martedì 28 settembre 2010

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - "CI MANCAVA IL CIRCO VICINO AL CIMITERO". ECCO L'ARTICOLO E IL COMUNICATO STAMPA "CREMATO"

Di Attilio Palma
Tratto dal "Nuovo Quotidiano di Puglia-Lecce"
del 15 Settembre 2010
Prima le giostre per la festa patronale, ora il circo. Il parcheggio del cimitero usato per altre ragioni se non per la visita ai propri defunti, alimenta la polemica a Melissano tra chi è favorevole e chi contrario.
A criticare la scelta dell'amministrazione comunale per la nuova collocazione è Stefano Giuseppe Scarcella, consigliere comunale di minoranza dell'Italia dei Valori: "Non bastavano i chiassi del luna park ubicato per la prima volta sotto il Cimitero dei melissanesi. Ci mancava anche il circo per farci concludere che quella zona è stata veramente vìolata. Il sindaco, nel ringraziare con un manifesto il Comitato Festa Patronale di S. Antonio di Padova, ha chiamato "oscurantisti e medievali" coloro i quali non hanno apprezzato la scelta di chi ha preferito ballare i propri figli sulla testa dei loro antenati".
RIPORTO IL COMUNICATO STAMPA
"CREMATO" DALLA STAMPA
"L’ETERNO RIPOSO DEI DEFUNTI
DISTURBATO ANCHE DA ANIMALI E SPETTACOLI
Non bastavano i chiassi del luna park ubicato per la prima volta sotto il Cimitero dei melissanesi in occasione dell’ultima festa patronale, svoltasi nella prima settimana di settembre. Ci mancava anche il circo per farci concludere, oggi, che quella zona è stata veramente vìolata.
Camion, recinti di animali all’aperto, panni lavati e stesi ad asciugare, spettacoli e numeri da circo all’ombra di luci votive, di vicoli silenziosi, di donne e uomini che circolano tra i viottoli con fiori tra le mani e con la testa china: è questo lo spettacolo infame che ha offerto l’Amministrazione Comunale ai suoi cittadini in questi giorni.
Non tutti a Melissano sono contenti di “disturbare” il sonno dei morti e la visita ai propri cari defunti, e c’è chi pensa, come il sottoscritto, che chi non rispetta i morti, non rispetta neppure i vivi.
E’ un problema, questo, che sta dividendo anche un’altra comunità, quella barese di Binetto, che per lo stesso motivo è finita ai microfoni del TGNorba, in occasione della festa patronale di San Crescenzio martire che si è svolta a fine agosto.
Spesso si paragona il Comune di Melissano a Gallipoli, dove per la verità, inutile negarlo, a distanza di tanti anni esiste ancora il malcontento, e gli articoli sulla stampa si susseguono, come accaduto quest’anno, per le condizioni in cui viene trovata sporca l’area delle giostre nei giorni a seguire la festa patronale di Santa Cristina.
Il sindaco di Melissano, nel ringraziare con un manifesto il Comitato Festa Patronale di S. Antonio di Padova, ha chiamato “oscurantisti e medievali” coloro che non hanno apprezzato la scelta di chi ha preferito veder ballare i propri figli sulla testa dei loro antenati. E questo la dice lunga sul fatto che, tale decisione di ubicare luna-park e circo in quel parcheggio non è soltanto una scelta provvisoria ma un tentativo di “forzare” gli animi e le sensibilità di molti melissanesi.
Più di otto mesi ci separano dalla prossima festa religioso-civile di San Luigi Gonzaga. La mia preoccupazione è che, se non si troveranno alternative per mancanza di volontà, riconsiderando zone del paese utilizzate nel passato recente, o zone da poter riqualificare, decine di famiglie già dal prossimo anno potrebbero non contribuire economicamente alla realizzazione dei programmi di festeggiamenti.
Non possiamo permettere che antiche tradizioni vengano messe in difficoltà per cui, in qualità di referente locale dell’Italia dei Valori, invito il Parroco ed il Sindaco di Melissano a progettare nuovi spazi alternativi per spegnere le critiche e per poter vivere insieme, serenamente e con grande orgoglio, proprio come un tempo, le feste di Melissano.
Melissano, 14 Settembre 2010
Stefano Giuseppe Scarcella - CONSIGLIERE COMUNALE, Referente Locale ITALIA DEI VALORI."

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - L'ETERNO RIPOSO DEI DEFUNTI DISTURBATO ANCHE DA ANIMALI E SPETTACOLI

Comunicato Stampa
Non bastavano i chiassi del luna park ubicato per la prima volta sotto il Cimitero dei melissanesi in occasione dell’ultima festa patronale, svoltasi nella prima settimana di settembre. Ci mancava anche il circo per farci concludere, oggi, che quella zona è stata veramente vìolata.
Camion, recinti di animali all’aperto, panni lavati e stesi ad asciugare, spettacoli e numeri da circo all’ombra di luci votive, di vicoli silenziosi, di donne e uomini che circolano tra i viottoli con fiori tra le mani e con la testa china: è questo lo spettacolo infame che ha offerto l’Amministrazione Comunale ai suoi cittadini in questi giorni.
Non tutti a Melissano sono contenti di “disturbare” il sonno dei morti e la visita ai propri cari defunti, e c’è chi pensa, come il sottoscritto, che chi non rispetta i morti, non rispetta neppure i vivi.
E’ un problema, questo, che sta dividendo anche un’altra comunità, quella barese di Binetto, che per lo stesso motivo è finita ai microfoni del TGNorba, in occasione della festa patronale di San Crescenzio martire che si è svolta a fine agosto.
Spesso si paragona il Comune di Melissano a Gallipoli, dove per la verità, inutile negarlo, a distanza di tanti anni esiste ancora il malcontento, e gli articoli sulla stampa si susseguono, come accaduto quest’anno, per le condizioni in cui viene trovata sporca l’area delle giostre nei giorni a seguire la festa patronale di Santa Cristina.
Il sindaco di Melissano, nel ringraziare con un manifesto il Comitato Festa Patronale di S. Antonio di Padova, ha chiamato “oscurantisti e medievali” coloro che non hanno apprezzato la scelta di chi ha preferito veder ballare i propri figli sulla testa dei loro antenati. E questo la dice lunga sul fatto che, tale decisione di ubicare luna-park e circo in quel parcheggio non è soltanto una scelta provvisoria ma un tentativo di “forzare” gli animi e le sensibilità di molti melissanesi.
Più di otto mesi ci separano dalla prossima festa religioso-civile di San Luigi Gonzaga. La mia preoccupazione è che, se non si troveranno alternative per mancanza di volontà, riconsiderando zone del paese utilizzate nel passato recente, o zone da poter riqualificare, decine di famiglie già dal prossimo anno potrebbero non contribuire economicamente alla realizzazione dei programmi di festeggiamenti.
Non possiamo permettere che antiche tradizioni vengano messe in difficoltà per cui, in qualità di referente locale dell’Italia dei Valori, invito il Parroco ed il Sindaco di Melissano a progettare nuovi spazi alternativi per spegnere le critiche e per poter vivere insieme, serenamente e con grande orgoglio, proprio come un tempo, le feste di Melissano.
Melissano, 14 Settembre 2010
Stefano Giuseppe Scarcella
CONSIGLIERE COMUNALE
Referente Locale ITALIA DEI VALORI

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - SU FACEBOOK CLAUDIO PROPONE UN MEGA SPAZIO SITUATO NEL COMUNE DI MELISSANO

Claudio: "Alcune sono discrete soluzioni, altre meno, io parlavo di un grande spazio, qual è quello del parcheggio accanto al cimitero, uno spazio simile c'è nei pressi della Polisportiva (e non so di chi sia) oppure nella zona 167, tra via Filippo Turati e Pio la Torre, un unico spazio di aggregazione, non un insieme di vie..."
Stefano Giuseppe Scarcella: "Via Pietro Bianchi, mi riferivo a quella zona che tu indichi con via Pio La Torre, via Filippo Turati. La zona si presta benissimo ed ha anche una via di raggiungimento non centrale come via Racale e mi riferisco alla strada che ha di fronte e che porta alla rotatoria (ex spazio giostre chiuso alla collettività)..."
Claudio: "Area di circa 7.200 mq, a fronte dei circa 4.200 mq del parcheggio del cimitero."
Stefano Giuseppe Scarcella: "GRAZIE CLAUDIO PER IL CONTRIBUTO CHE, MI AUGURO, PORTERAI NEL TUO GRUPPO -MELISSANO IN MOVIMENTO-."

