presenta l’enciclica
al Comitato esecutivo
della CISLROMA
10 settembre 2009
Tratto da ZENIT.org
Ecco l'intervento pronunciato il 9 settembre da mons. Gianpaolo Crepaldi, Arcivescovo-Vescovo di Trieste e Presidente dell’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân”, in occasione della presentazione dell’enciclica “Caritas in veritate” al Comitato esecutivo della CISL
1. Come tutte le encicliche sociali anche nella Caritas in veritate si possono riscontrare due livelli. Un primo livello, decisamente il più importante, riguarda l’ottica sintetica assunta dall’enciclica e quindi la prospettiva di ampia portata che essa indica. Questo livello non sarà superato dai tempi, perché non tratta di nessuna problematica specifica particolare, ma legge la storia umana alla luce del Vangelo ed esprime una sapienza cristiana. Un secondo livello è dato poi dalle singole tematiche specifiche esaminate dall’enciclica le quali, pur essendo in molti casi di ampia portata e non certo legate alla cronaca, risentono delle caratteristiche di questo nostro tempo. Ciò non vuol dire che in futuro queste parti dell’enciclica saranno automaticamente superate, perché come sappiamo la “storia degli effetti” arricchisce il senso di quanto pronunciato oggi e, paradossalmente, molte cose affermate oggi possono sprigionare meglio la loro verità domani. In ogni caso è bene sempre tenere distinti, ma non separati, i due livelli per una corretta ermeneutica dei documenti del magistero sociale.
Il mio intento, in questa presentazione dell’enciclica, è in relazione alla distinzione ora fatta: dapprima cercherò di mettere a fuoco la prospettiva sintetica e di fondo indicata dall’enciclica; poi esaminerò un settore particolare - quello del mondo del lavoro, naturalmente, dato il luogo in cui mi trovo - per vedere come risulti illuminato dalla prospettiva di fondo precedentemente evidenziata.
2. Presentando l’enciclica nella Sala Stampa della Santa Sede il 7 luglio scorso, ho utilizzato una espressione scritta da Joseph Ratzinger nell’ormai lontano 1967, in una tra le sue opere più importanti - “Introduzione al Cristianesimo” - per esprimere la prospettiva generale dell’enciclica, il nocciolo di quanto essa vuole dirci: “Il ricevere precede il fare” 1. In cosa può ultimamente consistere il messaggio di una enciclica sociale se non di riannunciare di nuovo e sempre il primato di Dio nella costruzione della società? Questo ha fatto la Rerum novarum, per la quale “non c’è soluzione della questione sociale fuori del Vangelo”; questo ha fatto anche la Caritas in veritate affermando che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo” (n. 8). Nessuna sorpresa, quindi, da questo punto di vista. La sorpresa semmai deriva ad un altro aspetto della questione: l’annuncio del primato di Dio viene fatto con la pretesa che esso sia una vocazione che corrisponde ad una attesa. L’intento del magistero di Benedetto XVI - non diverso da quello della Tradizione, ma certamente molto incentrato su questo punto - è non solo, come ovvio, annunciare Cristo, ma sostenere che l’ambito delle cose ordinate dalla ragione attende questo annuncio, ne è capace, sicché accogliendolo riscopre meglio le sue stesse possibilità, si conferma nella propria verità. Questo è il punto centrale della Caritas in veritate: siccome il cristianesimo è la religione “dal volto umano” e il Dio cristiano dice un grande “sì” all’uomo. 2. Tutto l’ambito umano, compreso il lavoro, ne viene illuminato, invitato a prendere coscienza della propria verità, sostenuto e incoraggiato ad essere maggiormente se stesso, purificato dalle ideologie e dagli interessi di parte. Cristo, ci dice la Caritas in veritate, non è venuto a dirci come dobbiamo lavorare, è venuto a illuminare il lavoro; non è venuto a dirci come dobbiamo essere imprenditori, è venuto ad illuminare la realtà dell’economia. Senza negarle o sovrapporvisi dall’esterno, ma svelandone più in profondità il senso autonomo, la pienezza della loro vocazione. In questo consiste la “laicità” della religione cristiana. Sembrerebbe una contraddizione: da un lato si afferma il primato di Dio e dall’altro ci si dice rispettosi della laicità, ossia del’autonomia metodologica dei diversi livelli della realtà. Ebbene, la Caritas in veritate viene a dirci che non c’è contraddizione. Cristo non toglie niente di quanto è umano, lo fa meglio emergere dall’interno in tutta la sua umanità. Un mondo del lavoro che fosse organizzato secondo questa luce non sarebbe meno tale, la realtà del lavoro non verrebbe negata o sminuita, ma valorizzata.
