10 luglio 2010
Tratto da ZENIT.org
Di seguito la relazione tenuta da mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa, al Convegno promosso dal Forum delle Persone e della Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro del Friuli Venezia Giulia, e svoltosi a Trieste il 19 maggio.
Hans Georg Gadamer sostiene, come noto, che il significato di un testo risulta arricchito dalla storia dei suoi effetti. Questo vale anche per l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI. A rileggerla oggi, dopo mesi dalla sua pubblicazione avvenuta il 7 luglio 2009, essa risulta ancora più ricca e chiara, dato che sul testo si proiettano le interpretazioni che ne sono seguite e il testo rivela così nuovi significati e sfumature che hanno bisogno di tempo per venire alla luce. L’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa ha pubblicato nel fascicolo 1/2010 del suo “Bollettino” un primo spoglio degli articoli sulla “Caritas in veritate” pubblicati sulle riviste specializzate. Tutte queste riflessioni condotte sul testo dell’enciclica non sono inutili e gli permettono di esprimere con maggiore completezza i suoi significati. Anche le critiche rivolte all’enciclica – che pure ci sono state – indirettamente concorrono ad esplicitarne il senso, in quanto obbligano ad un approfondimento del testo della Caritas in veritate, naturalmente alla luce della tradizione e del magistero e dell’analogia delle verità della fede cattolica, ossia del principio secondo cui tutte le verità della fede “stanno insieme”.
Anch’io sono stato in qualche modo “coinvolto” – se così posso esprimermi – in questa lettura approfondita dell’enciclica dietro la suggestione di alcune sue critiche che ho ritenuto opportuno esaminare. E’ stato un esercizio utile per capire meglio l’enciclica, un testo veramente ricco e complesso, che va appunto letto e riletto, non liquidato troppo sommariamente. Vorrei riprendere qui con voi alcune di queste critiche, come stimolo ad esaminare qualche aspetto dell’enciclica che possa aiutarci – che possa aiutarvi – nel nostro - nel vostro - lavoro quotidiano.
Proprio all’indomani della pubblicazione della “Caritas in veritate” dal monto nordamericano veniva una critica piuttosto ruvida circa il mercato e il capitalismo. Vi si diceva che la Caritas in veritate aveva rotto con la tradizione della Centesimus annus e di Giovanni Paolo II. Costui avrebbe espresso una valutazione positiva del mercato e dell’impresa, che sarebbe stata invece molto stemperata e perfino sostituita nell’enciclica di Benedetto XVI da una concezione molto negativa. Si è trattato di una critica un po’ “ruvida”, come dicevo, e forse non ben sedimentata prima di venire espressa. E’ stata però utile ad indurmi a rileggere con nuova attenzione l’enciclica, focalizzando l’analisi proprio su questo punto. Ho dovuto concludere - come in seguito ho avuto modo di esprimere in un articolo su “L’Osservatore Romano” – che c’è invece una grande continuità tra la Centesimus annus e la Caritas in veritate, oppure, se si vuole, un ulteriore approfondimento. La continuità sta nel fatto che per ambedue le encicliche, il mercato dipende sempre “da altro da sé” ed è incapace di autogiustificarsi pienamente, anche sul piano economico. L’approfondimento sta nel fatto che mentre la Centesimus annus parlava di una sistema a tre soggetti – il privato, lo Stato e la società civile – sottointendendo, ma non dicendo esplicitamente, che la logica del dono apparteneva a tutti e tre, la Caritas in veritate invece estende il concetto, affermando con chiarezza che nessuno dei tre ambiti è esente dalla logica del dono. Se la formulazione della Centesimus annus poteva suggerire interpretazioni che relegavano la logica del dono nel solo terzo settore, la Caritas in veritate supera questi limiti e, nel contempo, toglie il cosiddetto terzo settore dalla sua marginalità residuale. Tutti e tre gli ambiti hanno piena dignità economica – tanto è vero che la Caritas in veritate richiede esplicitamente anche uno strutturato scambio di imprenditorialità e di esperienza dall’uno all’altro e perfino un impegno per andare altre la divisione tra profit e non profit – e tutti e tre sono resi complementari dalla comune logica del dono. Ritengo che queste affermazioni stiano ancora attendendo di essere adeguatamente approfondite dagli addetti ai lavori. Esse hanno delle ripercussioni anche sul tema del lavoro di primaria importanza. Proprio in questi giorni, per fare un esempio, ci si interroga nel nostro Paese sul deficit nella finanza della sanità di alcune regioni. Contemporaneamente si pone il problema della presenza in Italia di 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici. Potranno le strade del federalismo, della riforma della pubblica amministrazione, del riordino del Welfare, della necessità di ridurre l’imposizione fiscale sia a carico delle imprese che dei lavoratori fare a meno di ripensare i tre settori del privato, della società civile e dello Stato in un nuovo quadro?
