Di monsignor Giampaolo Crepaldi
28 ottobre 2010
28 ottobre 2010
Tratto da ZENIT.org
La Dottrina Sociale della Chiesa svolge anche il compito di indicazione dei principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione per i cattolici impegnati in politica. Tra questi: la trascendente dignità della persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà e la solidarietà, il primato del lavoro sul capitale, la scelta preferenziale per i poveri. È chiaro che si tratta solo di estrapolazioni di alcuni elementi, certamente importanti ma non unici. Si pensi per esempio al principio della giustizia. Di recente la Caritas in veritate di Benedetto XVI sembra aver indicato i principi della verità e della carità e quello del dono e della gratuità nella vita economica. Inoltre, più che di solidarietà essa ha parlato di fraternità.
Sono principi di ragione ed anche di fede; sono frutto dell’indagine che la ragione umana fa della realtà, dell’essere e contemporaneamente sono stati rivelati nella loro ultima sorgente da Dio. Questo comporta che la ragione sia in grado di conoscere la realtà, ossia sia capace di conoscenza metafisica.
Con questa parola intendiamo un sapere di tipo filosofico capace di andare oltre gli aspetti quantitativi e misurabili della realtà e di cogliere le strutture fondamentali dell’essere che sono immateriali: l’uomo è più dei suoi connotati fisici e materiali. Se non si assegna alla ragione
questa capacità non potrà mai avvenire l’incontro della ragione e della fede nei principi della dottrina sociale. Pensiamo per esempio al concetto della dignità della persona umana. Se io penso che non sia possibile per la mia ragione conoscere la natura dell’uomo, il suo ‘che cos’è’ o, come dicevano una volta, la sua ‘essenza’, ma sia solo possibile conoscere i suoi fenomeni, vale a dire la circolazione del sangue, i nessi biochimici del suo corpo, le interrelazioni tra gli organi, il funzionamento di suoi neuroni e così via … se così fosse che significato avrebbe fare appello alla dignità della persona umana? Infatti, tutti si appellano a questa dignità, sia chi combatte l’aborto sia chi lo ammette; sia chi è contro l’eutanasia sia chi la promuove. Ora: alla domanda “cos’è la persona?” rispondono sia la ragione metafisica sia la rivelazione cristiana e le due fonti convergono perché la fede cristiana presuppone una metafisica e la ragione, in armonia con la fede, la sviluppa. Ma se questa ragione metafisica viene negata, come potranno conciliarsi tra loro la visione razionale della persona umana e quella biblico-religiosa?
Il cristianesimo esprime una visione della persona umana di tipo metafisico e quindi non potrà mai incontrarsi fino in fondo con filosofie che negano questo sapere, come per esempio le filosofie materialiste.
Lo stesso vale per il concetto del bene comune. Anch’esso è un concetto metafisico, in quanto presuppone che la realtà dell’uomo sia originariamente socievole e che la comunità sia per la persona un luogo di umanizzazione in un rapporto tale che la persona e la comunità si relazionano come un tutto rispetto ad un altro tutto. di questo bene comune fa parte anche la dimensione spirituale della persona? La dottrina sociale della Chiesa non ha nessun dubbio a riguardo, ma altre dottrine lo escludono. Ecco allora che si deve fare riferimento ad una metafisica della persona e della comunità umana affinché questa non sia ridotta solo ad una giustapposizione di individui che rivendicano ognuno i propri interessi particolari. I principi della dottrina sociale, in altre parole, vanno qualificati, altrimenti si prestano ad interpretazioni generiche e scivolano verso un inconcludente e vago umanesimo adatto per tutte le stagioni. Questo pericolo è sempre in agguato ed è una delle principali tentazioni del cattolico impegnato in politica. Seguire il mondo anche nelle sue semplificazioni interessate dà la sensazione di essere al passo con i tempi e che il cristianesimo sia di moda, mentre proprio così facendo esso perde la capacità di incidere sulla realtà e viene reso inservibile ed innocuo.
C’è un criterio per non cadere in queste trappole?
Proviamo a fare l’esempio dell’ambiente e dell’ambientalismo. Nella dottrina sociale, soprattutto nell’ultima enciclica Caritas in veritate, viene esaminato il tema della tutela dell’ambiente in ottica cristiana. La difesa del creato è considerato un dovere importante che va assunto con responsabilità, però esso va inteso senza riduzionismi: del creato fa parte anche la persona umana, che anzi ne è il vertice. Spesso sembra che da un lato ci sia la natura da salvaguardare e dall’altro ci sia l’uomo che deve salvaguardarla invece che sfruttarla. Si dimentica che anche l’uomo fa parte del creato e che c’è una ecologia umana e non solo una ecologia naturale.