1. Come tutte le encicliche sociali anche nella Caritas in veritate si possono riscontrare due livelli. Un primo livello, decisamente il più importante, riguarda l’ottica sintetica assunta dall’enciclica e quindi la prospettiva di ampia portata che essa indica. Questo livello non sarà superato dai tempi, perché non tratta di nessuna problematica specifica particolare, ma legge la storia umana alla luce del Vangelo ed esprime una sapienza cristiana. Un secondo livello è dato poi dalle singole tematiche specifiche esaminate dall’enciclica le quali, pur essendo in molti casi di ampia portata e non certo legate alla cronaca, risentono delle caratteristiche di questo nostro tempo. Ciò non vuol dire che in futuro queste parti dell’enciclica saranno automaticamente superate, perché come sappiamo la “storia degli effetti” arricchisce il senso di quanto pronunciato oggi e, paradossalmente, molte cose affermate oggi possono sprigionare meglio la loro verità domani. In ogni caso è bene sempre tenere distinti, ma non separati, i due livelli per una corretta ermeneutica dei documenti del magistero sociale.
Il mio intento, in questa presentazione dell’enciclica, è in relazione alla distinzione ora fatta: dapprima cercherò di mettere a fuoco la prospettiva sintetica e di fondo indicata dall’enciclica; poi esaminerò un settore particolare - quello del mondo del lavoro, naturalmente, dato il luogo in cui mi trovo - per vedere come risulti illuminato dalla prospettiva di fondo precedentemente evidenziata.
2. Presentando l’enciclica nella Sala Stampa della Santa Sede il 7 luglio scorso, ho utilizzato una espressione scritta da Joseph Ratzinger nell’ormai lontano 1967, in una tra le sue opere più importanti - “Introduzione al Cristianesimo” - per esprimere la prospettiva generale dell’enciclica, il nocciolo di quanto essa vuole dirci: “Il ricevere precede il fare” 1. In cosa può ultimamente consistere il messaggio di una enciclica sociale se non di riannunciare di nuovo e sempre il primato di Dio nella costruzione della società? Questo ha fatto la Rerum novarum, per la quale “non c’è soluzione della questione sociale fuori del Vangelo”; questo ha fatto anche la Caritas in veritate affermando che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo” (n. 8). Nessuna sorpresa, quindi, da questo punto di vista. La sorpresa semmai deriva ad un altro aspetto della questione: l’annuncio del primato di Dio viene fatto con la pretesa che esso sia una vocazione che corrisponde ad una attesa. L’intento del magistero di Benedetto XVI - non diverso da quello della Tradizione, ma certamente molto incentrato su questo punto - è non solo, come ovvio, annunciare Cristo, ma sostenere che l’ambito delle cose ordinate dalla ragione attende questo annuncio, ne è capace, sicché accogliendolo riscopre meglio le sue stesse possibilità, si conferma nella propria verità. Questo è il punto centrale della Caritas in veritate: siccome il cristianesimo è la religione “dal volto umano” e il Dio cristiano dice un grande “sì” all’uomo. 2. Tutto l’ambito umano, compreso il lavoro, ne viene illuminato, invitato a prendere coscienza della propria verità, sostenuto e incoraggiato ad essere maggiormente se stesso, purificato dalle ideologie e dagli interessi di parte. Cristo, ci dice la Caritas in veritate, non è venuto a dirci come dobbiamo lavorare, è venuto a illuminare il lavoro; non è venuto a dirci come dobbiamo essere imprenditori, è venuto ad illuminare la realtà dell’economia. Senza negarle o sovrapporvisi dall’esterno, ma svelandone più in profondità il senso autonomo, la pienezza della loro vocazione. In questo consiste la “laicità” della religione cristiana. Sembrerebbe una contraddizione: da un lato si afferma il primato di Dio e dall’altro ci si dice rispettosi della laicità, ossia del’autonomia metodologica dei diversi livelli della realtà. Ebbene, la Caritas in veritate viene a dirci che non c’è contraddizione. Cristo non toglie niente di quanto è umano, lo fa meglio emergere dall’interno in tutta la sua umanità. Un mondo del lavoro che fosse organizzato secondo questa luce non sarebbe meno tale, la realtà del lavoro non verrebbe negata o sminuita, ma valorizzata.
(1-Continua)
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