Una seconda critica mossa alla Caritas in veritate è venuta dal mondo tedesco e riguardava il cuore stesso del messaggio dell’enciclica, ossia la logica del dono e della gratuità come anima della vita economica e sociale. Non si tratta - si chiedevano i critici – di moralismo ininfluente, dato che esistono oggi strutture economiche e finanziarie – e qui il riferimento alla crisi è d’obbligo – che richiedono che i problemi vengano posti e d affrontati a quel livello e non a livello etico? La Caritas in veritate è molto critica verso un certo Stato assistenziale, forse ancora più critica del paragrafo 48 della Centesimus annus che già non era molto tenero, e proprio questo le rimproveravano i suoi critici d’oltralpe, ossia di affidare la giustizia più alla buona volontà reciproca che al sistema di redistribuzione fiscale dello Stato. Ripeto qui, come ho già detto in una intervista pubblicata in Germania ove ho in qualche modo risposto a simili critiche, che la proposta di Benedetto XVI circa il dono e la gratuità nella vita economica non è stata ben compresa se è stata intesa in senso moralistico, o come un disprezzo per la dimensione strutturale dei problemi. La Caritas in veritate non è così ingenua: essa sa parlare il linguaggio della fede e della morale ma anche quello dell’economia. Il bisogno di dono e gratuità non è un fervorino etico appiccicato sull’economia, è un bisogno della stessa economia, bisogno che l’enciclica spiega molto bene anche dal punto di vista economico: il compito della redistribuzione non può più essere fatto “dopo” e solo dallo Stato, esso va fatto in ogni momento del ciclo economico, da tutti i soggetti coinvolti e in tutti i luoghi geografici e sociali in cui esso si svolge. Quanti hanno detto che la crisi finanziaria aveva motivi etici? Quasi tutti, a mia memoria. Quanti ne hanno tratto le conseguenze? Molto pochi, a mia memoria. Quindi ad adoperare le frasi moralistiche non è stato il Papa ma quanti adoperano i riferimenti etici per abbandonarli un attimo dopo. Il problema è che così ne risente anche l’economia il che prova che non si trattava di moralismo.
Con queste osservazioni passo alla terza critica che ho potuto notare, anche questa proveniente dal mondo tedesco. La Caritas in veritate non avrebbe sufficientemente tenuto conto dei risultati delle scienze, soprattutto delle scienze della terra che si occupano di ambiente e, in particolare, di quelle che si occupano di cambiamenti climatici. Questa critica mi è sembrata molto curiosa. Abbiamo visto tutti come sia andato a finire il Vertice Onu sul cambiamento climatico di Copenaghen, come in fondo l’unica argomentazione veramente importante sul tema sia stata fatta dal Papa, dato che proprio in quei giorni veniva reso noto il testo del suo Messaggio per la Pace del 1 gennaio 2010 che si occupava proprio di questi temi, di come il cambiamento climatico sia spesso caricato di significati ideologici e di come le stesse scienze non siano oggi in grado di fare luce sull’argomento. Mi è sembrato curioso, quindi, che si movessero delle critiche all’enciclica proprio su questi punti, assai controversi e campo ampiamente battuto dalle nuove ideologie. Poi, però, riflettendoci, ho capito che forse l’obiettivo era un altro, vale a dire criticare il punto di vista assunto da Benedetto XVI nella Caritas in veritate che non parte dalle scienze umane, come a lungo avevano detto molti teologi soprattutto tedeschi e latinoamericani, ma dalla rivelazione così come ci è trasmessa dalla tradizione. Non è vero che il Papa nella Caritas inveritate non si confronta con le scienze, ma non parte dalle scienze e ritiene che la prospettiva della fede abbia qualcosa da dire anche ai saperi umani, entrando in dialogo con essi proprio perché portatrice di una sua verità. Chi aveva sostenuto che la Dottrina sociale della Chiesa, per non essere un sapere ideologico, deve partire dalla situazione, dalla prassi, dalle scienze ed assumere un metodo induttivo, certamente non può accettare facilmente che invece Benedetto XVI – ma non solo lui, ovviamente, in quanto la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre fatto così – sostenga che, proprio per non essere ideologica e poter veramente dialogare con il mondo, la fede debba partire da se stessa e dalla profonda umanità di Cristo.
Considero questo punto di capitale importanza per tutti noi e, in modo particolare, per il lavoro di questo Forum. Sui temi del lavoro e dell’economia che più vi stanno a cuore, il dialogo va aperto con i problemi, con i saperi umani che illuminano quei problemi, con le competenze e le esperienze che ne rendono possibile la soluzione … ma alla luce della verità di Cristo insegnata dalla Chiesa, luce che tutto illumina a partire dalla coscienza e dall’intelligenza della persona umana.