Salvaguardare la natura vuol dire allora prima di tutto salvaguardare l’uomo. Salvaguardare i koala è degno di rispetto, ma ancor più salvaguardare la vita umana del concepito. Ecco un evidente caso di riduzionismo ideologico: si fa appello sì alla persona umana, ma di fatto
le si assegna un ruolo addirittura inferiore a quello degli animali. L’ecologismo (assolutizzazione della natura fisica) e il biocentrismo (indifferente dignità di ogni forma di vita) non rispettano l’incondizionatezza della persona umana. Questo è il criterio per qualificare la nozione di
persona e, di conseguenza, di comunità politica. Incondizionatezza significa che il valore e la dignità della persona non sono soggetti a condizioni e quindi sono indisponibili, non se ne può disporre, nessuno è in posizione tale da decidere sulle persone e stabilire condizioni a cui
esse dovrebbero sottostare in quanto persone. È come dire che la persona non può mai essere considerata uno strumento ma sempre e solo un fine. L’incondizionatezza della persona però ha bisogno di essere adeguatamente fondata. Sul piano razionale il suo fondamento non può
essere che ontologico, legato cioè al suo essere, ad un valore e ad una dignità che le appartengono in quanto tale. La persona è sul piano dell’essere qualcosa di unico ed assolutamente eminente. Sul piano della rivelazione essa si fonda sulla elezione divina: Dio ha fatto l’uomo
a sua immagine e somiglianza, Cristo ha assunto carne umana, il risorto ha unito a sé tutti gli uomini aprendo loro una vita eterna conforme alla dignità della loro anima spirituale. La comunità umana è unita quindi da un comune destino sia sul piano naturale che in quello soprannaturale. Il cattolico in politica dovrà tenere presente questa concezione di persona e di comunità, altrimenti diventa facilmente preda delle ideologie politiche che riducono queste dimensioni ad elementi superficiali. Possiamo ora riprendere in estrema sintesi i principi della dottrina sociale della Chiesa cercando di mostrare il substrato culturale con cui vanno intesi. Qualcuno dirà che in questo
modo si assegna una importanza fondamentale alla cultura più che alla politica. Non voglio stabilire gerarchie, ma certamente i cattolici in politica non possono stare senza una loro cultura della politica e credo che la dottrina sociale della Chiesa possa svolgere un ruolo fondamentale in questo campo. Il primo principio è, come si diceva, quello della trascendente dignità della persona umana.
Ho già detto come questo comporti una filosofia realistica della persona, una metafisica dell’essere personale.
Sottolineo qui l’aggettivo trascendente. Il cattolico impegnato in politica non dimentichi mai questo aggettivo, senza il quale la dignità della persona diventa a disposizione delle varie forme del potere. C’è poi il concetto del bene comune, che pure è un concetto metafisico, non riducibile alla convergenza degli interessi. Il principio di solidarietà viene privato dei suoi fondamenti se non ha alle spalle la fraternità. Ma come si può essere fratelli senza essere figli di uno stesso Padre? La solidarietà viene deviata dal suo giusto corso se non illuminata con la trascendente dignità della persona umana. Una solidarietà appaltata solo allo Stato e non anche alla responsabilità
personale e dei gruppi della società civile produce nichilismo. Si crea un corto circuito tra solidarietà e responsabilità se si affida la solidarietà a delle strutture con un impoverimento motivazionale dell’intera società. Lo stesso dicasi della sussidiarietà, su cui si accumulano varie deformazioni. Senza la concezione della persona di cui abbiamo parlato sopra, la sussidiarietà si riduce ad essere una rivendicazione di spazi individuali dall’ingerenza del pubblico. Solidarietà e sussidiarietà vanno sempre tenute insieme. La scelta preferenziale per i poveri non va intesa in senso sociologico. Bisogna intendere la povertà in senso globale, come una dimensione di tutta la persona, senza amputazioni. La lotta alla povertà non va intesa in modo solo assistenzialistico. Posto che “c’è qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo”, la lotta alla povertà fa attuare mobilitando la libertà e la responsabilità e valorizzando le multiformi espressioni della società civile.