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - UNA BELLA IDEA? SPOSTIAMO IL MONUMENTO DEI CADUTI IN GUERRA E CREIAMO UN GRANDE SPAZIO

Gli spazi ci sono a Melissano e sono sotto gli occhi di tutti.
LA ZONA 167 COME VIA BERLINGUER, VIA PIETRO BIANCHI...
4 giostre contate ed un circo ci vanno dappertutto!!!
NON FACCIAMO FINTA DI NON VEDERLI.
E se non ci sono??? Creiamoli.
Una bella idea??? SPOSTIAMO IL MONUMENTO DEI CADUTI IN GUERRA (tanto è isolato e adatto a droga e canne da diversi anni), AMPLIAMO LA ZONA ACQUISENDO QUELLO SPAZIO A FIANCO, SISTEMIAMOLA e tutto è fatto!
Per una fontana monumentale (?) abbiamo spesi fior di milioni!!!!!

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - ELSA NON E' D'ACCORDO E CI HA SCRITTO SU FACEBOOK

Elsa: "Mi domando: a Melissano non c'è un sindaco a cui rivolgersi? O sta lì solo come un martello senza manico che non serve a niente? Fra l'altro, chi l'ha votato non dovrebbe lamentarsi, ora è stato accontentato. Prima di votare una persona bisogna conoscerla bene e anche il suo passato...soprattutto questo. Ma oggi ci si fa incantare da chiacchiere e promesse, ma il cervello dove ce l'abbiamo...!!!???".

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - CHI NON RISPETTA I MORTI NON RISPETTA NEPPURE I VIVI

Resta il problema di fondo.
Siamo davvero certi che i nostri defunti sopportino quelle presenze rumorose nei pressi della loro ultima dimora?

30 SETTEMBRE 2010, ORE 18.30, AULA CONSILIARE - NUOVA SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI MELISSANO

ORDINE DEL GIORNO
1. COMUNICAZIONI DEL SINDACO-PRESIDENTE.
2. LETTURA ED APPROVAZIONE VERBALI SEDUTE PRECEDENTI DEL 20 APRILE 2010, 18 GIUGNO 2010, 29 GIUGNO 2010 E DEL 04 AGOSTO 2010.
3. ARTICOLO 193 DECRETO LEGISLATIVO 267/2000 - SALVAGUARDIA DEGLI EQUILIBRI DI BILANCIO - DETERMINAZIONI.
4. RESCISSIONE ANTICIPATA CONTRATTI SWAP - DETERMINAZIONI.
5. RICONOSCIMENTO DEBITO DI CUI ALL'ARTICOLO 194, COMMA 1), LETTERA A) DECRETO LEGISLATIVO NUMERO 267/2000 - AVVOCATO GIOVANNI PELLEGRINO.

BELLISSIMI RICORDI ESTIVI DI CHI LAVORA SODO E DI CHI NON VIVE DI POLTRONISMO AMMINISTRATIVO. LO STIPENDIO DI POLTRONA APPARTIENE AD ALTRI DA ANNI.

IL RICORDO / CI SALUTA LA BELLA TV. E ADESSO? ATTACCHIAMOCI AI REALITY!


L'ALTRA OMELIA (46) - LA COSCIENZA BRINDA PRIMA PER LA VITA

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
26 settembre 2010
Di padre Angelo del Favero

26 settembre 2010
Tratto da ZENIT.org
“Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti” (Amos 6,1a.4-7).
“C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi tra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, e tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,19-31).

La prima Lettura è una requisitoria di Amos (profeta-contadino vissuto nell’ottavo secolo a.C.) contro i notabili di Samaria per denunciarne l’ostentata ricchezza, l’egoismo sfacciato, la corruzione morale e l’incosciente tranquillità: peccati di quell’auto-idolatria che non solamente anestetizza il sentimento della compassione per i poveri, ma acceca nella coscienza anche il lume naturale della ragione.
Nella seconda Lettura, Paolo volge in termini positivi il monito severo di Amos esortando il discepolo Timoteo a prendere a modello di comportamento l’esempio di Gesù: “Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, , alla pazienza, alla mitezza.(…) Davanti a..Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza di fronte a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento,..” (1Tim 6,1.13-14).
Di fronte allo scetticismo di Pilato e alla ferocia dei soldati, Gesù ha “dato testimonianza alla verità” (Gv 18,37), conservando in modo irreprensibile la carità, la pazienza, la mitezza, e lasciandoci il suo mirabile esempio “perché ne seguiamo le orme” (1Pt 2,21).
Con la sua morte e risurrezione Gesù ci ha ottenuto di poter effettivamente seguire le sue orme, grazie al dono dello Spirito Santo (Rm 5,5). Lo Spirito, infatti, opera una sorta di “connaturalità tra l’uomo e il vero bene, che si radica e si sviluppa negli atteggiamenti virtuosi dell’uomo stesso” (Enciclica “Veritatis splendor”, n. 64). In pratica ci fa “conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento” della carità cristiana, cioè il comandamento nuovo di Gesù: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12).
Lo Spirito è il dono del cuore nuovo annunciato dai profeti, vale a dire la coscienza nuova del cristiano, reso partecipe del pensare, del sentire e dell’amare di Cristo stesso (cf 1Cor 2,16; Fil 2,5).
La recente beatificazione del cardinal J. H. Newman ha dato modo a Benedetto XVI di ribadire la verità sulla coscienza, quella che Newman espresse con profonda ed elegante finezza nella famosa frase della Lettera al Duca di Norfolk: “Certamente, se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”.
Già nel 1990 Joseph Ratzinger spiegava così il significato di questo brindisi in due tempi: “La libertà di coscienza non si identifica affatto col diritto di dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto” (28 aprile 1990, Discorso per il centenario della morte di Newman).
Un esempio attuale e drammatico di coscienza incompletamente illuminata sono coloro che ritengono cosa giusta rimettere alla coscienza individuale la decisione dell’eventuale rifiuto omicida della vita già concepita nel grembo, o approvano la tecnica disumana della fecondazione artificiale, o hanno giustificato l’uccisione di Eluana Englaro. A queste persone (che possono essere in sincera, ma gravemente erronea “buona fede”), direi con Newman: la retta coscienza non brinda mai anzitutto per se stessa, ma brinda prima per la vita e poi per se stessa.
Il valore-vita, essendo il più fondamentale fra i diritti umani è, sì, affidato alla coscienza di tutti, ma non dipende dalla coscienza. La coscienza, infatti, è voce del cuore, ma di un cuore percorso dalla luce eterna ed immutabile della Verità.
Torniamo alla Lettera di Paolo, in particolare alle prime parole del versetto 6,11: “Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose..”. A quali cose si riferisce l’apostolo? Il versetto precedente ne parla: “L’avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1Tim 6,10). Si tratta dunque dei frutti cattivi (l’abbandono della retta fede e le conseguenze) di un albero pessimo: l’avidità del denaro, intesa come idolatria di quel potere-possesso sulla vita che suggerisce alla coscienza di non avere bisogno di nulla e di nessuno. Trattandosi perciò della presunzione diabolica dell’autosufficienza della creatura dal Creatore, l’avidità del denaro prepara un destino infinitamente tormentoso: l’eterna separazione da Dio.
Lo rivela Gesù narrando la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro.
Anzitutto va precisato che “il ricco, nella Bibbia è l’ateo pratico: ha fatto di sé il centro di tutto, si è messo al posto di Dio. Richiama per certi aspetti Erode, vestito splendidamente, che banchetta e si gonfia facendosi acclamare come dio. E’ il contrario di Gesù, che da ricco che era, si fece povero, si svuotò di sé e si fece tapino” (Silvano Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, p. 573).
Perciò la parabola non deve sembrarci qualcosa di estremo e di estraneo al nostro ambiente sociale. Infatti oggi l’ateismo pratico è culturalmente considerato un valore civile e un segno di libertà. Atei pratici sono tutti coloro che vivono come se Dio non esistesse, o, se esistesse, come se non avesse niente a che fare con il nostro mondo e la nostra storia personale. Sono quegli stolti che preferiscono credere all’assurdo della creazione dal nulla piuttosto che ricercare umilmente l’Autore di tutte le cose a partire dalla stupefacente bellezza della natura.
Perciò il Vangelo del ricco epulone non riguarda solo chi ha il portafoglio pieno, ma anche chi, avendolo vuoto, non è ricco di misericordia.
Ha scritto Papa Ratzinger: “Il Signore ci vuole condurre da un’intelligenza stolta alla vera sapienza, ci vuole insegnare a riconoscere il vero bene. Il ricco epulone era un uomo dal cuore vuoto, che nei suoi stravizi voleva solo soffocare il vuoto che c’era in lui: nell’al di là viene solo alla luce la verità che era ormai presente anche nell’aldiquà. Naturalmente questa parabola, risvegliandoci, è al contempo anche una esortazione all’amore che dobbiamo donare ora ai nostri fratelli poveri..” (in “Gesù di Nazaret”, p.253).
Il cuore vuoto non è altro che la coscienza dell’uomo che ha lasciato soffocare dentro di sé la voce naturale e divina della Verità, sostituendola a poco a poco con la propria. Se costui muore in questo stato volontario, anziché entrare per sempre nella Vita, entrerà nella morte eterna, che è l’infinito strazio ontologico della separazione dal Padre, fonte di ogni Bene.
Ce lo fa intuire il particolare, materialmente incomprensibile, del sollievo supplicato dal ricco immerso nei tormenti: “manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma” (Lc 16,24).
Il ricco, la cui coscienza rimaneva insensibile alla vista delle piaghe di Lazzaro leccate dai cani, chiede ora un inconsistente refrigerio. Il fuoco eterno lo ha reso tanto sensibile all’arsura da accontentarsi di una briciola d’acqua nelle fiamme, lui che negava le briciole di pane a chi moriva di fame sotto i propri occhi. Ora la sua coscienza è tornata viva e sensibile, e riconosce che è stata l’avidità del denaro a condurlo nell’inferno, ma non c’è più speranza.
Ma noi, che siamo ancora in tempo, preghiamo così: “O Verità che illumini il mio cuore, fa’ che non siano le tenebre a parlarmi! Mi sono smarrito, ma mi sono ricordato di Te. Ho sentito la tua voce alle mie spalle che mi diceva di tornare indietro: l’ho sentita a malapena, a causa del tumulto interiore dell’inquietudine, ma ecco che ora torno assetato alla tua fonte. Non devo essere io la mia vita: da me sono vissuto male, sono stato morte per me stesso; in Te ritorno a vivere. Parlami Tu, istruiscimi” (dalle Confessioni di sant’Agostino).
Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

