domenica 3 ottobre 2010

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (96) - L'ORIGINALITA' DEL PAPA: DONO E GRATUITA' ANCHE NEL MERCATO E NELLA POLITICA

L’economista Jean-Yves Naudet
analizza l’enciclica “Caritas in veritate”
Di Giovanni Patriarca

25 marzo 2010
Tratto da ZENIT.org
“L’elemento originale di Benedetto XVI... è che il dono e la gratuità non si devono limitare alla società civile, ma devono svilupparsi anche nell’ambito commerciale e in quello politico”, afferma Jean-Yves Naudet in questa intervista rilasciata a ZENIT sull’enciclica “Caritas in veritate”.
Jean-Yves Naudet è docente di economia all’Università Paul Cézanne (Aix-Marsiglia III), presidente dell’Associazione degli economisti cattolici di Francia e vicepresidente dell’Associazione internazionale per l’insegnamento sociale cristiano.
Anche prima della sua pubblicazione, l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI aveva suscitato commenti ambigui e interpretazioni fantasiose. Quali sono, a suo avviso, i punti fondamentali sviluppati in fedele sintonia con la tradizione della dottrina sociale della Chiesa?
Jean-Yves Naudet: Effettivamente sono state scritte molte cose false prima della pubblicazione dell’enciclica. Alcune annunciavano un nuovo manifesto simile a quello di Marx!
Tutto ciò è ridicolo e Benedetto XVI si colloca esplicitamente nel solco tracciato da tutti i suoi predecessori in materia di dottrina sociale: da Leone XIII a Giovanni Paolo II.
Nell’enciclica si trovano tutti i grandi principi dottrinali, dalla dignità della persona umana al rispetto della vita, passando per la sussidiarietà e la solidarietà.
Ma come i suoi predecessori, Benedetto XVI si interessa anche di “cose nuove” come la globalizzazione, la crisi finanziaria, l’ambiente, lo sviluppo...
La cosa più innovativa è l’idea che la questione sociale si sia trasformata in una questione “radicalmente antropologica”, ovvero che riguarda l’uomo nella sua totalità. Questo è lo sviluppo integrale.
Da oggi, fanno parte della dottrina sociale della Chiesa, sia le questioni economiche e sociali, sia quelle dell’ambiente, la famiglia, il rispetto della vita etc.; ormai non è più possibile “dividere” l’insegnamento della Chiesa per respingerne una parte: se si vuole essere fedeli alla dottrina sociale della Chiesa bisogna difendere allo stesso tempo la dignità dell’uomo nell’economia e la vita umana. Tutto ciò è diventato unico e inseparabile.
Era già così nei suoi predecessori, ma ora si trova tutto unificato nella dottrina sociale della Chiesa. La difesa della vita e il rifiuto della strumentalizzazione dell’embrione, ne formano anch’essi parte, al pari della promozione dello sviluppo delle popolazioni.
Nel messaggio del Papa, la globalizzazione è presentata senza dubbio con le sue forze e le sue debolezze, ma la questione centrale riguarda la morale e l’etica in relazione all’economia. Come potrebbe essere definita l’idea di mercato secondo Benedetto XVI?
Jean-Yves Naudet: Sì, questa enciclica è anche una grande lezione di etica economica e il Papa ripercorre i grandi temi economici (mercato, imprese produttive, eccetera) per mostrarli ponendo l’etica nel cuore dell’economica.
Per quanto riguarda il mercato, Benedetto XVI ne spiega – come Giovanni Paolo II – l’utilità e la ragione d’essere, che è quella di consentire alle persone di potersi scambiare beni e servizi.
Ma spiega anche che il mercato ha bisogno della giustizia commutativa, tema presente già con Tommaso d’Aquino (prezzo giusto, salario giusto, uguaglianza nell’interscambio), e anche della giustizia distributiva, perché senza di questa non può prodursi la coesione sociale.
È necessario quindi un mercato che abbia forme interne di solidarietà, per creare una fiducia reciproca. Questo è ciò che è mancato nella crisi attuale.
Ma dietro il mercato ci sono le persone e sono quelle che possono avere un comportamento morale o immorale. Per questo il Papa dice “non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale (n. 36).
In un’immagine molto cara al Papa, il mercato, lo Stato e la società civile formano un insieme di tipo osmotico in cui la persona libera e responsabile può esprimersi in termini di sviluppo integrale. In che modo una persona può impegnarsi per realizzare il bene comune secondo l’insegnamento sociale della Chiesa?
Jean-Yves Naudet: La questione del rapporto tra mercato, Stato e società civile è fondamentale. Il mercato si basa sul contratto, lo Stato sulle leggi giuste e la società civile sul dono e la gratuità.
La società civile è essenziale per non rinchiudere l’uomo tra il mercato e lo Stato. La società civile sono i corpi intermedi o “la personalità della società”, come diceva Giovanni Paolo II.
