martedì 26 gennaio 2010

ELEZIONI REGIONALI 2010 (3) - IL TERREMOTO VENDOLA TRAVOLGE IL LABORATORIO PUGLIESE

Dopo mesi di discussione,
le primarie hanno sancito
il successo di Vendola e la sconfitta
delle logiche della “cattiva politica”:
l’asse imperfetta Pd-Udc
e lo schiaffo al disegno di D’Alema
25 Gennaio 2010
Tratto dal Sito Internet
www.lecceprima.it
Un autentico terremoto politico. Oltre 192mila persone in fila, a sfidare il freddo, per partecipare alla festa della democrazia del centrosinistra pugliese, per apporre di proprio pugno il nome del candidato gradito, senza lasciarselo calare dall’alto, nei calcoli incomprensibili dei palazzi romani, così lontani dalla realtà. La vittoria di Vendola alle primarie del centrosinistra con quei numeri e quell’affermazione di “popolo” è un vero scossone che si concretizza nella Regione del “laboratorio”. Uno schiaffo ad un certo sistema di caste e califfati e ad un modo un po’ autoreferenziale di interpretare la politica, così come spesso intesa dai partiti.
La Puglia, quella buona fetta di centrosinistra almeno, ha mandato un segnale forte al Partito Democratico e ad una gestione (ora si può dire) assolutamente imbarazzante quanto insensata di un “inguacchio” politico (come definito da Curzio Maltese), di un pastrocchio pasticciato, apparso in alcuni momenti traboccante di arroganza in quella pretesa antica e mai forse davvero superata di imporre un candidato designato sui tavoli di pochi illustri attori: nell’asse D’Alema-Casini era previsto un progetto non molto chiaro, un’alleanza meridionalista, a quattro, cinque (forse anche sei) teste come un mostro scarabocchiato nelle menti di pochi, ma mai spiegato nella sua concretezza.
In quell’idea, dovevano starci tutti: Pd, Udc, Idv, persino la Poli Bortone (con l’inclusione di Vendola, ma solo con un ruolo strettamente marginale), in un mix esplosivo, ma di cui sfuggiva il collante: poi l’ex sindaca di Lecce ha iniziato a smarcarsi, flirtando col Pdl nell’eventualità di una candidatura dal sapore di riscossa (cassata ad un passo dal traguardo), Vendola è diventato un problema, così come l’Idv ha pensato bene di fare le bizze. Del pastrocchio, insomma, non rimaneva che l’ombra nei pensieri del leader Maximo e del brizzolato Casini, che, peraltro, giusto per non farsi mancare un po’ di sana “coerenza” e “serietà”, trattava contemporaneamente col ministro Raffaele Fitto. Nel capolavoro dalemiano, oltre a non allargare, si è prospettata persino la frantumazione del centrosinistra pugliese.
In una logica apparsa fin da subito più affaristica che di laboratorio politico, ruotante attorno al progetto della privatizzazione dell’acquedotto pugliese, l’unico impedimento al disegno, forse restava proprio lo stesso Nikita, il rosso fastidioso che nel 2010 si permette ancora di pensare che possa esistere qualcosa di pubblico. Qualche giorno fa, lo stesso Beppe Grillo, sia dal suo blog che ad Annozero, affermava come il Pd avesse venduto all’Udc Vendola per accordarsi sull’acquedotto e sull’esproprio dell’acqua pubblica. In molti, evidentemente hanno creduto a questo timore e hanno bocciato la proposta del Pd.
Ha vinto Vendola, solo “con(tro) tutti”, come recita il suo slogan, simbolo di un’anomalia invisa ad una politica, che intende la normalità come un’imposizione verticistica, che intende sovvertire il sentire comune in nome delle logiche di potere: il dato delle urne è chiaro e dovrebbe far riflettere un partito, che ha avviato una fase congressuale quasi tre mesi fa, disattendendo di fatto nel suo comportamento molte delle decisioni distintive e conclusive di quel percorso (la scelta coraggiosa di Carlo Salvemini in tal senso docet). Ha vinto, sapendo portare con un freddo glaciale quasi 200mila persone al voto, battendo l’intero vertice nazionale del Pd. Vale qualcosa, questo? Ha vinto, nonostante una tempesta giudiziaria senza precedenti da cui il governatore sembra uscire sia illibato che rafforzato. E il suo consenso la dice lunga anche su quanto sembri scarsamente incisiva l’opposizione di questi 5 anni, che pare non averlo assolutamente scalfito.
Ha perso D’Alema ed è impossibile nasconderlo: la “volpe” del Pd ha giocato tutto in questa campagna politica, finendo con le spalle al muro, inghiottito ancora una volta da scelte incomprensibili ai più. “D’Alema dì qualcosa di sinistra” gli ripeteva Nanni Moretti in una scena di Aprile: in questi mesi, molti simpatizzanti del centrosinistra avranno ripetuto come una giaculatoria quell’espressione, pensando che l’ex premier fosse più bravo in politica estera che in quella interna e che, di solito, il suo giudizio negativo su qualcuno potesse considerarsi proprio il miglior riconoscimento possibile. E poi è parsa assurda l’idea di premere per un accordo con l’Udc, nato senza conoscere bene se realmente ci fossero dei programmi condivisi su tematiche ambientali, ad esempio, dove pure qualche differenziazione sarebbe facilmente riscontrabile. Non solo: ci si domanda perché ad un partito, ultimo arrivato in una coalizione, col dubbio di volerne peraltro farne parte, possa mettere veti su persone o partiti. Una serie di mosse e di cessioni, dunque, allo scudo crociato allarmanti, che, da un lato, hanno mandato quasi in frantumi l’esperienza della primavera pugliese e che, dall’altro, hanno confermato il sospetto ormai noto: che per contare qualcosa nel Pd, conviene prendere la tessera dell’Udc.
Gli strateghi del Pd, d’altro canto, hanno sottovalutato il fenomeno Vendola, che ha certamente una forza mediatica interessante (fermo restando che lo stesso governatore ha commesso i suoi errori, ma in genere ci ha sempre messo la faccia), proponendo volontà supreme a cui il popolo ha preferito non inchinarsi, rispedendo al mittente anche certi calcoli, fatti col pallottoliere privato. “Un senso a questa storia” è arrivato proprio nella negazione del laboratorio così come inteso dai vertici di partito e la discontinuità richiesta si è resa manifesta nella volontà popolare di interrompere i criteri della cattiva politica solitaria e burosaurica, che pensa di poter scegliere senza far partecipare. Quella stessa che gigioneggia sulle note tristi di Franco Califano, in un deserto di anime, pensando che quella sia la chiave per risvegliare la passione politica.
Vendola, i simpatizzanti pugliesi del centrosinistra, la base del Pd, hanno impartito davvero una lezione su questo punto alla cattiva politica. Ora finalmente si potrà discutere della “Puglia migliore” da difendere o eventualmente da interrompere nel confronto interessante tra due modi diversi di intendere l’amministrazione, di cui gli interpreti saranno, appunto, Nichi Vendola e il suo fresco sfidante, Rocco Palese. Tutto il resto è noia…
Mauro Bortone

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