lunedì 20 settembre 2010

APPROFONDIMENTO / PRESTO UN LIBRO CON COMMENTI DEL PAPA SU VARIE QUESTIONI

Il giornalista tedesco Seewald
ha incontrato il Pontefice a luglio
Di Paolo Pegoraro
31 agosto 2010
Tratto da ZENIT.org
Pochi mesi prima che Benedetto XVI inaugurasse l’Anno Sacerdotale era uscito uno dei pochi romanzi italiani contemporanei con protagonista un parroco. Il ragazzo che credeva in Dio di Vito Bruno (Fazi 2009) è la storia di don Carmine, sacerdote tarantino alla soglia dei cinquanta, travolto da una «normalità implacabile» e dall’«orgia di dolore» nella quale si dibattono i suoi parrocchiani.
Carmine non ha smesso di credere in Dio, però non lo avverte più con quell’ardore che, nell’adolescenza, lo aveva spinto a entrare in seminario. Cosa succede quando avvertiamo il vacillare del nostro “stato di grazia”? È possibile restare fedeli alle promesse della propria giovinezza? Il romanzo attraversava la crisi immergendosi nella vita di altre persone: nessuna perfetta, nessuna intangibile al dolore, tutte – in fondo – accomunate dalla tentazione della resa alla disillusione. Tutte che guardavano a don Carmine per avere una risposta. La risposta offerta nelle ultime pagine, lontana dal granitico eroismo di molti preti della letteratura, era comunque pudica e credibile: sì, con il sostegno di una comunità è possibile tornare a intuire la bellezza semplice e immediata della propria fede. Ed è possibile continuare a trasmetterla.
Il libro successivo di Vito Bruno – L’amore alla fine dell’amore (Elliott 2010) – compie un salto imprevedibile. Non solo perché racconta una vicenda reale, quanto perché racconta una vicenda imprevedibile per lo stesso autore, lasciato dalla moglie pochi mesi dopo la pubblicazione del romanzo. Basta la formuletta magica del “Non ti amo più” per passare la spugna su tre anni di matrimonio, la nascita di un figlio, e reclamare indietro la propria vita da rifarsi altrove, finché si è in tempo. Così, dopo anni di «impronunciabile felicità», si piomba nelle trincee di una «guerra di logoramento». E Bruno si trova traumaticamente ad affrontare – stavolta nella vita reale – le domande poste nel precedente volume: come affrontare l’esaurimento di uno “stato di grazia”? E soprattutto: è possibile restare fedeli alle proprie promesse quando a entrare in crisi non è la propria volontà, ma quella del coniuge, ostinatamente convinta alla separazione?
Per darsi una risposta, Bruno ripercorre le tappe della storia d’amore: gli anni di fidanzamento, l’acquisto della casa, il matrimonio, la nascita del piccolo Giovanni, le speranze legate alla pubblicazione del romanzo. Il sospetto dello sgretolamento di una relazione troppo chiusa: «non potevamo continuare a nutrirci di noi stessi». E si resta sorpresi da una scrittura vulnerabile, al limite dell’ingenuo, quasi incapace di schermarsi dietro l’artificio della bella parola. Una lingua che non cerca altro se non la propria autenticità emotiva, che passa con naturalezza da toni intimi e pacati a esclamazioni bambinesche di gioia. Una lingua disarmata e disarmante, dettata non dall’introspezione analitica o dai vetrini della psicologia, ma concepita piuttosto secondo i tempi naturali del rimargino di una cicatrice. Alla ricerca di nuovi equilibri quando ogni equilibrio è evidentemente impossibile.
Una lingua che conosce pure le accensioni del sangue su ciò che considera irrinunciabile. Passi pure – pur con tutto il dolore che comporta – che la persona amata decida senza motivo di andarsene. Passi pure – con una stizza di fastidio – l’assegno di mantenimento. Passi pure – e qui le spalle possono franare – l’assegnazione della propria casa, conquistata dopo un mutuo decennale, e la nuova ricerca di un tetto. Basterebbe già questo per far crollare una persona. E le pagine nelle quali l’autore, in una notte d’agosto, incontra alcuni barboni e li intuisce come suo possibile futuro, non sono l’allucinazione di un attacco d’ansia: si stima che a Roma i papà-clochard siano circa 5mila. In Italia sono circa 4 milioni, dei quali 800mila sotto la soglia della povertà: basta fare un giro in una qualunque struttura di assistenza.
Tutto questo l’autore sembra disposto in qualche modo a digerirlo. Perché, nonostante tutto, la gratitudine per il tempo trascorso insieme non è evaporata nel nulla: «E cosa ti potevo dire adesso? Cosa posso rimproverarti? Niente. Devo solo ringraziarti per quello che mi hai dato e basta». Quello che l’autore non può digerire è l’assegnazione automatica del figlio. Perché il bambino dovrebbe andare alla madre, se è lei che ha deciso di andarsene? Eh, già. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat, il 73,3% delle separazioni viene richiesto dalle mogli, ma quasi sempre (95%) i figli sono dati in affido alla madre. Per la tutela del bambino. Come se l’istinto materno fosse una garanzia assoluta. Un punto risaputo, scontato. O, forse, solo un luogo comune che la tanto declamata emancipazione sociale ha provveduto a sgretolare dal suo interno.
Tornando così alla domanda iniziale: come affrontare il momento di crisi innescato dalla fine di uno “stato di grazia”? Attraverso la memoria e le prove che quel tempo non è stato illusione. E la speranza che, se “la grazia” si è manifestata oggettivamente in passato, può tornare a ripetersi in futuro. Restare in contatto con il proprio bambino è vitale per l’autore perché, anche se il mondo intorno frana, quel figlio è la prova concreta che il suo matrimonio non è stato tempo gettato via, un errore irrimediabile, anni da cancellare e dimenticare. Il dolore non è possibile buttarlo via – dice don Carmine alla fine del romanzo Il ragazzo che credeva in Dio – perché sarebbe come buttare via se stessi. Perché gli esseri umani sono «un impasto di carne e tempo»: la carne non si cancella, il tempo vissuto neppure. Bisogna imparare a portarselo appresso, «trattenerlo, viverlo come se davvero nascondesse un segreto da scoprire, è l’unico modo che abbiamo per possederlo, per non farci possedere...».
Un assaggio dell’opera
Ricordi?, sempre quella notte maledetta, quando ti sei rassicurata che non t’avrei uccisa – non subito almeno – hai aggiunto: «E poi è meglio se ci separiamo adesso che nostro figlio ha un anno e mezzo. Così si abitua subito».
Mi si è ghiacciato il sangue.
Con la tua solita disinvoltura e leggerezza stavi dicendo che era un bene se nostro figlio non avrebbe mai avuto neanche il ricordo di una famiglia, neanche un’immagine nella sua vita di due persone che si sono volute bene, neanche una bella favola da rimpiangere.
No, disamore da subito, l’immagine di due persone divise, che non sono mai state – a sua esperienza e memoria – una coppia che l’ha generato per amore. Un figlio sbattuto a un anno e mezzo davanti al cinismo e all’egoismo, caso mai si facesse illusioni che nella vita ci sia anche altro. Amore, per esempio. Un figlio svezzato alla disaffezione, educato alla grammatica oscena della separazione. Per questo avevi fatto sparire dalla circolazione la foto di noi tre a Villa Borghese, che ci aveva scattato Carmen in una serena domenica di sole. Che non restassero tracce del nostro legame, di un momento di serenità, tutt’e tre insieme.
Eppure tu, a differenza dei tuoi fratellastri, sei l’unica figlia di due persone che non si sono mai lasciate, e sei disposta anche a uccidere se qualcuno avanza il più piccolo dubbio o proietta la più piccola ombra sul legame d’amore di quei due. La tua cameretta di ragazza è piena di foto di te, a tutte le età, insieme ai tuoi genitori. Com’è che ciò che va bene per te non va bene per nostro figlio? Com’è che adesso andavi a teorizzare i vantaggi e i benefici di una separazione precoce – solo un anno e mezzo! – che rispetto alla tua esperienza di bambina sono una bestemmia? Fosse solo per questo, forse non è poi così sicuro che sei tu la persona più adatta a mettere a letto mio figlio tutti i santi giorni e a dargli il bacio della buona notte.
E poi chissà chi starà al tuo fianco in futuro, quale uomo avrà il privilegio – che a me sarà negato per sempre – di dormire nella stessa casa di mio figlio. E poi sarà uno solo? Se devo prendere a metro di paragone le persone a te più vicine, la tua amica del cuore ad esempio, gli uomini resistono dai due ai tre anni, poi si ricomincia da capo – la passione, si sa, è merce facilmente deperibile – e ogni volta bisogna spiegare alla bambina che è entrata in intimità con quel vice-padre che è stato solo un gioco, che i rapporti che si sono costruiti con altri bambini di quella “famiglia allargata” pro tempore vanno per ovvi motivi – come diavolo glieli spieghi quei motivi? – troncati, o quanto meno messi in frigorifero per un certo periodo, che se poi si sarebbero incontrati di nuovo da grandi, allora avrebbero capito – che cosa capiranno non si sa –, ecco mio figlio, con questo metro di paragone, ha buone probabilità che fino a diciotto anni conoscerà diversi vice-padri, che gli staranno accanto ogni giorno durante la rispettiva permanenza in carica, faranno vacanze insieme, festeggeranno il Natale, qualche compleanno, e gli trasmetteranno le loro idee e i loro valori.
Ora già solo il rischio che mio figlio, a contatto con questi emeriti sconosciuti, possa diventare laziale o juventino, mi fa girare le scatole.
Figuriamoci per le cose che contano: gli ideali, il senso della vita, il senso della famiglia – sì, hai ragione, sono un vecchio rudere fuori dalla storia. Me lo ripete sempre Maria, ma lo so benissimo da me. D’ora in avanti dovrò combattere in una posizione di totale debolezza e inferiorità per cercare di lasciare qualche timida traccia di me in mio figlio.
[...] Io voglio continuare a stare accanto a mio figlio per nutrirmi di lui, per scoprire giorno per giorno i progressi che fa, le prime parole che dice, i primi goal che segna in una porta vera, per farmi stupire dai suoi abbracci, per addormentarci insieme sotto un albero d’ulivo come quest’estate in campagna da mia sorella, per continuare il corso di nuoto iniziato a luglio sulle spiagge di Monopoli, per passare le domeniche mattina a giocare a braccio di ferro nel lettone come facevo con mio padre, per sgridarlo quando fa i capricci, per fare pace con un abbraccio a caposotto, per giocare ad arriccianasicchio, per scoprire insieme il gusto del gelato alle more.
Che altro è la vita se non questa?
Che altro vuol dire essere padre se non occuparsi della vita che si è generata, se non meritarsi giorno per giorno il suo affetto, affrontare insieme i problemi che la vita pone, grandi o piccoli che siano?
Paolo Pegoraro (Vicenza, 1977) si è laureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e in Letterature comparate presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Collabora da anni alle pagine culturali di numerose riviste, tra cui L'Osservatore Romano, La Civiltà Cattolica e Famiglia Cristiana.

