19 Luglio 2009
Tratto dal Sito Internet
www.antoniodipietro.it
Il 19 luglio di diciassette anni fa veniva ammazzato, insieme alla sua scorta, il magistrato Paolo Borsellino. Oggi leggo sulle agenzie che Palermo lo ha dimenticato, complice una giornata di sole, il mare, la voglia d’estate. Non è vero. A farlo dimenticare sono stati diciassette anni di commemorazioni dell’ultimo momento anzi, del giorno stesso. In Italia dovremmo insegnare ai nostri figli la cultura dello Stato fin dall’infanzia. I bambini dovrebbero crescere con gli eroi della nostra storia, le edicole dovrebbero sostituire i pokemon con le miniature di Impastato, Falcone, Borsellino, Mattarella, Scopelliti. Mancano senso civico e senso delle istituzioni. Manca la cultura della storia del Paese e delle persone che l’hanno scritta con dedizione e rettitudine, fino all’estremo sacrificio: quello della loro vita. Gli italiani festeggiano il 2 giugno, il 25 aprile, senza sapere nemmeno cosa stanno celebrando e di questa scarsa sensibilità lo Stato e le istituzioni ne sono responsabili.
Siamo nell’era dell’effimero, dell’indifferenza. Scene, che io definirei amarcord della nostra democrazia, come quelle della folla indignata ed in lacrime che caccia in malo modo i politici che partecipavano ai funerali di Borsellino, rei di non averlo protetto abbastanza, non le rivedremo mai più. Scene di un Paese che c’era, viveva e partecipava, che aveva un limite oltre cui non potevi andare: oggi quel limite dov’è? Mangano è un eroe, Craxi uno statista a cui dedicare vie, piazze e viali, il ministro Alfano definisce Borsellino “un eroe” senza provare alcuna vergogna, e senza nessuno che gli chiuda la bocca rispondendogli che Borsellino, le sue porcate come il Lodo Alfano ed il bavaglio alle intercettazioni, non le avrebbe mai approvate. Nel frattempo Totò Riina manda messaggi dal carcere ai veri responsabili delle stragi del ‘92 e ‘93, e li invia perché sa che quei mandanti possono ancora essere ricattabili e al tempo stesso possono aiutarlo, perché sono ancora ai vertici, magari al governo. Sarei pronto a scommettere sui loro nomi, ma sarò paziente, attenderò fiducioso il lavoro della magistratura. Concludo solo rispondendo alle affermazioni di Riina: i tuoi consigli non ci servono, la verità ce l’aveva già detta Paolo prima di morire: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.”
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Il 19 luglio di diciassette anni fa veniva ammazzato, insieme alla sua scorta, il magistrato Paolo Borsellino. Oggi leggo sulle agenzie che Palermo lo ha dimenticato, complice una giornata di sole, il mare, la voglia d’estate. Non è vero. A farlo dimenticare sono stati diciassette anni di commemorazioni dell’ultimo momento anzi, del giorno stesso. In Italia dovremmo insegnare ai nostri figli la cultura dello Stato fin dall’infanzia. I bambini dovrebbero crescere con gli eroi della nostra storia, le edicole dovrebbero sostituire i pokemon con le miniature di Impastato, Falcone, Borsellino, Mattarella, Scopelliti. Mancano senso civico e senso delle istituzioni. Manca la cultura della storia del Paese e delle persone che l’hanno scritta con dedizione e rettitudine, fino all’estremo sacrificio: quello della loro vita. Gli italiani festeggiano il 2 giugno, il 25 aprile, senza sapere nemmeno cosa stanno celebrando e di questa scarsa sensibilità lo Stato e le istituzioni ne sono responsabili.
Siamo nell’era dell’effimero, dell’indifferenza. Scene, che io definirei amarcord della nostra democrazia, come quelle della folla indignata ed in lacrime che caccia in malo modo i politici che partecipavano ai funerali di Borsellino, rei di non averlo protetto abbastanza, non le rivedremo mai più. Scene di un Paese che c’era, viveva e partecipava, che aveva un limite oltre cui non potevi andare: oggi quel limite dov’è? Mangano è un eroe, Craxi uno statista a cui dedicare vie, piazze e viali, il ministro Alfano definisce Borsellino “un eroe” senza provare alcuna vergogna, e senza nessuno che gli chiuda la bocca rispondendogli che Borsellino, le sue porcate come il Lodo Alfano ed il bavaglio alle intercettazioni, non le avrebbe mai approvate. Nel frattempo Totò Riina manda messaggi dal carcere ai veri responsabili delle stragi del ‘92 e ‘93, e li invia perché sa che quei mandanti possono ancora essere ricattabili e al tempo stesso possono aiutarlo, perché sono ancora ai vertici, magari al governo. Sarei pronto a scommettere sui loro nomi, ma sarò paziente, attenderò fiducioso il lavoro della magistratura. Concludo solo rispondendo alle affermazioni di Riina: i tuoi consigli non ci servono, la verità ce l’aveva già detta Paolo prima di morire: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.”
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