sabato 11 settembre 2010

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (93) - I TEMI AMBIENTALI NELL'ENCICLICA

Di Rosario Sitari
22 luglio 2010
Tratto da ZENIT.org
Il rapporto dell’uomo con l’ambiente e l’uso delle risorse naturali già trattato nelle encicliche precedenti riceve nella Caritas in veritate una trattazione sistematica. La questione demografica è emblematica per constatare l’attenzione pastorale alla dinamica dei problemi dell’esistenza. Basti pensare che all’epoca della Populorum progressio il volume della popolazione aumentava più rapidamente delle risorse disponibili per cui le indicazioni pastorali riconoscevano ai poteri pubblici la legittimazione ad adottare misure adeguate purché “conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia”, titolare del diritto inalienabile al matrimonio e alla procreazione.[1] Nella Sollicitudo rei socialis di vent’anni dopo, dato che il problema demografico risultava avere andamento inverso - nel Sud, in aumento, mentre nel Nord del Mondo si verificava una preoccupante caduta del tasso di natalità - si denunciava l’immoralità delle campagne contro la natalità.[2]
Nella stessa enciclica si guardava con favore alla “maggiore consapevolezza dei limiti della risorse disponibili, la necessità di rispettare l’integrità e i ritmi della natura e di tenerne conto nella programmazione dello sviluppo”[3].
Oggi nel documento di Benedetto XVI emerge con chiarezza lo sforzo ulteriore di dare una visione di sintesi tra la fede e la vita, sulla quale si fonda lo sviluppo integrale dell’uomo che trova espressione compiuta nell’uso oculato delle risorse naturali così come nella “procreazione responsabile”. “È una necessità sociale, e perfino economica … la rispondenza [delle istituzioni chiamate] a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale.”[4] Sul tema della procreazione il Pontefice richiama il principio del rispetto della vita ed esprime preoccupazione per il fatto che “perdurano in varie parti del mondo pratiche di controllo demografico, … che spesso … giungono a imporre anche l’aborto.”[5]
Anche sul problema ecologico troviamo nella Centesimus annus le espressioni che seguono.
La prima: “Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico. … Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce per provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.”
La seconda: “l’umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future”.
La terza: “Mentre ci si preoccupa…di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali…ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana»”.[6]
Benedetto XVI parte da qui per metterci in guardia contro “l’assolutismo della tecnica” tanto più pericoloso perché le biotecnologie, essendo figlie di una “concezione materiale e meccanicistica della vita umana”, consentono all’uomo di “manipolare la vita”.[7] E aggiunge “Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. …La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio. [Ciò significa] che il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale.”[8] Questa unicità e indivisibilità fanno dello studio dell’ambiente una disciplina complessa. Ogni approccio in materia è interdisciplinare e sistemico e implica una rivisitazione critica dello stesso statuto delle discipline specialistiche quando queste assumono l’ambiente come oggetto di studio. Si tratta di ricondurre a unità la cultura del riduzionismo scientifico dato che l’ambiente non può essere concepito soltanto come sommatoria frammentata e astorica dei fattori che lo compongono, ma anche come insieme di relazioni interattive nello spazio e nel tempo che dà origine a un’organizzazione complessa con una propria identità.[9]
Anche l’economia quando assume l’ambiente come oggetto di studio può utilizzare gli strumenti di intervento e i metodi di analisi che le sono propri, ma a una condizione: non è più possibile tenere separate economia e ambiente perché la separazione impedisce di vedere le interconnessioni esistenti fra le tre sostenibilità - economica, ecologica e sociale - che hanno grande influenza sullo stato di salute di questa e delle future generazioni.
Le indicazioni della Caritas in Veritate - annunciate nell’udienza di mercoledì 8 luglio 2009 e ribadite nel messaggio “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato” che Benedetto XVI ha inviato in occasione della celebrazione della giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2010 - sono molto chiare in proposito e sono sintetizzabili in queste brevi proposizioni:
coniugare le esigenze dell’ambiente con quelle dello sviluppo non significa “assolutizzare la natura né … ritenerla più importante della stessa persona”; significa rispettare “la ‘grammatica’ che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato”.
Non si tratta di assumere le esigenze dell’ambiente come ‘vincoli’ all’attività economica, e perciò come meri elementi di costo, si tratta piuttosto di considerare “il concetto di ecologia umana” all’interno di un orizzonte temporalmente più esteso della razionalità economica che riconosca i benefici della sostenibilità. Qui si colloca l’intreccio e la sintesi tra due finalità, parimenti irrinunciabili: quella della salvaguardia dell’ambiente e quella dello sviluppo.
Tale sintesi sembra essere praticabile in riferimento a tre importanti capitoli della teoria economica. L’ economia del benessere, infatti, si va arricchendo dei contenuti dello sviluppo sostenibile, mentre gli equilibri del produttore e del consumatore stanno evolvendo in concomitanza con le problematiche ambientali sempre più incidenti sull’organizzazione industriale, sull’elaborazione delle strategie di impresa e sull’affinamento delle preferenze.
