concludere con una riflessione su un aspetto di grande interesse e importanza a mio parere. Il paragrafo n. 51 dice che “la Chiesa ha una grande responsabilità per il creato”. Si tratta di una affermazione dalle molteplici fondamentali conseguenze che possiamo capire meglio ricordando quanto Benedetto XVI ha detto nel dicembre scorso in un memorabile discorso alla curia romana per gli auguri natalizi. “Poiché la fede nel creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza.
Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e come donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato … Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura”. Il tema della vita (e della famiglia) si colloca quindi nel punto stesso in cui la missione pubblica della Chiesa incontra la politica. La Chiesa non cederà mai su questo punto; i cattolici non cesseranno di impegnarsi in questo campo, la politica non riuscirà mai a liberarsi di questa spina nel fianco.
Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa
Nel paragrafo 28, per esempio, si dice che “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza, utili alla vita sociale, si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”. In altre parole il disprezzo della vita corrompe il “capitale sociale” (n. 32) di una comunità politica, ecco perché “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”.
Nel paragrafo 44 si parla delle politiche demografiche. L’enciclica ribadisce i già arcinoti danni economici dell’inverno demografico – dalla crisi dei sistemi di welfare all’impoverimento delle reti di solidarietà intergenerazionale, ma soprattutto conferma l’idea che la crescita demografica è anche un valore economico: “Grandi nazioni sono potute uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alla capacità dei loro abitanti” – il pensiero va automaticamente a Cina ed India. “Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere”. Quante politiche sociali hanno a che fare con la denatalità? In occasione della recente crisi finanziaria alcuni osservatori hanno messo in evidenza come essa abbia avuto all’origine proprio la crisi demografica, che avrebbe rarefatto il mercato e spinto le imprese, complici i prodotti finanziari derivati, a vendere a credito con grande facilità. Non è che un esempio delle profonde connessioni tra denatalità e povertà economica nel lungo periodo.
Nel paragrafo 48 si analizza il legame tra ecologia naturale ed ecologia del rispetto della vita umana. Il paragrafo ha una naturale prosecuzione nei nn. 74 e 75 sulla valenza sociale e politica della bioetica. Leggiamo qui uno dei passi più inquietanti dell’intera enciclica. Il papa ha appena parlato di aborto, di pianificazione eugenetica delle nascite e di mens eutanasica. Poi così prosegue: “Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire per l’indifferenza per le situazioni umane di degrado se l’indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano”.
Stupisce anche come tanti tra gli stessi cattolici, compresi organismi e istituzioni religiose in prima linea sul fronte dello sviluppo e perfino conferenze episcopali, non abbiano ancora compreso questo nesso inscindibile che lega tra loro il rispetto della vita e l’autentico sviluppo. Anche il concetto di ecologia ambientale scivola verso interpretazioni ideologiche – l’ecologismo – se non è strettamente legato all’ecologia naturale umana, il cui primo principio è il rispetto della vita: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale” (n. 51).
Come si può vedere da queste osservazioni, il tema della vita è all’origine di ogni riflessione sulla società, la sua natura e i suoi scopi ed è anche strettamente connesso con tutti gli aspetti della politica, per cui si può veramente dire che con esso o contro di esso tutto cambia. Non faccio in questa sede la rincorsa alle possibili politiche sociali per dimostrare questo assunto. Un interessante esempio di questa centralità politica del diritto alla vita ci è stato fornito dai vescovi degli Stati Uniti sia durante la campagna elettorale americana del 2008 sia in occasione del dibattito per l’approvazione della riforma sanitaria in quel paese. Durante la campagna elettorale molti vescovi hanno insistito sulla priorità politica del tema della vita, altri si erano invece attestati contro la logica del “single issue”, sostenendo che c’è sì l’aborto ma anche la povertà o l’immigrazione. Ad un certo punto è venuto un fondamentale chiarimento da parte dei vescovi del Texas, poi fatto proprio dalla conferenza episcopale. I vescovi texani hanno fatto notare che mentre il tema della povertà, oppure quello dell’immigrazione, ammette molte soluzioni e quindi lascia spazio a scelte prudenziali di carattere politico, quello di non uccidere è un divieto morale assoluto che come tale non ammette deroghe. Esso quindi non può essere posto sullo stesso piano di altre esigenze. Del resto questo era stato già autorevolmente detto dalla Nota dottrinale della Congregazione della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica del 2002. E’ anche presente nell’ordinario magistero di Benedetto XVI ed ha trovato un momento molto espressivo nella indicazione dei cosiddetti principi non negoziabili e nell’dea che la democrazia non à un compromesso al ribasso perché il bene comune non è il minor male comune.
Nel dibattito sulla riforma sanitaria, i vescovi americani sono intervenuti in molti modi, tra i quali tramite due lettere indirizzate al Congresso in cui si puntualizzavano le critiche al testo di legge, lo si confrontava con le precedenti disposizioni dell’amministrazione repubblicana e si facevano concrete proposte giuridiche ed amministrative al riguardo. L’impegno della Chiesa cattolica americana su questi temi è encomiabile e le statistiche dicono che ormai i fronti pro choice e pro life si equivalgono numericamente, fatto questo che ha forse indotto il presidente Obama a togliere nella riforma la parte riguardante il diritto alla vita.
Vorrei concludere con una riflessione su un aspetto di grande interesse e importanza a mio parere. Il paragrafo n. 51 dice che “la Chiesa ha una grande responsabilità per il creato”. Si tratta di una affermazione dalle molteplici fondamentali conseguenze che possiamo capire meglio ricordando quanto Benedetto XVI ha detto nel dicembre scorso in un memorabile discorso alla curia romana per gli auguri natalizi. “Poiché la fede nel creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza.
Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e come donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato … Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura”. Il tema della vita (e della famiglia) si colloca quindi nel punto stesso in cui la missione pubblica della Chiesa incontra la politica. La Chiesa non cederà mai su questo punto; i cattolici non cesseranno di impegnarsi in questo campo, la politica non riuscirà mai a liberarsi di questa spina nel fianco.
Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa
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