Si potrebbe dire: ma il cattolico impegnato in politica deve collaborare con gli altri anche se essi non condividono fino in fondo questa visione densa e pregnante di persona e di bene comune? Molti pensano che egli possa fare con gli altri almeno un tratto di strada, e poi semmai proseguire da solo. Per esempio: se ci sono associazioni ambientaliste che promuovono la ripulitura volontaria del bosco inquinato, il politico cattolico le appoggi anche se poi quelle stesse associazioni propongono in altri campi riforme contrarie alla vita o alla famiglia.
Bisogna però tenere conto che il politico cattolico non può agire parcellizzando le cose, perché in questo modo diventa preda dell’ideologia. Egli, anzi, deve dare il proprio contributo a far uscire dalle ideologie. A quelle associazioni il cattolico in politica proporrà una riflessione sulla ecologia umana e sul principio di coerenza: come si può rispettare la natura quando si parla di uccelli o di biodiversità e non rispettare la natura umana quando si parla del diritto del concepito a vivere? La Caritas in veritate invita a non separare mai i programmi di sviluppo dal diritto alla vita e il principio di coerenza vuole che come si denuncia la mortalità infantile a causa della malaria si denuncino anche la selezione eugenetica femminile e la pianificazione forzata delle nascite con l’utilizzo anche dell’aborto. Quando Amnesty International si è dichiarata favorevole all’aborto, alcuni uomini di Chiesa avevano chiesto che i cattolici sospendessero i contributi economici e di altro genere a questa organizzazione. I singoli obiettivi possono sembrare buoni se estrapolati dal contesto programmatico e culturale generale, ma di fatto vengono perseguiti dentro quel contesto. Chi crede che l’ecologia naturale richieda anche il rispetto della ecologia umana ripulirà in modo diverso anche il fiume inquinato e, soprattutto, ripulirà poi molte altre cose.
Il cattolico in politica quindi collaborerà dentro questa chiarezza. Non è necessario che ogni progetto da attuare con gli altri contempli sempre tutti i presupposti, è però necessario che il cattolico in politica li abbia presenti e li renda noti.
Nasce qui un tema di grande interesse: è meglio che i cattolici abbiano le loro organizzazioni ed istituzioni di presenza, oppure è meglio che agiscano all’interno di quelle pubbliche e indistinte? Il tema riguarda anche i partiti, ma di questo ci occuperemo in seguito. Qui atteniamoci per il momento ad associazioni, scuole, università, cooperative, strutture di assistenza eccetera. Ci devono essere scuole cattoliche oppure i cattolici devono essere presenti nelle scuole pubbliche? È bene che i cattolici abbiamo i loro ospedali dichiaratamente cattolici oppure che operino negli ospedali pubblici o privati che siano ma comunque non dichiaratamente cattolici?
L’argomento è di grande interesse non solo sociale ma anche politico, dato che il cattolico in politica deve avere delle idee su che tipo di società costruire ed eventualmente anche se ci sono motivi politici per sostenere forme di presenza sociale dichiaratamente cattoliche. A mio parere i cattolici devono essere presenti ovunque, sia personalmente che collegati tra loro e sempre in collaborazione aperta a chiunque abbia desiderio di collaborare al bene comune. Ciò non toglie però che siano anche necessarie istituzioni dichiaratamente cattoliche, come scuole, università, ospedali o altro. Questo per il motivo detto sopra. C’è bisogno che l’incondizionatezza
della persona sia tenuta ferma e proposta come modalità di agire globale, senza riduzionismi. In questo senso c’è bisogno di istituzioni animate da questa apertura totale verso la trascendente dignità della persona umana. Non per motivi di esclusiva, ma per garantire luoghi e situazioni in cui sia permessa una testimonianza integrale a chi la vuole vivere ed attuare. Credo che del resto questo sia un bene anche per la società stessa e una cosa che la politica dovrebbe promuovere e sostenere non per motivi confessionali ma per il bene comune. Certo è una grossa responsabilità per chi opera in queste istituzioni. Un ospedale, una cooperativa sociale, una comunità di recupero, una università che si dicano cattoliche si assumono una forte responsabilità di coerenza e di testimonianza.
La cosa è importante anche per la concretizzazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa. Affinché questi siano applicati nella loro totalità e senza amputazioni e, soprattutto, perché i motivi di ragione si saldino con quelli di fede, perché il rispetto dei diritti e della giustizia si alimenti di fraternità cristiana, perché le direttive di azioni di carattere economico e politico siano animate dalla preghiera, dalla liturgia e dalla partecipazione alla vita di fede è molto utile che si attuino esperienze che esplicitamente si rifacciano alla religione.