Ma al di là dell’elogio della società civile, ciò che è più originale in Benedetto XVI è che egli unisce quei tre ordini nell’unico obiettivo del bene comune.
In altri termini, l’elemento del dono e della gratuità non si devono limitare alla società civile, ma devono svilupparsi anche nell’ambito del mercato e in quello politico. Occorre introdurre anche lì gli spazi della gratuità e del dono, fino al dono di se stessi.
Questo avrà un’influenza sull’intero mondo commerciale e su tutta la politica, per promuovere meglio il bene comune. Introdurre in questi due mondi la gratuità significa introdurre il sale che dà sapore all’insieme.
Una persona può impegnarsi in molti modi nella società civile, commerciale o politica, ma solo il dono e la gratuità danno un vero senso a questo impegno, perché collocano al centro l’amore alla verità, che è il filo conduttore dell’enciclica.
C’è anche una critica radicale all’ideologia tecnocratica e una nuova visione dell’importanza dell’iniziativa imprenditoriale come impegno personale al servizio della comunità. Ci potrebbe sviluppare questo aspetto così particolare e importante?
Jean-Yves Naudet: L’aspetto relativo all’ideologia tecnocratica è essenziale perché il nostro mondo crede che tutto sia lecito nella misura in cui sia efficace, che funzioni. Ma questo è il contrario dell’etica: significa credere che il fine giustifica i mezzi.
In questo senso, gli embrioni vengono utilizzati come semplice materiale strumentale. Questo è puro utilitarismo, mentre solo l’etica consente di prendere decisioni giuste. L’uso della tecnica in se stessa deve essere sottoposto all’etica.
Riguardo l’iniziativa imprenditoriale, Benedetto XVI ne parla in primo luogo dal punto di vista dell’imprenditore, mostrando che senza l’etica l’impresa è condannata, soprattutto quando è ossessionata dal breve termine: tutto, tutto e subito, a qualunque costo. Questa è la causa della crisi attuale.
E rende omaggio agli imprenditori che hanno “analisi lungimiranti”. Ma ciò che è più originale è l’idea che ognuno di noi, ogni lavoratore, è un creatore, e non solo l’imprenditore in senso stretto.
In questo senso, ognuno deve essere trattato, nell’impresa, come se lavorasse per conto proprio, con il senso di responsabilità e di autonomia necessari: questione di dignità, ma anche di efficacia.
Rispettando le persone, queste daranno il meglio di se stesse. Ciascuno deve quindi essere trattato, nell’impresa, come se fosse un vero imprenditore, ovvero, un creatore al servizio degli altri.
In un articolo pubblicato sull'edizione francese de “L’Osservatore Romano”, lei afferma che l’enciclica “apre formidabili piste di riflessione” e un “vero programma di ricerca”. Verso quali prospettive e direzioni sono chiamati a guardare i cattolici e le persone di buona volontà?
Jean-Yves Naudet: Ogni nuova lettura dell’enciclica apre nuove piste. Ciascuno deve trovare le ragioni per modificare la sua vita in un cammino di conversione, anche nel suo comportamento economico.
Ma per i ricercatori, gli universitari, si apre un campo notevole per trovare le applicazioni concrete delle idee del Papa.
In questo senso, la nozione del dono e della gratuità nel mondo del mercato e in quello della politica deve far riflettere, al di là dei comportamenti individuali, alle nuove forme istituzionali.
Allo stesso modo, quando si affronta il tema, oggi molto di moda, della responsabilità sociale dell’impresa, dell’etica negli affari, egli mostra che queste concezioni abusano dell’aggettivo etico e che l’etica, trasformata in strumento di marketing, potrebbe condurre alla sua antitesi.
Egli ricorda che la vera etica si basa sulla “inviolabile dignità della persona umana” e sul “trascendente valore delle norme morali naturali” (n. 45). In questo modo occorre modificare tutte le nostre concezioni di gestione dell’impresa e ricondurre sulla retta via la moda dell’etica negli affari.
Lo stesso vale per il profitto, che “è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo” (n. 21). Tornare al senso del profitto, a saper discernere il buon profitto – conforme alla morale – dal profitto immorale, anche questo apre una nuova direzione da esplorare.
Ma ciascuno potrà trovare in questa enciclica le questioni che lo riguardano direttamente e in grado di portarlo a modificare la propria vita.
La dottrina sociale, con Benedetto XVI, si fa – come già aveva sottolineato Giovanni Paolo II – cammino di conversione e cammino di evangelizzazione.

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