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (95) - PROMUOVERE LE IMPRESE PER SCONFIGGERE LA DISOCCUPAZIONE

Di mons. Angelo Casile
1° aprile 2010
Tratto da ZENIT.org
L'enciclica Caritas in Veritate sottolinea il nesso diretto tra povertà e disoccupazione come «risultato della violazione della dignità del lavoro umano» (CV 63), perché l’uomo viene limitato nella possibilità di esprimersi e sia perché vengono svalutati i diritti che scaturiscono dal lavoro, «specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia».[1]
La disoccupazione può essere sconfitta solo se si creano posti di lavoro, solo se esistono imprenditori che scommettono sulla riuscita della loro impresa. Esistono profondi legami tra l’impresa e il territorio su cui opera. La gestione dell’impresa deve caratterizzarsi per una responsabilità sociale che tenga conto non solo degli «interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento» (CV 40). Fare impresa è fare un patto per la crescita del territorio.
I problemi della mobilità lavorativa e della deregolamentazione sono stati causati dalla «ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni». La mobilità anche se da una parte è «capace di stimolare la produzione di nuova ricchezza e lo scambio tra culture diverse», dall’altra genera «incertezza circa le condizioni di lavoro» e crea «forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio» (CV 25).
La delocalizzazione non è lecita, se realizzata per «godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento». Può essere positiva se comporta del bene alle popolazioni del Paese che la ospita, investimenti e formazione alla società locale, «un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile» (CV 40).
Promuovere il turismo e la cooperazione
L’essere estromessi dal lavoro per lungo tempo o anche la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale». È importante ribadire che: «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”[2]» (CV 25).
Promuovere il turismo può costituire un impegno lavorativo a misura d’uomo, un notevole fattore di sviluppo economico e di crescita culturale», se non diviene «occasione di sfruttamento e di degrado morale» e se offre l’opportunità di «esperienze imprenditoriali significative», che, combinate con la cultura del territorio e attente all’educazione, siano capaci di «promuovere una vera conoscenza reciproca… grazie anche ad un più stretto collegamento con le esperienze di cooperazione internazionale e di imprenditoria per lo sviluppo» (CV 61).
Anche la cooperazione può essere vincente se si pone al servizio dell’economia reale e dei bisogni delle persone attraverso microprogetti, che vivono in profonda armonia con il loro territorio e sulla «mobilitazione fattiva di tutti i soggetti della società civile, tanto delle persone giuridiche quanto delle persone fisiche». C’è bisogno di persone che vivano il «processo di sviluppo economico e umano, mediante la solidarietà della presenza, dell’accompagnamento, della formazione e del rispetto» (CV 47) ed agiscono in campo economico e finanziario «in modo etico così da creare le condizioni adeguate per lo sviluppo dell’uomo e dei popoli… Se l’amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giusta convenienza, come indicano, in maniera significativa, molte esperienze nel campo della cooperazione di credito» (CV 65).
In queste espressioni non possiamo non ritrovare le peculiarità del Progetto Policoro.
Accogliere gli immigrati
Un altro campo su cui poter concentrare la propria azione è quello dell’organizzare, nella legalità, l’accoglienza e il lavoro degli immigrati. Il fenomeno delle migrazioni è un problema che merita tutta la nostra attenzione: «impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale». Occorre puntare su lungimiranti politiche di cooperazione internazionale, «salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».
I lavoratori stranieri apportano un «contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie. Ovviamente, tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione»[3] (CV 62).
Ricordiamoci delle parole solenni di Paolo VI: «Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il Nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente».[4] Parole riprese da Giovanni Paolo II: «Nella Chiesa nessuno è straniero, e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e in nessun luogo».[5]
Costruiamo insieme un nuovo umanesimo
Il nostro impegno a favore della promozione del lavoro va vissuto alla luce di un’affermazione di Benedetto XVI: «solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale» (CV 78).
Occorre riconoscerci figli di Dio per poter promuovere sviluppo, far rifiorire la speranza nei cuori, puntare sull’educazione dell’uomo e sulla promozione di un nuovo umanesimo, vivere la fraternità, e assumere la virtù della speranza come compito quotidiano.
Ciascuno di noi deve riscoprire l’invito antico e perenne di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). «Conversione è andare controcorrente, dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù… La conversione è il “sì” totale di chi consegna la propria esistenza al Vangelo, rispondendo liberamente a Cristo che per primo si offre all’uomo come via, verità e vita, come colui che solo lo libera e lo salva».[6]
Lo sviluppo di ciascuno di noi e delle nostre comunità «ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera» (CV 79) poiché «senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia» (CV 78). Il vero sviluppo umano integrale è impossibile senza uomini retti che si impegnino nella fraternità, nella solidarietà e nella sussidiarietà, che privilegiano l’educazione guidata da una visione integrale dell’uomo, per un lavoro “decente” per tutti, nella cooperazione sociale basata sulla convivialità, nell’economia e nella finanza finalizzate al sostegno di un vero sviluppo.
Per promuovere il lavoro nelle nostre terre, occorre anzi tutto rinnovare i nostri cuori, essere uomini nuovi, per poter usare a pieno della nostra intelligenza e del nostro cuore, talenti che il Signore ci ha donato per farne un dono gratuito e quotidiano a noi stessi, agli altri e a Dio stesso.
Gesù, divin lavoratore, accompagni il nostro cammino e ci aiuti a realizzare la Sua opera: donare Dio al mondo nella carità e nella verità.
Mons. Angelo Casile è Direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.
Note
1) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 8.
2) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 63.
3) Cfr Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Istr. Erga migrantes caritas Christi, 3 maggio 2004.
4) Omelia per Messa della chiusura del Concilio, 8 dicembre 1965.
5) Messaggio per la Giornata Mondiale dell’Emigrazione, 25 luglio 1995.
6) Benedetto XVI, Udienza generale, 17 febbraio 2010.

