sabato 26 febbraio 2011

L'ALTRA OMELIA (68) - IL CIBO DELLA VITA VERA

Ottava Domenica del Tempo Ordinario
27 febbraio 2011
Di padre Angelo del Favero
25 febbraio 2011
Tratto da ZENIT.org
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupateviper la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neppure Salomone, con tutta la sua gloria vestiva, come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi, dunque, dicendo: 'Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?'. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,24-34).
Le preoccupazioni cui Gesù esorta oggi a non dar corda, non sono solamente quelle relative alle naturali esigenze del corpo, quali il cibo e il vestito. L’evangelista Giovanni, racconta che, trovandosi Gesù a mezzogiorno in Samaria presso il pozzo di Giacobbe, ai discepoli che lo esortavano a sfamarsi risponde: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete” (Gv 4,8). Continuando a ragionare in termini di calorie, i discepoli si chiedono: “Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”. Allora Gesù dice loro: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,31-34).
Con questa affermazione, il Signore indica anche a noi quale debba essere il nostro nutrimento profondo, capace di alimentare e saziare la vita di amore e di gioia.
Per Gesù, la sazietà del corpo è meno essenziale di quella dell’anima, il cui cibo specifico è uno solo: “fare la volontà” di Dio. Infatti, ogni atto di accettazione e di obbedienza al Padre, comunica all’anima quel “dono di Dio” (Gv 4,10) che Gesù rivela al cuore insaziabile della donna samaritana, trasformandola in una discepola finalmente sazia del vero amore e della vera gioia (Gv 4,28-29).
Nell’affermazione “Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato” sta anche la chiave di comprensione del Vangelo di oggi: “Guardate gli uccelli del cielo..il Padre vostro li nutre..osservate come crescono i gigli del campo..non preoccupatevi..Il Padre vostro sa che ne avete bisogno..tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,26.28.31.33).
Parole facilmente “smentibili”, se ci mettiamo dal punto di vista dei milioni di adulti e bambini che continuano a morire di fame, nudi e senza un tetto; o da quello delle innumerevoli vittime dei disastri naturali e delle tragedie causate dalla cattiveria umana. E non meno incomprensibile risulta la prima delle assicurazioni di Gesù: “non preoccupatevi per la vostra vita” (Mt 6,25a), se guardiamo anche a quei milioni di bambini uccisi nel grembo materno (cibo, vestito e dimora che Dio ha preparato per ogni uomo), la cui sorte non è migliore di quella dell’“erba del campo che oggi c’è e domani si getta nel forno” (Mt 6,30).
Che dire poi degli esseri umani concepiti nel vetro, manipolati e distrutti, la cui dignità elementare di persone viene così brutalmente disprezzata? Non valgono forse anch’essi infinitamente di più degli uccelli del cielo e dei gigli del campo?
Eppure anche a questi suoi piccolissimi figli Dio dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita”; e: “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
Queste divine parole sono equivalenti a quelle con cui il Signore risponde ai discepoli preoccupati per il suo nutrimento: “Mio cibo è fare la volontà di Dio e compiere la sua opera” (Gv 4,31-34).
Cercare “il regno di Dio e la sua giustizia”, significa sforzarsi di conoscere e di fare la volontà di Dio Padre, la sola cosa necessaria per capire la verità e realizzare la felicità di ogni uomo sulla terra. Al riguardo, si deve anzitutto ricordare che ognuno di noi uomini, comunque concepito, è persona sin dal primo istante di vita.
Ne parla l’Istruzione “Dignitas personae”: “Per il solo fatto di esistere, ogni essere umano deve essere pienamente rispettato. Si deve escludere l’introduzione di criteri di discriminazione, quanto alla dignità, in base allo sviluppo biologico, psichico, culturale o allo stato di salute. Nell’uomo, creato ad immagine di Dio, si riflette in ogni fase della sua esistenza, “il volto del suo Figlio Unigenito”..In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché “essa è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria” (Evangelium vitae, 34)”. (Dignitas personae, n. 8).
Quando perciò il concepito umano viene ucciso dopo solo poche ore di vita, davanti a Dio che lo ha creato egli non è vissuto inutilmente, né la sua brevissima vita risulta priva di senso e di realizzazione. Morendo così, senza consapevolezza di sé, il concepito ha trovato subito“il regno di Dio e la sua giustizia”, senza dover intraprendere quella ricerca che gli sarebbe stata necessaria in vita, da adulto cosciente.
Lo fa intendere il beato Giovanni Paolo II con queste parole: “La vita che Dio dona all’uomo è ben più di un esistere nel tempo. E’ tensione verso una pienezza di vita; è germe di un’esistenza che va oltre i limiti stessi del tempo: “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo fece a immagine della propria natura” (Sap 2,23)”. (Enciclica Evangelium vitae, 34).
“Dio creò l’uomo a sua immagine” (Gen 1,27): lo crea tale fin dal primo istante di vita creando la sua anima nel corpo, comunque concepito; lo crea persona ontologicamente rivolta a Lui, che è l’Amore sussistente in Tre Persone.
Perciò, chiunque non si precluda volontariamente il raggiungimento di questo fine creaturale, anche se non potesse esercitare il dono della libertà per conseguirlo (come il concepito ucciso, nel grembo o fuori del grembo), ugualmente ottiene la pienezza della vita (“il Regno di Dio e della sua giustizia”): la raggiunge per l’intrinseca, essenziale tensione divina della persona umana e per mezzo di Cristo concepito e risorto, nel Quale tutti “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28), sin dal nostro concepimento.
Così, ogni figlio dell’uomo al quale non è dato vedere la luce di questo mondo, approda subito nella Vita di Dio, realizzando ugualmente il fine della propria breve esistenza. Si compie allora anche per lui quella volontà del Padre che ha creato l’uomo per un destino di eterna e beata comunione con Sé.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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