[Fonte: http://www.vanthuanobservatory.org/]
Hans Georg Gadamer sostiene, come noto, che il significato di un testo risulta arricchito dalla storia dei suoi effetti. Questo vale anche per l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI. A rileggerla oggi, dopo mesi dalla sua pubblicazione avvenuta il 7 luglio 2009, essa risulta ancora più ricca e chiara, dato che sul testo si proiettano le interpretazioni che ne sono seguite e il testo rivela così nuovi significati e sfumature che hanno bisogno di tempo per venire alla luce. L’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa ha pubblicato nel fascicolo 1/2010 del suo “Bollettino” un primo spoglio degli articoli sulla “Caritas in veritate” pubblicati sulle riviste specializzate. Tutte queste riflessioni condotte sul testo dell’enciclica non sono inutili e gli permettono di esprimere con maggiore completezza i suoi significati. Anche le critiche rivolte all’enciclica – che pure ci sono state – indirettamente concorrono ad esplicitarne il senso, in quanto obbligano ad un approfondimento del testo della Caritas in veritate, naturalmente alla luce della tradizione e del magistero e dell’analogia delle verità della fede cattolica, ossia del principio secondo cui tutte le verità della fede “stanno insieme”.
Anch’io sono stato in qualche modo “coinvolto” – se così posso esprimermi – in questa lettura approfondita dell’enciclica dietro la suggestione di alcune sue critiche che ho ritenuto opportuno esaminare. E’ stato un esercizio utile per capire meglio l’enciclica, un testo veramente ricco e complesso, che va appunto letto e riletto, non liquidato troppo sommariamente. Vorrei riprendere qui con voi alcune di queste critiche, come stimolo ad esaminare qualche aspetto dell’enciclica che possa aiutarci – che possa aiutarvi – nel nostro - nel vostro - lavoro quotidiano.
Proprio all’indomani della pubblicazione della “Caritas in veritate” dal monto nordamericano veniva una critica piuttosto ruvida circa il mercato e il capitalismo. Vi si diceva che la Caritas in veritate aveva rotto con la tradizione della Centesimus annus e di Giovanni Paolo II. Costui avrebbe espresso una valutazione positiva del mercato e dell’impresa, che sarebbe stata invece molto stemperata e perfino sostituita nell’enciclica di Benedetto XVI da una concezione molto negativa. Si è trattato di una critica un po’ “ruvida”, come dicevo, e forse non ben sedimentata prima di venire espressa. E’ stata però utile ad indurmi a rileggere con nuova attenzione l’enciclica, focalizzando l’analisi proprio su questo punto. Ho dovuto concludere - come in seguito ho avuto modo di esprimere in un articolo su “L’Osservatore Romano” – che c’è invece una grande continuità tra la Centesimus annus e la Caritas in veritate, oppure, se si vuole, un ulteriore approfondimento. La continuità sta nel fatto che per ambedue le encicliche, il mercato dipende sempre “da altro da sé” ed è incapace di autogiustificarsi pienamente, anche sul piano economico. L’approfondimento sta nel fatto che mentre la Centesimus annus parlava di una sistema a tre soggetti – il privato, lo Stato e la società civile – sottointendendo, ma non dicendo esplicitamente, che la logica del dono apparteneva a tutti e tre, la Caritas in veritate invece estende il concetto, affermando con chiarezza che nessuno dei tre ambiti è esente dalla logica del dono. Se la formulazione della Centesimus annus poteva suggerire interpretazioni che relegavano la logica del dono nel solo terzo settore, la Caritas in veritate supera questi limiti e, nel contempo, toglie il cosiddetto terzo settore dalla sua marginalità residuale. Tutti e tre gli ambiti hanno piena dignità economica – tanto è vero che la Caritas in veritate richiede esplicitamente anche uno strutturato scambio di imprenditorialità e di esperienza dall’uno all’altro e perfino un impegno per andare altre la divisione tra profit e non profit – e tutti e tre sono resi complementari dalla comune logica del dono. Ritengo che queste affermazioni stiano ancora attendendo di essere adeguatamente approfondite dagli addetti ai lavori. Esse hanno delle ripercussioni anche sul tema del lavoro di primaria importanza. Proprio in questi giorni, per fare un esempio, ci si interroga nel nostro Paese sul deficit nella finanza della sanità di alcune regioni. Contemporaneamente si pone il problema della presenza in Italia di 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici. Potranno le strade del federalismo, della riforma della pubblica amministrazione, del riordino del Welfare, della necessità di ridurre l’imposizione fiscale sia a carico delle imprese che dei lavoratori fare a meno di ripensare i tre settori del privato, della società civile e dello Stato in un nuovo quadro?