martedì 14 settembre 2010

CARTA CANTA (3) - A SANT' ANTONIO, PROTETTORE DI MELISSANO, IL COMUNE PARTECIPA SOLO CON 500 EURO



Clicca sulle immagini per ingrandirle
In attesa di confermare la somma di 500,00 Euro come unico contributo offerto dal Comune di Melissano per la realizzazione di una Festa Patronale, a quanto è dato di sapere, il Comune di Ruffano ogni anno offre intorno ai 10mila Euro (quest’anno sembra che abbia aggiunto altri 2mila Euro per l’arrivo in città della reliquia di S. Antonio).
L’Amministrazione Comunale di Alliste sembra che offra 2mila Euro per la realizzazione dei festeggiamenti di S. Antonio a Felline e 4mila Euro per la patronale di San Quintino.
Presto conosceremo quanto offrono ai loro patroni le Amministrazioni di Taurisano, Taviano, Matino, Ugento, Casarano e Racale.

CARTA CANTA (2) - UNA DOVEROSA CORREZIONE IN MERITO AL CONTRIBUTO ECONOMICO OFFERTO DAL COMUNE AL COMITATO DI SAN LUIGI


Clicca sulle immagini per ingrandirle
Nella prima parte di questa rubrica scrivevo questo:
"A SANT'ANTONIO, PROTETTORE DI MELISSANO,
COME A SAN LUIGI, IL COMUNE PARTECIPA
SOLO CON 500 EURO
Festa Patronale o no, il Comune offre solamente 500,00 Euro.
Da un Comune poverello non può che scaturirne un'offerta poverella. Anche se il denaro per i comitati non c'è ma per altre cose si trova sempre.
Cari cittadini, avete mai provato a domandarvi quante migliaia di Euro offrono le amministrazioni dei paesi limitrofi per S. Quintino, San Martino, San Sebastiano, San Giorgio?
Provate a chiederlo per sola curiosità ad amici e parenti che festeggiano a casa il loro Santo Patrono.
La cosa più assurda però è che nell'ultimo manifesto del Sindaco si legge: "...L'Amministrazione Comunale, nonostante le tante difficoltà, sosterrà sempre chi, animato di buona volontà, lavorerà per il bene comune."
Caro Sindaco, ma lo pensi seriamente (e la cosa preoccupa un pò tutti) oppure lo pensi per guadagnarti forse qualche fettuccia di elettorato che hai perso in questi anni?
Potremmo farci un'idea del motivo che ti ha portato a ringraziare il comitato con il manifesto e ad autocelebrarti paragonando una festa patronale ad una serata sotto la torre con tamburelli e tarallucci e vino!"
Mi sono accorto che a questa delibera di Giunta Comunale ne è seguita una seconda, la N. 163 del 29 Giugno 2010 ed intitolata CONCESSIONE ULTERIORE CONTRIBUTO PER FESTEGGIAMENTI S. LUIGI GONZAGA 2010.
Con questa delibera il Comune ha concesso ulteriori 700,00 Euro, che si sommano ai precedenti 500,00 per un totale di 1.200,00 Euro.
Ecco la motivazione: "Il Cassiere pro-tempore del comitato ha chiesto un contributo economico straordinario, in considerazione che il 21 giugno, a causa delle avverse condizioni metereologiche, non si è potuto, in occasione dei festeggiamenti di San Luigi, incassare quanto preventivato in bilancio".
Tanto si doveva a voi lettori, per correttezza.
Non mi risulta che, al momento, sia stato chiesto contributo economico straordinario da parte del Comitato Festa Patronale, all'infuori dei 500,00 Euro che il Comune ha concesso.

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - A SORPRESA CI AVETE SCRITTO VERAMENTE IN TANTI, MELISSANO PENSIERI LIBERI VI RINGRAZIA PER LA GRANDE PARTECIPAZIONE

Mentre viaggiano di nascosto alcune e-mail da parte di un componente del comitato Festa Patronale per "condannare" forse chi si è espresso con post e commenti a favore della causa "Si alla festa in via Casarano, no alle giostre sulla testa dei nostri morti" (sicuramente ed ancora una volta il parroco di Melissano, don Antonio Perrone, è all'oscuro di certi atteggiamenti ingrati e che nulla hanno a che fare con quelli di chi cerca di imitare cristianamente le virtù di un Santo che si vuole onorare con il proprio servizio), MELISSANO PENSIERI LIBERI non può fare altro che ringraziarvi di vero cuore.

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - ALESSANDRO E' D'ACCORDO, MARIA ROSARIA E MONICA GLI RISPONDONO PER LE RIME SU FACEBOOK

ALESSANDRO: "Non sono d'accordo su questa discussione perchè la festa è stata un gran successo, anzi le persone che ho trovato in giro non dicevano altro che hanno fatto bene a metterle li perchè i bambini erano al sicuro c'era posto per le macchine ed è un posto chiuso non come la via di racale che è un posto pericoloso per le macchine che passano, percio' secondo me la scelta va bene anche perchè così i titolari delle giostre hanno potuto avere piu' affluenza di gente."
MARIA ROSARIA: "E beh sui bambini al sicuro... c'era chi vegliava su di loro, ah ah!!! :)) battute a parte: la festa la fate al cimitero? NO GRAZIE!"
STEFANO GIUSEPPE SCARCELLA: "MORALE DELLA FAVOLA: Viva i bimbi nelle cappelle, posto tranquillo e sicuro per i genitori???!!!"
MONICA: "Quando Melissano si mette fà le cose in grande. Complimenti! Nn bastava il luna park adesso il circo. Chissà domani quale nuova trovata!"

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - PIERO, GRAZIANO ED ELSA NON SONO D'ACCORDO E CI HANNO SCRITTO SU FACEBOOK

PIERO: "INSIEME AL GETTONE OMAGGIO PER LE GIOSTRE, POP-CORN E COCA-COLA...'TACCI LORO...COMUNQUE MELISSANO E' UN PAESE PARTICOLARE, NON PER QUESTA ERA ETICHETTATA IL CREMLINO DEL SALENTO...NON SI HA RISPETTO PIU' DI NULLA: NON SI HA PIU' DIGNITA MORALE, SI SONO PERSI I VALORI...IO ME LA PRENDO CON CHI CRITICA CERTI GOVERNANTI E POI NE VOTA DI PEGGIO...FANK...SCUSATEMI EH: MA ALLORA CHE LO VOTATE A FARE???"
ELSA: "Giusto ma chissà con quante chiacchiere sono stati ubriacati i melissanesi! Oggi promesse e chiacchiere sono molto in uso nel nostro paese..."
GRAZIANO: "Io ho una proposta, visto che non si può esprimere un voto sul favorevole o contro accostamento cimitero - Gardaland, perché non iniziare ad andare al cimitero solo per i defunti? Se i giostrai o quelli del circo non vedono introiti, saranno i primi a dire: "No, al cimitero non CI ACCAMPIAMO" perché oltre ad essere offensivo è anche ANTI ECONOMICO."
STEFANO GIUSEPPE SCARCELLA: "Per arrivare a questo è necessario muovere una campagna però... E comunque, Graziano, grazie per la proposta. Io per esempio, conosco una decina di famiglie che l'anno prossimo non intendono dare un centesimo a quelli del comitato..."
GRAZIANO: "Giusto, questa è un altra proposta, quando passano a chiedere i soldi, se alla domanda: "La festa la fate al cimitero..." allora non contribuisco...".