Ciò nulla toglie all’importanza della testimonianza personale ed aggregata in tutti gli ambiti e non intende minimamente stabilire gerarchie, ma solo evidenziare una grande utilità.
Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.
Sono principi di ragione ed anche di fede; sono frutto dell’indagine che la ragione umana fa della realtà, dell’essere e contemporaneamente sono stati rivelati nella loro ultima sorgente da Dio. Questo comporta che la ragione sia in grado di conoscere la realtà, ossia sia capace di conoscenza metafisica.
Con questa parola intendiamo un sapere di tipo filosofico capace di andare oltre gli aspetti quantitativi e misurabili della realtà e di cogliere le strutture fondamentali dell’essere che sono immateriali: l’uomo è più dei suoi connotati fisici e materiali. Se non si assegna alla ragione
questa capacità non potrà mai avvenire l’incontro della ragione e della fede nei principi della dottrina sociale. Pensiamo per esempio al concetto della dignità della persona umana. Se io penso che non sia possibile per la mia ragione conoscere la natura dell’uomo, il suo ‘che cos’è’ o, come dicevano una volta, la sua ‘essenza’, ma sia solo possibile conoscere i suoi fenomeni, vale a dire la circolazione del sangue, i nessi biochimici del suo corpo, le interrelazioni tra gli organi, il funzionamento di suoi neuroni e così via … se così fosse che significato avrebbe fare appello alla dignità della persona umana? Infatti, tutti si appellano a questa dignità, sia chi combatte l’aborto sia chi lo ammette; sia chi è contro l’eutanasia sia chi la promuove. Ora: alla domanda “cos’è la persona?” rispondono sia la ragione metafisica sia la rivelazione cristiana e le due fonti convergono perché la fede cristiana presuppone una metafisica e la ragione, in armonia con la fede, la sviluppa. Ma se questa ragione metafisica viene negata, come potranno conciliarsi tra loro la visione razionale della persona umana e quella biblico-religiosa?
Il cristianesimo esprime una visione della persona umana di tipo metafisico e quindi non potrà mai incontrarsi fino in fondo con filosofie che negano questo sapere, come per esempio le filosofie materialiste.
Lo stesso vale per il concetto del bene comune. Anch’esso è un concetto metafisico, in quanto presuppone che la realtà dell’uomo sia originariamente socievole e che la comunità sia per la persona un luogo di umanizzazione in un rapporto tale che la persona e la comunità si relazionano come un tutto rispetto ad un altro tutto. di questo bene comune fa parte anche la dimensione spirituale della persona? La dottrina sociale della Chiesa non ha nessun dubbio a riguardo, ma altre dottrine lo escludono. Ecco allora che si deve fare riferimento ad una metafisica della persona e della comunità umana affinché questa non sia ridotta solo ad una giustapposizione di individui che rivendicano ognuno i propri interessi particolari. I principi della dottrina sociale, in altre parole, vanno qualificati, altrimenti si prestano ad interpretazioni generiche e scivolano verso un inconcludente e vago umanesimo adatto per tutte le stagioni. Questo pericolo è sempre in agguato ed è una delle principali tentazioni del cattolico impegnato in politica. Seguire il mondo anche nelle sue semplificazioni interessate dà la sensazione di essere al passo con i tempi e che il cristianesimo sia di moda, mentre proprio così facendo esso perde la capacità di incidere sulla realtà e viene reso inservibile ed innocuo.
C’è un criterio per non cadere in queste trappole?
Proviamo a fare l’esempio dell’ambiente e dell’ambientalismo. Nella dottrina sociale, soprattutto nell’ultima enciclica Caritas in veritate, viene esaminato il tema della tutela dell’ambiente in ottica cristiana. La difesa del creato è considerato un dovere importante che va assunto con responsabilità, però esso va inteso senza riduzionismi: del creato fa parte anche la persona umana, che anzi ne è il vertice. Spesso sembra che da un lato ci sia la natura da salvaguardare e dall’altro ci sia l’uomo che deve salvaguardarla invece che sfruttarla. Si dimentica che anche l’uomo fa parte del creato e che c’è una ecologia umana e non solo una ecologia naturale.
