martedì 27 ottobre 2009

L'ALTRA OMELIA (10) - LA FEDE E' LA LUCE DELLA VITA

XXX Domenica
del Tempo Ordinario
25 ottobre 2009
Di padre Angelo del Favero
23 ottobre 2009
Tratto da ZENIT.org
“E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sapendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!'. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: 'Figlio di Davide, abbi pietà di me!'. Gesù si fermò e disse: 'Chiamatelo!'. Chiamarono il cieco dicendogli: 'Coraggio! Alzati, ti chiama!'. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: 'Che cosa vuoi che io faccia per te?'. E il cieco gli rispose: 'Rabbunì, che io veda di nuovo!'. E Gesù gli disse: 'Va’, la tua fede ti ha salvato'. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc 10,46-52).
“Così dice il Signore: 'Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prime delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto di Israele'. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada diritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito” (Ger 31,7-9).
“Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza” (Eb 5,1-6).

Le scene di esultanza descritte dal profeta Geremia possono essere comprese e condivise solo alla luce della fede. Diversamente, se ne attendiamo la realizzazione storica per noi, rischiano di suscitare lo sconforto della disillusione. E’ questo il messaggio che ci raggiunge anzitutto dal Vangelo di domenica prossima. Vediamo infatti che Gesù dona due volte la vista al cieco Bartimeo, come fa intendere la ripetizione “di nuovo” negli ultimi due versetti. Il primo “di nuovo” riguarda la luce del giorno, il secondo la luce della fede.
E Bartimeo, che gridava a più non posso per riavere la prima, mostra di apprezzare maggiormente la seconda, tanto che si mette subito a seguire Gesù anziché correre in città a dire a tutti che ci vede. L’incontro con il Signore lo ha esaudito al di là di ogni attesa: si aspettava la guarigione della cecità, e oltre a vedere le cose ora vede la Luce in Persona. Tutto ciò illustra la realtà della fede. La fede è un rapporto di amicizia amorosa con Cristo entro il quale è dato sperimentare l’esaudimento di ogni supplica. La fede fa sperimentare la sovrabbondante pienezza della divina Presenza che ridonda nel cuore.
La fede dona l’evidenza di quelle realtà invisibili che costituiscono la verità della vita, mentre prima si credeva di vedere tutto chiaro con la sola ragione. La fede, in definitiva, è un rapporto di intensa amicizia con Gesù che guarisce la vita dalla morte, la gioia dalla tristezza, la sofferenza dall’insofferenza, la ragione dalla cecità, la volontà dalla paralisi, l’amore dall’egoismo, l’uomo dalla solitudine. Tale rapporto si fonda sulla preghiera, intesa come “questione di vita o di morte”, nel senso che solo una preghiera che coinvolga e converta tutta la vita può generare una simile fede.
Non a caso Geremia include la donna incinta e la partoriente nel corteo dei rimpatriati dall’esilio. La gravidanza, infatti, è simbolo perfetto della fede. Posso riferirmi al fatto biologico per comprendere meglio il paragone. Quando una donna desidera intensamente diventare madre, può solo sperimentare la gioia della presenza di un figlio rimanendo incinta. Immaginiamo il giorno e l’ora in cui un semplice dato di laboratorio la informa con certezza di questo evento: sei incinta!
In inglese si dice “you are pregnant”, termine che esprime una presenza come l’acqua nella spugna. La spugna, se potesse sperimentare di essere impregnata d’acqua, sarebbe “al settimo cielo”, poiché solo l’acqua la fa essere quello che è. Così la donna, essendo per natura “madre”; così l’anima essendo per natura “capacitas Dei”. L’anima poi è la persona, che Dio crea come un grembo da abitare, da impregnare, da trasformare con la sua Presenza, in modo che ogni uomo sia quello che è: un figlio di Dio.
Certo, tutto questo sta sul piano spirituale, ma la fede è certissimamente efficace nel far concepire Gesù nel cuore, se davvero si ascolta la Parola di Dio. La fede poi, fa proseguire la “gravidanza” dell’anima, trasformandola in Cristo di mese in mese, di anno in anno, se non mancano le opere conseguenti.
Momento decisivo e tanto atteso della vita di orazione è quello in cui “inizia il soprannaturale” e si “entra nel Regno di Dio”. E’ l’esperienza contemplativa dell’ “invaghimento del cuore”, alla portata di ogni battezzato. In essa come la mamma sperimenta in sé la trasformazione operata dall’iniziativa biologica del bambino, così l’anima conosce per via d’amore l’operazione interiore della divina Presenza: una “notizia amorosa, generale, indistinta...”, secondo san Giovanni della Croce.
Tale divina notizia è puro “Vangelo”, poiché è il Signore che si sta comunicando in maniera affettiva. Essa può essere esile come una piuma che ti sfiora, oppure intensa e vincente come la forza della gravità sul piombo. In ogni caso porta a chiudere gli occhi, per inabissarsi nella dolcezza del mondo interiore in cui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28).
L’Amore “è” ed “ha” questa forza divina di gravità: attira tutti a Sé, attira tutto a Sé, attira tutte le facoltà della persona: volontà, memoria, intelletto. La prima è la volontà, cioè il cuore. Esso è “preso” dolcemente ed irresistibilmente, mentre nella memoria e nell’intelletto può anche regnare il disordine, la distrazione dei mille pensieri e delle preoccupazioni, che non riescono però a preoccupare, avendo perso totalmente l’aspetto ansioso di prima.
In vero ognuno sperimenta tutto ciò secondo quel particolare recipiente che la sua persona è, tuttavia queste sono caratteristiche comuni, come gli elementi comuni ad ogni gravidanza, che però è unica e irripetibile in ogni donna. Da tutto ciò comprendiamo che la peggior “ignoranza” e “l’errore” più grave è rimanere nella cecità di se stessi, non accogliendo quel dono della fede che è la Luce vera della vita, quella che illumina ogni uomo.
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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