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - MARIA CRISTINA DA TAVIANO NON E' D'ACCORDO E CI HA SCRITTO SU FACEBOOK

MARIA CRISTINA: "Ne avevo sentito parlare feste, giostre e perchè no anche il circo al cospetto dei morti... e che si fà quando una moglie, un figlio o un parente vanno a piangere i propri congiunti in quella che dovrebbe essere un'isola di pace e rispetto si ottiene un gettone per un giro gratis o un biglietto omaggio??? Capisco che il paese in espansione non possa andare tanto per il sottile ma c'è o ci dovrebbe essere un limite a tutto. A Taviano cretinate simili non ne ho ancora viste."
MARIO: "Grazie Maria...questo è l'esempio che diamo ai paesi limitrofi."

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - SPETTACOLO E ANIMALI, SILENZIO E DEFUNTI: TUTTO FA BRODO!





Clicca sulle immagini per ingrandirle

CARI INSEGNANTI, CARI STUDENTI, CARI GENITORI, BUON ANNO DA "MELISSANO PENSIERI LIBERI" / LETTERA PER L'INIZIO DELL'ANNO SCOLASTICO

Di mons. Giampaolo Crepaldi
2 settembre 2010
Tratto da ZENIT.org
Rivolgo un saluto augurale all’intera comunità scolastica della nostra Diocesi, Città e Provincia di Trieste, all’apertura delle Scuole di ogni ordine e grado che impegna gli insegnanti, gli alunni, il personale e ovviamente le famiglie. In questo tempo in cui l’emergenza educativa è sotto gli occhi di tutti è doveroso che le persone che animano le istituzioni di ogni ordine e grado e le varie agenzie educative si dispongano a progettare i loro percorsi e la stessa didattica tenendo presente che questa situazione di crisi si può efficacemente affrontare con la ferma determinazione a finalizzare l’insegnamento a risposte di verità e di senso, per il bene di tutti, soprattutto dei bambini e dei ragazzi che riprenderanno il cammino scolastico.
A voi Insegnanti
che accompagnate i nostri ragazzi alla scoperta dei tesori del nostro patrimonio letterario, storico, matematico, scientifico, geografico, filosofico, artistico, linguistico, pedagogico, religioso ed etico, auguro che le vostre competenze e fatiche possano essere ben ripagate da un soddisfacente profitto, non solo scolastico. Di fronte alla crisi educativa che oggi più che mai si fa sentire, è importante la ricerca, da parte di tutti gli operatori culturali, di modalità interdisciplinari che facilitino concrete collaborazioni attive anche tra docenti e discenti, per un’educazione che interessi ogni ambito della formazione delle persone che sono inserite nel progetto scolastico, percorso insostituibile per la crescita di ogni persona e per il suo inserimento attivo nel tessuto della società civile.
A voi, Insegnanti delle Scuole dell’infanzia, è affidato il compito di far sperimentare ai bambini che accanto alla famiglia vi sono altre realtà e persone con le quali relazionarsi nel gioco e nella conoscenza delle cose. Senza mortificare altre credenze religiose, non trascurate di coltivare nei bambini una genuina sensibilità religiosa, rispettosa delle nostre tradizioni culturali, fatte anche di segni e di festività.
Agli Insegnanti della Scuola primaria raccomando di facilitare la reale comprensione della fraternità e dell’uguaglianza attraverso la cultura cristiana che si fonda in Dio, Trinità d’amore misericordioso, creatore e redentore di tutti. Nel contesto della globalizzazione si trovano oggi accanto bambini di etnie, culture e spiritualità diverse e non è certo impresa facile farli socializzare tra loro. La vostra finalità educativa prioritaria sia sempre quella di farli sentire parte della stessa grande famiglia umana, dove la diversità è realmente considerata una risorsa a beneficio di tutti.
Agli Insegnanti delle Scuole Medie rivolgo il mio appello affinché aiutino i loro allievi a evolvere sul piano della vita affettiva e di relazione indicando e facendo sperimentare loro il valore dell’impegno e del sacrificio nello sviluppo di personalità umanamente ed eticamente ricche, per sé e per gli altri. La famiglia, la scuola, gli oratori, i ricreatori, gli ambienti sportivi e religiosi devono collaborare insieme così che i ragazzini possano ridimensionare il tempo e il senso che assegnano agli interscambi virtuali, perché vengono loro offerti luoghi e modi per apprezzare gli sport e le attività fisiche, la buona musica, le esperienze delle relazioni umane concrete e le opportunità di vita comunitaria.
Invito gli Insegnanti delle Scuole Superiori a tener sempre molto presente il loro potere di influenzare gli interessi dei giovani per le varie discipline e anche l’orientamento dei loro allievi su temi etici, scientifici, sociali, religiosi, civici. Offrite ai giovani di Trieste il valore cardine della verità sulla persona e sul senso della vita; proiettateli nella dimensione responsabile e oblativa dell’amore; siate di fronte a loro testimoni di rispetto di ogni cultura, etnia e fede; di lealtà verso le Istituzioni; di attenzione verso chi è più debole o indifeso; di sapiente ascolto della retta coscienza che porta all’agire morale, degno della persona umana di ogni cultura, fede e tradizione.
A voi Studenti
Invoco la protezione dei Santi Angeli del Signore sui piccoli della Scuola dell’infanzia, figli benedetti delle famiglie della nostra Trieste, appartenenti alle diverse religioni, culture ed espressioni linguistiche.
A voi tutti alunni della Scuola Elementare giunga la mia benevolenza e particolare benedizione del Signore.
Auguro ai bambini della prima elementare di vivere con gioia questa novità che li porterà a saper scrivere il proprio nome e a imparare a leggere. Ai ragazzi di terza e di quarta che, oltre alle tante conoscenze scolastiche apprenderanno nella loro Comunità la bellezza della fede cristiana e si prepareranno alla prima Comunione, dico: mettetevi con gioia e generosità alla scuola di Gesù e del Suo Vangelo.
A voi ragazzi delle medie mi rivolgo per incitarvi a vivere il grande cambiamento che sta avvenendo in voi come qualcosa di veramente bello e grande. Come fate a capire se siete veramente importanti per gli altri ora che vi vedete così cambiati? Vi insegno una formula semplice semplice: siete importanti per chi vi rispetta come persone e non vi cerca come “cose”. Non chiudete il vostro animo a quella voglia di vivere che proviene dall’impegno con voi stessi e per gli altri, non escludetevi dalla ricerca di Dio, che è il vero autore e regista della vita meravigliosa che state sognando di vivere da protagonisti.
A voi, ragazzi delle superiori, auguro di vivere a pieno questa vostra stagione di vita, un tempo meraviglioso in cui l’orizzonte delle prospettive culturali, sociali, spirituali e relazionali si apre a trecentosessanta gradi. Quante speranze albergano nel vostro cuore! Certo siete consapevoli delle difficoltà, della crisi in cui versa il nostro Occidente. Avete coscienza delle difficoltà, non solo economiche, presenti negli ambienti familiari. Vorreste più giustizia. Andate alla pace. Siete attratti da questo o quel modello di vita o di società. State elaborando i vostri criteri valutativi delle persone, dell’amore, della società, della comunità civile, della comunità internazionale. della religione. Siate pensosi e generosi! Amate la vita vostra e altrui. Non chiudete il cuore a Dio e a chi è impoverito. Sappiate dare tempo a voi stessi per gli studi, le relazioni, l’esperienza religiosa e il volontariato. Sappiate essere critici e umili insieme. Vi aspetta la vita da adulti. Preparatevi sapendo che senza valori soffrirete e farete soffrire. In una società senza Dio, l’uomo è a rischio in tutti gli aspetti della sua vita. Guardate in alto. Non abbiate paura di Dio. Lui è il criterio dei nostri criteri.
A voi genitori
che seguite i vostri figli con attenzione e amorosa preoccupazione e avete con loro e per loro individuato un percorso scolastico per la loro crescita umana, spirituale e civile, chiedo di trovare il tempo per una fattiva collaborazione con la scuola, gli ambienti religiosi, quelli sportivi e ricreativi, perché i vostri figli possano sentire la loro famiglia coinvolta nella progettualità della loro crescita. Occupatevi della buona educazione a trecentosessanta gradi per i vostri figli: accanto alla dimensione culturale, sociale, sportiva preoccupatevi di quella etica e di quella spirituale, tanto importanti per il presente e il futuro. A tutti i genitori chiedo, con l’autorità legata al mio ministero di Pastore, di non trascurare mai alcuno dei doveri verso i figli.
All’inizio dell’anno scolastico 2010-2011, indirizzo questi pensieri beneauguranti, a voi Insegnanti e Studenti, ma anche a tutto il Personale di tutte le scuole, di ogni ordine e grado, della nostra Città e Provincia, appartenenti alla Diocesi di Trieste. Tutti vi affido alla protezione di Maria, Vergine prudentissima e potente nell’intercedere, Madre della divina grazia, Sede della Sapienza: possa questo nuovo anno scolastico essere per ciascuno di voi un tempo di crescita «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
Tutti vi porto nel cuore e in nome di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro vi benedico.
Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

