domenica 3 ottobre 2010

L'ALTRA OMELIA (47) - IL GELSO, LA FEDE E LA VITA

XXVII Domenica del Tempo Ordinario
3 ottobre 2010
Di padre Angelo del Favero
1° ottobre 2010
Tratto da ZENIT.org
Gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finchè avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,5-10).
Fino a quando Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: “Violenza!” e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Non ha più forza la legge né mai si afferma il diritto. Il malvagio infatti raggira il giusto e il diritto ne esce stravolto. (Ab 1,2-3; 2,2-4).

L’affermazione odierna di Gesù: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, se posso dir così, non deve spaventare nessun gelso.
L’atto di fede, infatti, è sì un atto ragionevole nelle sue premesse (“Dio può tutto, Dio opera miracoli, Gesù ha detto che qualunque cosa chiediamo nel suo nome la otteniamo”), ma non è un sillogismo, una deduzione logica e rigorosa tipo: “poichè sto chiedendo con fede una cosa buona, sono certo che Dio me la concederà”.
Inoltre non dobbiamo mai dimenticare di accostare all’affermazione di Gesù la precisazione di Paolo: “se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla” (1Cor 13,2b).
Con l’iperbole del gelso che si trapianta in mare, Gesù vuole portarci oltre il livello naturale, razionale, per introdurre il cuore nell’intelligibilità della fede. Infatti Egli vuol dare al credente non solo l’appagamento della ragione in ricerca, ma soprattutto la gioia dell’esperienza del cuore: “il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26). Tale mistero è Gesù in persona, e solo nell’amore Egli si rivela, per mezzo della fede: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21b).
La menzione specifica del gelso richiama ciò che mirabilmente accade sopra i rami di questa pianta, in estate.
Lascio qui la parola alla carmelitana santa Teresa d’Avila, che proprio da un gelso fu ispirata a descrivere il mistero dell’inabitazione divina nell’anima (fondamento della nostra fede battesimale) nei termini di un meraviglioso castello interiore:“Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva esserne l’autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe. Al sopraggiungere dell’estate, quando i gelsi si ricoprono di foglie, questi semi cominciano a prendere vita...finchè, fatti più grandi, con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa. Osservate qui quello che con l’aiuto di Dio possiamo fare: che sua Maestà diventi nostra dimora, fabbricata da noi stessi. Tessiamo questo piccolo bozzolo mediante lo spogliamento di ogni nostro amor proprio e volontà, distaccandoci da ogni cosa terrena e praticando opere di penitenza, di orazione, di meditazione e di obbedienza. E poi muoia, muoia pure questo verme, come il baco da seta dopo aver fatto il suo lavoro! Allora ci accorgeremo di vedere Dio e ci sentiremo sepolte nella sua grandezza, come il piccolo verme nel suo bozzolo. Oh, potenza di Dio! Oh, in che stato esce l’anima..In verità vi dico che non si riconosce più. Pensate alla differenza fra un verme ributtante e una piccola farfalla bianca: così di lei. In tutta la sua vita non ha mai goduto tanta pace e soavità. I suoi desideri sono immensi,..neppure più si meraviglia di ciò che i santi hanno fatto, perché sa per esperienza quanto il Signore aiuti, trasformando l’anima in modo tale da renderla irriconoscibile, quasi non sia più quella di prima” (S. Teresa di Gesù, Castello interiore, V M, cap. 2).
Avere fede non significa, perciò, ammirare da fuori questo splendido castello, ma rendersi conto per intima esperienza che siamo noi stessi il castello, creati per “entrare” in esso, per conoscerne le stanze segrete e progredire incontro al Re divino che dal centro irradia la sua luce seducente in tutte le dimore al fine di farci partecipi della pienezza della sua vita e della sua gioia (Gv 15,11).
La domanda degli apostoli: “Accresci in noi la fede!”, è in realtà una supplica già esaudita da Dio, dato l’intrinseco dinamismo del seme della Parola che genera la fede. Come se il bambino appena concepito dicesse alla mamma: aumenta in me la vita! Ma per questo l’ha ricevuta in dono e si trova nel grembo di lei! Similmente ci è dato nel Battesimo il dono della fede, al modo di un seme destinato a svilupparsi nella relazione essenziale e vitale con il Padre: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”(At 17,28), secondo ciò che Gesù ha promesso: “Io sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza” (Gv 10,10).
Possiamo allora comprendere che il grido accorato del profeta “Fino a quando implorerò aiuto e non ascolti..”, rappresenta, in certo modo, il grido ontologico della persona umana prima di Cristo, creata dal Padre come sua dimora ma ancora in attesa di essere abitata dalla Famiglia divina in virtù della redenzione operata dal Figlio, autore della fede e del Battesimo: un castello vuoto non si sentirà mai esaudito! Al contrario, tutto ciò che l’uomo può desiderare dalle creature in termini di bene e felicità su questa terra, quand’anche gli venisse tolta ogni cosa, lo può ritrovare centuplicato nella comunione di grazia con il suo Signore e Creatore. Piena di Dio, l’anima-castello può davvero esclamare: “non manco di nulla” (Salmo 23/22,1).
Paradigmatica, al riguardo, è la meravigliosa testimonianza di Chiara Luce Badano, la giovane focolarina morta a diciannove anni (nel 1990) beatificata sabato 25 settembre scorso a Roma. Tre anni prima una fitta lancinante rivelava a Chiara Luce la presenza di un sarcoma nelle sue ossa.“Sarcoma”: una parola terribile che pareva distruggere tutti i sogni della sua giovane vita e quelli della famiglia attorno a lei. Non conosco la storia di quei primi giorni drammatici, ma penso che molte suppliche si siano levate al Cielo per la guarigione di Chiara Luce, guarigione che non fu concessa da Dio in vista di un destino migliore: divenire missionaria di Gesù per mezzo della sua luminosissima testimonianza di felicità nella sofferenza e nella morte. Perciò le preghiere di tutti in realtà furono esaudite oltre ogni attesa immediata di bene. Era però necessario che lì per lì non venissero esaudite, e solo ora ne vediamo chiaramente il motivo perfetto, mentre allora lo si doveva credere al buio, fiduciosi unicamente nella Parola che assicura: “Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).
Ecco, avere fede quanto un “granellino di senape” significa sapere di dover attenderne la maturazione. Solo Dio vede l’albero, i suoi tempi di crescita e i frutti di bene che darà a molti, ed è in vista di tutto ciò che Egli esaudisce le nostre ignare preghiere nei modi e nei tempi opportuni, noti a Lui solo.
Perciò il piccolo seme cui è paragonata la fede, non solo vuol farci intendere (con l’aspetto della piccolezza) che basterebbe una piccola misura di autentica fede per essere esauditi, ma indica (il seme in quanto tale) la dinamica della fede come crescita intrinseca, con i frutti che verranno a suo tempo: “E’ una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà” (Ab 2,3).
Nella seconda parte del Vangelo di oggi, Gesù, sottolineando l’atteggiamento di umile sottomissione dei servi (per contrasto con la prepotenza del padrone) ci fa intendere che ognuno di noi, nei confronti di Dio, deve scegliere (non senza una fatica spesso immane) un comportamento di disponibilità totale, senza calcoli o condizioni, consegnandosi docilmente alla sua volontà che non può volere, per noi e per molti, altro che frutti infinitamente buoni.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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