Salvaguardare la natura vuol dire allora prima di tutto salvaguardare l’uomo. Salvaguardare i koala è degno di rispetto, ma ancor più salvaguardare la vita umana del concepito. Ecco un evidente caso di riduzionismo ideologico: si fa appello sì alla persona umana, ma di fatto
le si assegna un ruolo addirittura inferiore a quello degli animali. L’ecologismo (assolutizzazione della natura fisica) e il biocentrismo (indifferente dignità di ogni forma di vita) non rispettano l’incondizionatezza della persona umana. Questo è il criterio per qualificare la nozione di
persona e, di conseguenza, di comunità politica. Incondizionatezza significa che il valore e la dignità della persona non sono soggetti a condizioni e quindi sono indisponibili, non se ne può disporre, nessuno è in posizione tale da decidere sulle persone e stabilire condizioni a cui
esse dovrebbero sottostare in quanto persone. È come dire che la persona non può mai essere considerata uno strumento ma sempre e solo un fine. L’incondizionatezza della persona però ha bisogno di essere adeguatamente fondata. Sul piano razionale il suo fondamento non può
essere che ontologico, legato cioè al suo essere, ad un valore e ad una dignità che le appartengono in quanto tale. La persona è sul piano dell’essere qualcosa di unico ed assolutamente eminente. Sul piano della rivelazione essa si fonda sulla elezione divina: Dio ha fatto l’uomo
a sua immagine e somiglianza, Cristo ha assunto carne umana, il risorto ha unito a sé tutti gli uomini aprendo loro una vita eterna conforme alla dignità della loro anima spirituale. La comunità umana è unita quindi da un comune destino sia sul piano naturale che in quello soprannaturale. Il cattolico in politica dovrà tenere presente questa concezione di persona e di comunità, altrimenti diventa facilmente preda delle ideologie politiche che riducono queste dimensioni ad elementi superficiali. Possiamo ora riprendere in estrema sintesi i principi della dottrina sociale della Chiesa cercando di mostrare il substrato culturale con cui vanno intesi. Qualcuno dirà che in questo
modo si assegna una importanza fondamentale alla cultura più che alla politica. Non voglio stabilire gerarchie, ma certamente i cattolici in politica non possono stare senza una loro cultura della politica e credo che la dottrina sociale della Chiesa possa svolgere un ruolo fondamentale in questo campo. Il primo principio è, come si diceva, quello della trascendente dignità della persona umana.
Ho già detto come questo comporti una filosofia realistica della persona, una metafisica dell’essere personale.
Sottolineo qui l’aggettivo trascendente. Il cattolico impegnato in politica non dimentichi mai questo aggettivo, senza il quale la dignità della persona diventa a disposizione delle varie forme del potere. C’è poi il concetto del bene comune, che pure è un concetto metafisico, non riducibile alla convergenza degli interessi. Il principio di solidarietà viene privato dei suoi fondamenti se non ha alle spalle la fraternità. Ma come si può essere fratelli senza essere figli di uno stesso Padre? La solidarietà viene deviata dal suo giusto corso se non illuminata con la trascendente dignità della persona umana. Una solidarietà appaltata solo allo Stato e non anche alla responsabilità
personale e dei gruppi della società civile produce nichilismo. Si crea un corto circuito tra solidarietà e responsabilità se si affida la solidarietà a delle strutture con un impoverimento motivazionale dell’intera società. Lo stesso dicasi della sussidiarietà, su cui si accumulano varie deformazioni. Senza la concezione della persona di cui abbiamo parlato sopra, la sussidiarietà si riduce ad essere una rivendicazione di spazi individuali dall’ingerenza del pubblico. Solidarietà e sussidiarietà vanno sempre tenute insieme. La scelta preferenziale per i poveri non va intesa in senso sociologico. Bisogna intendere la povertà in senso globale, come una dimensione di tutta la persona, senza amputazioni. La lotta alla povertà non va intesa in modo solo assistenzialistico. Posto che “c’è qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo”, la lotta alla povertà fa attuare mobilitando la libertà e la responsabilità e valorizzando le multiformi espressioni della società civile.
Si potrebbe dire: ma il cattolico impegnato in politica deve collaborare con gli altri anche se essi non condividono fino in fondo questa visione densa e pregnante di persona e di bene comune? Molti pensano che egli possa fare con gli altri almeno un tratto di strada, e poi semmai proseguire da solo. Per esempio: se ci sono associazioni ambientaliste che promuovono la ripulitura volontaria del bosco inquinato, il politico cattolico le appoggi anche se poi quelle stesse associazioni propongono in altri campi riforme contrarie alla vita o alla famiglia.