NUOVI SPUNTI SULLA "CARITAS IN VERITATE" (94) - RIFLESSIONI PASTORALI SULL'ENCICLICA

Di Stefano Fontana
9 settembre 2010
Tratto da ZENIT.org
La “Caritas in veritate” doveva essere un’enciclica sullo sviluppo e, secondo il disegno originario, avrebbe dovuto commemorare il 40mo anniversario della Populorum progressio (PP) di Paolo VI. Non temo però di dire che essa è ben più che una enciclica sullo sviluppo. A mio modo di vedere il suo tema è “il posto di Dio nel mondo”, e il guardarsi reciproco tra Chiesa e mondo, fede e ragione, natura e sopranatura. Nella CV la questione sociale non solo diviene la “questione antropologica”, ma diventa addirittura la “questione teologica”: appunto il posto di Dio nel mondo.
Precisazioni metodologiche
Un primo tratto caratteristico della CV è comunque il riferimento alla PP di Paolo VI. Nonostante che, per molti motivi, la data del 2007 non sia stata rispettata, l’enciclica mantiene un importante riferimento alla PP e a Paolo VI. Tra l’altro, questo riferimento assume due aspetti di grande importanza. Il primo riguarda il ricordo di questo pontefice e il riconoscimento della sua grandezza anche per la DsC. Non va dimenticato che molti hanno parlato in passato di “incertezze” di Paolo VI in questo campo, viste come segno di un ripensamento della natura della DsC secondo le linee teologiche che la interpretavano come ideologia. Si diceva che il Vaticano II non aveva dedicato una attenzione sistematica alla Dsc e aveva adoperato l’espressione in modo marginale. Quando nel 1971 Paolo VI pubblicò la Octogesima adveniens in forma non di Enciclica ma di Lettera apostolica, una diminutio quindi, molti vi lessero un ulteriore segno che anche nel magistero di Paolo VI la DsC non assumeva più il ruolo occupato precedentemente al Concilio. Tutto ciò animava la distinzione tra due DsC una preconciliare ed una postconciliare, quando non addirittura la improponibilità della DsC nel postconcilio. Siccome simili posizioni sono ancora, e largamente, presenti, è di grande significato che Benedetto XVI abbia riletto il magistero di Paolo VI come per nulla incerto o debole nei confronti della DsC ma, anzi, fortemente propositivo e lungimirante. Della PP egli dice infatti che è da considerarsi come la Rerum novarum dell’epoca postconciliare e sottolinea gli stretti legami di questa enciclica con la Humanae vitae del 1968, anticipazione ante litteram di come già allora la questione sociale si ponesse come questione antropologica.
Alla rivalutazione, se così possiamo dire, di Paolo VI, la CV associa l’idea che il punto di vista della DsC è la “tradizione apostolica” e che non è possibile separare due DsC, l’una preconciliare e l’altra conciliare. Vediamo brevemente questi due importanti aspetti.
Per molto tempo si è sostenuto che partire dalla rivelazione trasmessa nella tradizione apostolica faceva della DsC un sistema deduttivo. A ciò si contrapponeva un procedimento induttivo. Il punto di partenza, o addirittura il punto di vista, doveva essere la situazione, la prassi o i dati delle scienze umane. Si tratta di posizioni tipiche degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma ancora molto presenti tra i teologi e i docenti degli Istituti di Scienze Religiose. Già ad Aparecida, davanti all’episcopato latinoamericano e poi nella CV, Benedetto XVI afferma invece che il punto di vista – o luogo ermeneutico – è la fede apostolica, e che partire dalla situazione, dalla prassi o dalle sole scienze umane è ideologico. Egli rovescia così il percorso, segnalando che anche il magistero di Paolo VI, come del resto il Concilio, è su questa linea.
La tradizione apostolica però è una sola ed ecco l’applicazione dell’ermeneutica della continuità del Concilio vaticano II anche alla DsC [più di recente, il papa l’ha applicata anche alla figura del sacerdote]. Quanti Manuali di DsC che ostentavano, articolavano e sistematizzavano questa contrapposizione dovrebbero essere rivisti e riscritti! Queste contrapposizioni sono frutto della sovrapposizione alla DsC di categorie ideologiche ad essa estranee, che impediscono di riconoscere il suo vero messaggio.
Una nuova valutazione dell’economia
Un secondo tratto caratteristico della CV è una nuova considerazione dell’attività economica. L’affermazione forse più sorprendente è che la logica del dono deve essere presente fin dall’inizio nella normale attività economica. Questo principio viene ripetuto più volte nell’enciclica e articolato anche con buoni criteri scientifici, oltre che teologici e morali. E’ un principio dalle molteplici conseguenze: non c’è prima il produrre e poi il distribuire; l’economia non può essere separata dalla società come se la prima mirasse all’efficienza e la seconda alla solidarietà; la suddivisione tra pubblico e privato o tra non profit e profit non sono più sufficienti a interpretare la realtà dell’economia; la gratuità e il dono non riguardano solo il terzo settore, ma anche il settore privato e quello cosiddetto pubblico; gli esperti devono impegnarsi a configurare giuridicamente e scientificamente nuove forme di imprenditorialità; l’imprenditorialità va intesa in modo polivalente con la possibilità di scambi reciproci tra i diversi tipi di imprenditori; e così via.
Un punto, a questo proposito, è di fondamentale importanza. Il mercato è inteso come l’ambito che rende disponibili i beni. Il papa sostiene – ma a dirlo sono ormai molti economisti – che il mercato, per funzionare, ha bisogno di beni indisponibili. Per poter produrre il mercato deve presupporre beni che esso stesso non può produrre. Partendo da questa constatazione per l’economia, la CV la amplia all’intera realtà, sostenendo che l’intero sviluppo umano si fonda su una vocazione che non gli è disponibile, ma che gli viene incontro in dono. Nessun livello di realtà può darsi da solo la sua verità. Quando un livello della realtà si chiude in se stesso, presumendo di poter bastare a se stesso, diventa prigioniero di se stesso. Senza Dio, l’uomo può produrre solo uno sviluppo disumanizzato.
Tre nuovi ambiti tematici
Questo spunto ermeneutico fondamentale viene applicato da Benedetto XVI a tre grandi tematiche dell’attualità storica: l’ateismo e le religioni, l’ambiente e la natura umana, la tecnica e la bioetica. Nessuna enciclica precedente aveva affrontare in modo così ampio ed approfondito questi elementi che sono emersi in modo dirompente dopo la famosa “crisi delle ideologie” e che contengono in sé nuove preoccupanti ideologie.
Se lo sviluppo ha bisogno di nutrirsi di una vocazione che sia altro da sé, l’ateismo è nemico dello sviluppo. E non solo, dice il papa, l’ateismo militante e persecutorio della religione, ma anche l’ateismo dell’indifferenza, o nichilismo, che viene sistematicamente propagandato anche nelle società che un tempo erano cristiane. L’ateismo soffoca le energie più autentiche dell’uomo, ne appiattisce l’impegno su obiettivi meschini, guasta le relazioni umane e impedisce agli uomini di sacrificarsi per ciò che veramente è bello e grande.
La libertà di religione è quindi un diritto fondamentale per lo sviluppo, ma va correttamente intesa. Essa non comporta che tutte le religioni siano messe sullo stesso piano – non comporta cioè l’indifferenza religiosa. C’è l’arbitro, lo Stato, che garantisce la libertà di religione ma sa anche fischiare qualche fallo, quando le religioni minacciano i diritti umani e il bene comune. Ci sono poi i giocatori, e tra essi i cattolici, che non devono farsi riguardo dal giocare la loro partita perché questo offenderebbe le altre religioni. La libertà di religione né toglie alla ragione politica l’impegno di valutare quando esse comportino una lesione dei diritti umani, né chiede che si costituisca un ambito pubblico neutro dalla religione come nel modello francese, né chiede che i cristiani debbano rinunciare ad evangelizzare.
La cura dell’ambiente e la difesa della natura umana devono essere sempre collegati insieme. La natura non va disprezzata, ma neppure sacralizzata in nuove forme di paganesimo. L’ecologismo rischia di diventare una nuova religione. La tutela dell’ambiente naturale non deve riguardare solo l’aria e l’acqua ma anche e soprattutto l’uomo. Il cristiano ha il dovere di difendere il creato, prima fra tutti la natura della persona umana che pure appartiene al creato, e non solo le foche. La difesa della vita e della famiglia non può essere separata dalla difesa della natura. Viceversa l’ecologia diventa ideologia. La difesa della vita umana è affrontata dalla CV a tre riprese e viene organicamente collegata con tutti i temi del vero sviluppo. Non sarà più possibile, da ora in avanti, parlare di ecologia e di sviluppo dimenticando le tematiche della vita.
Infine la tecnica. L’intero capitolo VI è dedicato a questo argomento, con dei passaggi di grande profondità. La tecnica è vista anche come estrema configurazione del rifiuto di un senso e quindi come estremo nemico dello sviluppo, in quanto lo riduce al massimo a crescita o ad aumento del Pil. L’enciclica vede il pericolo del tecnicismo in molti aspetti della nostra vita sociale: nella finanziarizzazione dell’economia, nei mass media, negli aiuti allo sviluppo che servono più a mantenere gli apparati che non a favorire l’uscita dalla povertà, eccetera. Ma lo vede soprattutto nel campo bioetico. C’è un genocidio in atto e quasi nessuno ne parla. I dati pubblicata recentemente dal IPF di Madrid sono agghiaccianti. L’aborto è fenomeno di massa, le nuove pratiche diagnostiche prenatali confluiscono ormai automaticamente nell’aborto quando si riscontrasse qualche malattia anche ipotetica nel feto, è in atto una spietata selezione eugenetica sia in ordine alla salute del nascituro sia in ordine al suo sesso che terrificano, i tentativi di negare la natura complementare di maschio e femmina e di mettere le mani sulla stessa identità umana fanno rabbrividire, con l’inseminazione artificiale si è superata una soglia oltre la quale non è più possibile parlare di rispetto della dignità umana. E’ qui che il papa dice che la questione sociale è diventata la questione antropologica.
Il posto di Dio nel mondo
Vorrei a questo punto indicare un quarto ed ultimo tratto caratteristico della CV, uno schema ermeneutico che essa indica e che può esserci di grande aiuto anche nella nostra attività pastorale. Ho detto all’inizio che la CV ha come tema di fondo il posto di Dio nel mondo. Non è un tema nuovo se laRerum novarum diceva che non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, se la PP affermava che il principale fattore di sviluppo è il Vangelo e se la Centesimus annus diceva che la Chiesa ha un diritto di cittadinanza nella società. In altri termini la DsC non può rinunciare alla pretesa che, come dice la CV, il cristianesimo non sia solo utile ma anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Ma ecco il punto: come può questa pretesa non soffocare l’autonomia delle realtà terrene, la responsabilità umana, la luce della ragione e l’importanza dei saperi scientifici? Dal punto di vista pastorale si tratta di un problema chiave. La CV lo risolve in questo modo: la luce che viene da Cristo – si rilegga la Gaudium et spes su questo punto – svela l’uomo all’uomo, non ne soffoca le capacità ma anzi lo rende maggiormente capace di sé, più maturo. La luce della rivelazione non soffoca la luce della ragione, ma la aiuta ad essere se stessa. La fede cristiana può dialogare con i saperi dell’uomo in quanto non li mortifica ma li invita a scendere maggiormente in profondità dentro se stessi e produrre i loro frutti migliori. La pretesa della fede cristiana di essere “dal volto umano” sveglia la ragione, le impedisce di essere prigioniera di se stessa e la invita a non fermarsi mai. E’ per questo che la pretesa cristiana di essere la religio vera non è una imposizione ma un dialogo con la ragione, certo non con ogni tipo di ragione, ma solo con quella che non rifiuta l’invito ad allargarsi che le deriva dalla fede.
Stefano Fontana è Direttore dell'Osservatorio Internazionale "Cardinale Van Thuân" sulla dottrina sociale della Chiesa.