Non va dimenticato tuttavia che l’ambiente è uno dei temi che maggiormente hanno evidenziato alcuni limiti dell’impianto concettuale della teoria economica. Proporne perciò la riflessione in un quadro di riferimento caratterizzato da un alto grado di incertezza espone al rischio di collocarsi entro margini troppo ampi di soggettività nell’opera di sintesi tra quanto c’è di consolidato e quanto va emergendo nella teoria e nelle strategie di impresa.
Inoltre la conoscenza e l’interazione ambientale vanno a inserirsi in contesti istituzionali e in situazioni reali con problemi economici e politici altrettanto seri dove, peraltro, non tutto funziona come dovrebbe. Ne consegue che misure razionalmente adeguate introdotte in certe realtà possono diventare impraticabili o subire deformazioni tali da diventare dannose.
Con ciò non si intende mettere in forse la fiducia nella ragione, si vuole solo accantonare quella razionalità astratta di avanguardie intellettuali, che pretendono di definire per tutti i parametri di progresso e di qualità della vita senza accogliere le aspirazioni autentiche delle comunità civili, le sole legittimate a esprimere le preferenze collettive. L’economia può agevolare questo processo di attuazione del principio di sussidiarietà mediante lo svolgimento di una funzione educativa finalizzata alla crescita di una responsabilità ecologica che “salvaguardi un’autentica ‘ecologia umana’ ”. L’economia, proprio per il rigore logico del suo metodo, può acuire la sensibilità e la responsabilità dei cittadini, dato che i suoi riferimenti teorici e i contenuti applicativi del tema ambiente impongono riflessioni corali di interesse generale su metodi e strumenti che attengono alla micro e alla macroeconomia: cioè sui prezzi e, al tempo stesso, sulle quantità aggregate e, quindi, sull’economia dell’impresa, sull’economia del benessere, sull’economia dell’energia e delle risorse naturali.
L’ambiente, dunque, fa dell’economia un vero e proprio strumento di maturazione dei valori della democrazia ambientale. È necessario però superare due ostacoli. Il primo è di carattere generale ed è la scarsa attitudine al lavoro interdisciplinare del mondo accademico. Il secondo riguarda i rapporti tra economisti generali ed economisti applicati che tendono a mantenere separate la dialettica teorica da quella che si sviluppa in ambiti specifici.
Nel suo messaggio il Papa sostiene che la salvaguardia dell’ambiente è “essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità” e ricorda che già nel 1990 il suo predecessore Giovanni Paolo II parlò di “crisi ecologica”, facendo notare lٰ ”urgente necessità morale di una nuova solidarietà”. E aggiunge: “Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione”.
La crisi riguarda “i cambiamenti climatici, la desertificazione, il deterioramento e la perdita di produttività di ampie zone agricole, la contaminazione dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento delle catastrofi naturali, la deforestazione nelle zone equatoriali e tropicali.”
Benedetto XVI osserva inoltre con apprensione i conflitti provocati dall’accesso alle risorse e quelli conseguenti al “crescente fenomeno dei cosiddetti ‘profughi ambientali’: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono lo devono lasciare”.
A fronte di tali questioni, “che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo”,[10] l’enciclica sostiene la necessità “che maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”.[11]
Per la soluzione di tali problemi l’economista ha il dovere di trasformare le proprie convinzioni in esplicite scelte di ricerca, di formazione e di proposta per la crescita della società civile.
L’economia, dunque, può fare molto in materia ambientale, ma non sarebbe un sicuro atto di saggezza chiedere all’economia ciò che l’economia non può dare: chiedere cioè ad essa di svolgere una funzione di surroga alla morale, all’etica e alla politica.
Il significato, la portata e l’effettività del messaggio di precauzione e di speranza che anima la Caritas in Veritate è racchiusa in queste poche righe: “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente.”
Il messaggio non è un inventario di petizioni di principio, esso si spinge talvolta ad entrare nel merito di problemi concreti quando afferma, ad esempio, “che oggi è realizzabile un miglioramento dell’efficienza energetica ed è al tempo stesso possibile far avanzare la ricerca di energie alternative.”[12] Altrettanta concretezza si rileva quando afferma che la “comunità internazionale ha il compito imprescindibile di … disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro.”[13]
Il prof. Rosario Sitari è docente di Politica dell’ambiente all’Università LUMSA di Roma e Segretario nazionale AIDU (Associazione Italiana Docenti Universitari). Autore di pubblicazioni in materia di politica economica e di politica industriale, di economia e politica dell’energia e dell’ambiente. Già dirigente ENI, ha insegnato nelle Università statali di Roma, Cagliari e Parma, nella Scuola di Management della LUISS, nella Scuola Superiore E. Mattei e nell’Istituto di Formazione dell’Association For European Training of Workers on the impact of New Technology.
NOTE
[1] Populorum progressio, 37.
[2] Sollicitudo rei socialis, 25, 30 dicembre 1987.
[3] Ibid., 26.
[4] Caritas in veritate, 44.
[5] Ibid., 28.
[6] Centesimus annus, 37 e 38.
[7] Caritas in veritate, 75.
[8] Ibid., 51.
[9] Cfr. Antonio Moroni, Ambiente, Risorse, Società, Atti della prima conferenza nazionale di Statistica, Roma, 18-19 novembre 1992, pag. 135 e segg., ISTAT.
[10] Messaggio del Pontefice alla Giornata Mondiale della pace già citato nel testo.
[11] Caritas in veritate, 27.
[12] Ibid., 49.
[13] Ibid., c. s.

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