Bisogna però tenere conto che il politico cattolico non può agire parcellizzando le cose, perché in questo modo diventa preda dell’ideologia. Egli, anzi, deve dare il proprio contributo a far uscire dalle ideologie. A quelle associazioni il cattolico in politica proporrà una riflessione sulla ecologia umana e sul principio di coerenza: come si può rispettare la natura quando si parla di uccelli o di biodiversità e non rispettare la natura umana quando si parla del diritto del concepito a vivere? La Caritas in veritate invita a non separare mai i programmi di sviluppo dal diritto alla vita e il principio di coerenza vuole che come si denuncia la mortalità infantile a causa della malaria si denuncino anche la selezione eugenetica femminile e la pianificazione forzata delle nascite con l’utilizzo anche dell’aborto. Quando Amnesty International si è dichiarata favorevole all’aborto, alcuni uomini di Chiesa avevano chiesto che i cattolici sospendessero i contributi economici e di altro genere a questa organizzazione. I singoli obiettivi possono sembrare buoni se estrapolati dal contesto programmatico e culturale generale, ma di fatto vengono perseguiti dentro quel contesto. Chi crede che l’ecologia naturale richieda anche il rispetto della ecologia umana ripulirà in modo diverso anche il fiume inquinato e, soprattutto, ripulirà poi molte altre cose.
Il cattolico in politica quindi collaborerà dentro questa chiarezza. Non è necessario che ogni progetto da attuare con gli altri contempli sempre tutti i presupposti, è però necessario che il cattolico in politica li abbia presenti e li renda noti.
Nasce qui un tema di grande interesse: è meglio che i cattolici abbiano le loro organizzazioni ed istituzioni di presenza, oppure è meglio che agiscano all’interno di quelle pubbliche e indistinte? Il tema riguarda anche i partiti, ma di questo ci occuperemo in seguito. Qui atteniamoci per il momento ad associazioni, scuole, università, cooperative, strutture di assistenza eccetera. Ci devono essere scuole cattoliche oppure i cattolici devono essere presenti nelle scuole pubbliche? È bene che i cattolici abbiamo i loro ospedali dichiaratamente cattolici oppure che operino negli ospedali pubblici o privati che siano ma comunque non dichiaratamente cattolici?
L’argomento è di grande interesse non solo sociale ma anche politico, dato che il cattolico in politica deve avere delle idee su che tipo di società costruire ed eventualmente anche se ci sono motivi politici per sostenere forme di presenza sociale dichiaratamente cattoliche. A mio parere i cattolici devono essere presenti ovunque, sia personalmente che collegati tra loro e sempre in collaborazione aperta a chiunque abbia desiderio di collaborare al bene comune. Ciò non toglie però che siano anche necessarie istituzioni dichiaratamente cattoliche, come scuole, università, ospedali o altro. Questo per il motivo detto sopra. C’è bisogno che l’incondizionatezza
della persona sia tenuta ferma e proposta come modalità di agire globale, senza riduzionismi. In questo senso c’è bisogno di istituzioni animate da questa apertura totale verso la trascendente dignità della persona umana. Non per motivi di esclusiva, ma per garantire luoghi e situazioni in cui sia permessa una testimonianza integrale a chi la vuole vivere ed attuare. Credo che del resto questo sia un bene anche per la società stessa e una cosa che la politica dovrebbe promuovere e sostenere non per motivi confessionali ma per il bene comune. Certo è una grossa responsabilità per chi opera in queste istituzioni. Un ospedale, una cooperativa sociale, una comunità di recupero, una università che si dicano cattoliche si assumono una forte responsabilità di coerenza e di testimonianza.
La cosa è importante anche per la concretizzazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa. Affinché questi siano applicati nella loro totalità e senza amputazioni e, soprattutto, perché i motivi di ragione si saldino con quelli di fede, perché il rispetto dei diritti e della giustizia si alimenti di fraternità cristiana, perché le direttive di azioni di carattere economico e politico siano animate dalla preghiera, dalla liturgia e dalla partecipazione alla vita di fede è molto utile che si attuino esperienze che esplicitamente si rifacciano alla religione.
Ciò nulla toglie all’importanza della testimonianza personale ed aggregata in tutti gli ambiti e non intende minimamente stabilire gerarchie, ma solo evidenziare una grande utilità.
Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.
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