domenica 12 settembre 2010

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - SU FACEBOOK CI SCRIVONO IN TANTI. ESPLODE LA RABBIA E LO SDEGNO

RAFFAELE: "Le giostre, il circo... gli animali... il cimitero dei defunti non è uno zoo!!!! IL SINDACO SI DEVE SOLO VERGOGNARE!!!!!!"
BARBARA: "Hanno ragione, è una vergogna!!! ...Mmerdaccia, è una merdaccia di paese..."
STEFANO SCARCELLA: "Noi siamo il popolo di vecchi oscurantisti e medievali, loro i metallari del 2020 che fanno convivere morti e animali. Il problema è che sono I NOSTRI MORTI!!!!!!"
PIERO: "MELISSANESI, POPOLO BUE!!! SVEGLIATEVI E BUTTATE A MARE QUELLA SOMA CHE PERSONAGGI DI DUBBIE MORALITA' VI STANNO FACENDO PORTARE!!! ...GIACCHE' CI SIAMO, PRIMA LE GIOSTRE, ORA IL CIRCO, PERCHE' NON CI IMPIANTA PURE UNA BELLA DISCOTECA E MAGARI DEI CESSI PUBLICI?"
MARIO: ‎"...Dovrebbero pensare solo che appena cadono dalla poltrona difficilmente qualcuno è + disposto a farli rialzare a parte i soliti falconieristi che sono attratti dai favori fatti...a umma umma..."
ANCORA BARBARA: "...E' vero! Ho litigato anche con una certa Elisa Legittimo x questo sul profilo del comitato di Sant'Antonio (Si riferisce al profilo COMITATO FESTA S. ANTONIO DI PADOVA MELISSANO LE) e sono stata accusata di essere -una di quelle persone- che non fanno migliorare il paese...solo xkè non ero d'accordo con lo scempio giostre/cimitero!!! Siamo ridicoli davvero, facciamo ridere anke i polli in questo skifo di paese paralizzato!...Mi hanno cancellato tutti gli interventi...".

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - GIANNI NON E' D'ACCORDO E CI HA SCRITTO SU FACEBOOK

GIANNI: "Adesso è una cosa brutta veramente.......... le giostre, per una continuità della festa, diciamo va bene........ ma IL CIRCO CON GLI ANIMALI....... noooooooo. I miei cari defunti non stanno riposando in una STALLA....... VERGOGNAAAAAAA".

LUNA PARK E CIRCO AL CIMITERO - SONIA NON E' D'ACCORDO E CI HA SCRITTO SU FACEBOOK


SONIA: Sono felice di essere inclusa tra i cosiddetti "medievali, passati e vecchi". Questo significa ke il rispetto ke noi abbiamo nei confronti dei nostri defunti va al di la di tutto. Immagina ke tipo di persone sono coloro ke non hanno rispetto nemmeno per i loro stessi defunti!!!
STEFANO SCARCELLA: Che vergogna. Ma sta per arrivare la più grande delle novità. Il sindaco ha firmato ordinanza (questo si dice) per il circo di Praga che sarà a Melissano dal 14 in poi, per tre giorni. ZONA CIMITERIALE.
SONIA: Addirittura il circo!!! Dovrebbero fare loro i protagonisti del circo e danzare sugli elefanti vestiti da pagliacci!!! Li ci vedo proprio!!

ANTEPRIMA / CARI CITTADINI, VI ABBIAMO FATTO PROPRIO UNA BELLA FESTA E DOPO LE GIOSTRE TENETEVI ANCHE IL CIRCO SOTTO I VOSTRI MORTI




Clicca sulle immagini per ingrandirle