martedì 22 settembre 2009

SPECIALE ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE" - L'ENCICLICA E IL MONDO DEL LAVORO - II (52.ESIMA PARTE)

L'Arcivescovo Crepaldi
presenta l’enciclica
al Comitato esecutivo
della CISL ROMA

10 settembre 2009
Tratto da ZENIT.org

3. Cosa c’entra tutto questo con il primato dal ricevere sul fare? Quanto viene da Dio lo si può solo ricevere, ed oscurato Dio, l’uomo si illude di poter fare tutto con le sole sue forze. Comincia così il disastro del fare senza che prima ci sia il ricevere. Dio è la fonte ultima della gratuità e del dono, è la Verità e la Carità, che possono solo essere ricevute e non possono venire prodotte. Oscurato Dio, si indeboliscono la luce della verità e la spinta della carità e tutta la vita sociale si impoverisce. La Caritas in veritate ci dice che abbiamo bisogno di verità e carità, abbiamo bisogno di quanto non possiamo produrre e che ci rimane indisponibile. Questo è evidente anche esaminando la nostra normale esistenza umana senza infingimenti. Quello che non possiamo produrre è la cosa più produttiva, quella più indispensabile. Scriveva un economista: «In realtà, nella moderna economia c’è molto più sacrificio, fiducia, cooperazione e coordinamento che non self-interest, che apparentemente è considerato guidare l’attività economica nella forma normale di mercato. La moderna economia funziona perché centinaia di migliaia di perfetti estranei possono fidarsi. Essi sono sufficientemente responsabili e affidabili per far volare in sicurezza gli aeroplani, perché i cibi venduti nei negozi corrispondano alle descrizioni delle etichette, per mantenere le promesse e così via»3. Abbiamo sentito ripetere fino alla nausea, in occasione della recente crisi finanziaria, che si trattava di una crisi di fiducia. Ma abbiamo inteso fino in fondo il significato di questa espressione? La Caritas in veritate la chiama necessità che il senso ci sia donato e che non lo produciamo noi. Io mi fido di un altro quando vedo che nel nostro incontro c’è qualcosa che ambedue presupponiamo, qualcosa che precede e fonda il nostro rapporto e che è ad esso irriducibile. Lo scopo della finanza non è la finanza, lo scopo del mercato non è il mercato, lo scopo del lavoro non è il lavoro, questo ci viene a dire la Caritas in veritate.
Ma questo riconoscimento è il presupposto indispensabile perché la finanzia, il mercato e il lavoro siano veramente se stessi e non cadano completamente nella disponibilità degli interessi. Senza una luce ricevuta non ce la fanno.
4.
Un aspetto della precedenza del ricevere sul fare è di particolare interesse per chi si occupa di lavoratori e di lavoro. Mi riferisco alla questione se venga prima la giustizia o la carità. La giustizia è un fatto naturale, umano, razionale. Della giustizia si occupa la ragion pratica, non c’è bisogno di rivelazione. La carità, invece, non appartiene alla natura ma alla sopranatura. Chi si occupa del mondo del lavoro è molto interessato alla giustizia e tende a pensare che prima debba essere raggiunta la giustizia e poi, eventualmente, si debba anche vivere la carità. Ma se andiamo in profondità vediamo che così non è: senza la carità non è possibile nemmeno la giustizia: “Per vedere i poveri bisogna volerli vedere” - don Mazzolari. Ecco perché la giustizia ha bisogno anche della gratuità e del dono (n. 34), ha bisogno del ricevere prima del fare. Non che la carità sostituisca la giustizia o che la renda superflua: essa la fa essere più giustizia, la illumina con qualcosa che riceviamo e non produciamo. Pensiamo alla giustizia commutativa: è sì una forma di giustizia ma quanto cieca e limitata! Pensiamo alla giustizia sociale: possiamo considerarla veramente tale quella attuata per via politica? Senza un supplemento d’anima la giustizia diventa una “fredda giustizia”. Questo voleva dire Benedetto XI quando nella Deus caritas est affermava che anche uno Stato perfettamente funzionante avrebbe comunque avuto bisogno della carità: non per gli emarginati residuali, ma per funzionare perfettamente. “I poveri li avrete sempre con voi” non vuol dire che dei vinti ai margini del percorso ci saranno sempre - questo è fin troppo evidente - ma significa che senza l’attenzione alla povertà frutto della carità non c’è giustizia. L’attenzione caritatevole ai poveri deve esserci sempre anche prima e dentro la giustizia.
5. Questa logica viene espressa dalla Caritas in veritate con grande insistenza quando essa mostra la necessità del dono e della gratuità dentro, e non solo dopo, la vita economica (n. 36). Pensare che la carità venga dopo la giustizia comporta che la giustizia possa essere fatta anche da delle strutture, senza la responsabilità della persona, il che è stato il grande errore del liberismo economico e dello Stato assistenziale nel periodo della sua decadenza. Pensare, invece, che la carità sia necessaria per la giustizia, vuol dire collocare il gratuito e il dono dentro la normale attività economico produttiva, come elemento di giustizia ed equità ex ante anziché ex post. Vocazione e attesa: la Caritas in veritate fa questa proposta derivandola dal Vangelo, che ci parla della signoria della carità, ma ritiene che sia anche una necessità della società di oggi. Infatti, osserva l’enciclica, non è più possibile che lo Stato faccia da unico ridistributore della ricchezza dato che la ricchezza oggi prodotta in un certo spazio prende la strada di infiniti altri spazi (nn. 24 e 38). L’economia non è più a base spaziale, mentre la politica lo è ancora. Osservazione questa che, come dirò tra breve, riguarda anche il sindacato. Quindi il primato della carità (del ricevere, dato che essa non può essere prodotta) enunciato dal Vangelo trova una conferma in una necessità, o attesa, della stessa economia di oggi.
NOTE

1) Ho approfondito quelle riflessioni in G. Crepaldi, Introduzione a Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, Cantagalli, Siena 2009, pp. 5-44.
2) Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno nazionale della Chiesa italiana, Verona 19 ottobre 2006.
3) E. Hadas, L’economia, la finanza e il bene: una crisi concettuale, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” V (2009) 2, p. 53.
(2-Continua)

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