Una seconda critica mossa alla Caritas in veritate è venuta dal mondo tedesco e riguardava il cuore stesso del messaggio dell’enciclica, ossia la logica del dono e della gratuità come anima della vita economica e sociale. Non si tratta - si chiedevano i critici – di moralismo ininfluente, dato che esistono oggi strutture economiche e finanziarie – e qui il riferimento alla crisi è d’obbligo – che richiedono che i problemi vengano posti e d affrontati a quel livello e non a livello etico? La Caritas in veritate è molto critica verso un certo Stato assistenziale, forse ancora più critica del paragrafo 48 della Centesimus annus che già non era molto tenero, e proprio questo le rimproveravano i suoi critici d’oltralpe, ossia di affidare la giustizia più alla buona volontà reciproca che al sistema di redistribuzione fiscale dello Stato. Ripeto qui, come ho già detto in una intervista pubblicata in Germania ove ho in qualche modo risposto a simili critiche, che la proposta di Benedetto XVI circa il dono e la gratuità nella vita economica non è stata ben compresa se è stata intesa in senso moralistico, o come un disprezzo per la dimensione strutturale dei problemi. La Caritas in veritate non è così ingenua: essa sa parlare il linguaggio della fede e della morale ma anche quello dell’economia. Il bisogno di dono e gratuità non è un fervorino etico appiccicato sull’economia, è un bisogno della stessa economia, bisogno che l’enciclica spiega molto bene anche dal punto di vista economico: il compito della redistribuzione non può più essere fatto “dopo” e solo dallo Stato, esso va fatto in ogni momento del ciclo economico, da tutti i soggetti coinvolti e in tutti i luoghi geografici e sociali in cui esso si svolge. Quanti hanno detto che la crisi finanziaria aveva motivi etici? Quasi tutti, a mia memoria. Quanti ne hanno tratto le conseguenze? Molto pochi, a mia memoria. Quindi ad adoperare le frasi moralistiche non è stato il Papa ma quanti adoperano i riferimenti etici per abbandonarli un attimo dopo. Il problema è che così ne risente anche l’economia il che prova che non si trattava di moralismo.
Con queste osservazioni passo alla terza critica che ho potuto notare, anche questa proveniente dal mondo tedesco. La Caritas in veritate non avrebbe sufficientemente tenuto conto dei risultati delle scienze, soprattutto delle scienze della terra che si occupano di ambiente e, in particolare, di quelle che si occupano di cambiamenti climatici. Questa critica mi è sembrata molto curiosa. Abbiamo visto tutti come sia andato a finire il Vertice Onu sul cambiamento climatico di Copenaghen, come in fondo l’unica argomentazione veramente importante sul tema sia stata fatta dal Papa, dato che proprio in quei giorni veniva reso noto il testo del suo Messaggio per la Pace del 1 gennaio 2010 che si occupava proprio di questi temi, di come il cambiamento climatico sia spesso caricato di significati ideologici e di come le stesse scienze non siano oggi in grado di fare luce sull’argomento. Mi è sembrato curioso, quindi, che si movessero delle critiche all’enciclica proprio su questi punti, assai controversi e campo ampiamente battuto dalle nuove ideologie. Poi, però, riflettendoci, ho capito che forse l’obiettivo era un altro, vale a dire criticare il punto di vista assunto da Benedetto XVI nella Caritas in veritate che non parte dalle scienze umane, come a lungo avevano detto molti teologi soprattutto tedeschi e latinoamericani, ma dalla rivelazione così come ci è trasmessa dalla tradizione. Non è vero che il Papa nella Caritas inveritate non si confronta con le scienze, ma non parte dalle scienze e ritiene che la prospettiva della fede abbia qualcosa da dire anche ai saperi umani, entrando in dialogo con essi proprio perché portatrice di una sua verità. Chi aveva sostenuto che la Dottrina sociale della Chiesa, per non essere un sapere ideologico, deve partire dalla situazione, dalla prassi, dalle scienze ed assumere un metodo induttivo, certamente non può accettare facilmente che invece Benedetto XVI – ma non solo lui, ovviamente, in quanto la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre fatto così – sostenga che, proprio per non essere ideologica e poter veramente dialogare con il mondo, la fede debba partire da se stessa e dalla profonda umanità di Cristo.
Considero questo punto di capitale importanza per tutti noi e, in modo particolare, per il lavoro di questo Forum. Sui temi del lavoro e dell’economia che più vi stanno a cuore, il dialogo va aperto con i problemi, con i saperi umani che illuminano quei problemi, con le competenze e le esperienze che ne rendono possibile la soluzione … ma alla luce della verità di Cristo insegnata dalla Chiesa, luce che tutto illumina a partire dalla coscienza e dall’intelligenza della persona umana.
[Fonte: http://www.vanthuanobservatory.org/]
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