venerdì 4 marzo 2011

APPROFONDIMENTO / LA POLITICA E LA FEDE: RIFLESSIONI SUL LIBRO "IL CATTOLICO IN POLITICA" DI MONS. GIAMPAOLO CREPALDI

Di Stefano Fontana
03 marzo
Tratto da ZENIT.org
La questione di fondo che il libro di mons. Crepaldi (Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Cantagalli, Siena 2010) affronta è lo statuto della politica, cosa essa sia, ed assume una visione metafisica della politica, che fa da fondamento epistemologico per una fondazione teologica della politica. Per dirla con l’Horkheimer della “Nostalgia del totalmente altro”, ma prima ancora con Joseph De Maistre, la politica è soprattutto e prima di tutto una questione teologica. Questo è l’assunto principale del libro e su questo esso chiama in causa i cattolici in politica. Così impostate le cose, si apre tutta una serie di questioni di fondo. Vediamone qualcuna.
Augusto Del Noce affermava che la fede cristiana presuppone una metafisica e che la filosofia cristiana – o il filosofare nella fede – altro non è che l’esplicitazione di questa metafisica. Per rimanere “nella metafisica” la filosofia ha bisogno di rimanere “nella fede”, dato che se se ne distacca – e qui l’affinità con Ratzinger è evidente – diventa per forza “positivismo” (e con ciò fideismo perché a quanto non risulta empiricamente “si crede”). Sul piano culturale, e quindi anche sul piano politico, oggi il principale ostacolo alla comunicazione tra i cattolici e “gli altri” è proprio la questione metafisica.
Quando il cattolico parla di persona, di famiglia, di relazione, di comunità, di bene comune, di natura, di anima, di vita … li intende in senso metafisico, mentre “gli altri” non intendono più tutte queste cose in senso metafisico. Se anche i cattolici, per dialogare con gli altri, non le intendono più in senso metafisico, finiranno per forza con intenderle in senso funzionale e soggettivistico, e a quel punto avranno già perso la partita.
Anche la politica dovrebbe venire intesa dal cattolico in tale senso, anche se non c’è niente di più lontano dal sentire moderno. Questo punto è importante per comprendere il libro di Monsignor Crepaldi, il quale mi sembra fondarsi sull’assunto che nella politica si giochino significati assoluti, come si legge in più luoghi del libro.
Anche quando il cattolico parla di “fede” la intende in senso metafisico. Non solo la fede presuppone la metafisica ma anche la metafisica presuppone la fede. Nella metafisica, infatti, ci si dà l’indisponibile, proprio come nella fede: in essa non siamo noi a raggiungere l’indisponibile ma è questo ad irrompere. L’atteggiamento metafisico non comporta un “fare” ma, come dice Ratzinger in Introduzione al Cristianesimo, uno “stare”, una disponibilità alla Parola che si rivela, proprio come la fede.
Il libro presenta quindi la politica in modo molto diverso dalle correnti opinioni, ad indicare che nessun rinnovamento della presenza politica dei cattolici sarà possibile se prima essi non si saranno riappropriati di questa loro “tradizionale” – nel senso forte del termine - visione della politica.
Questa non è un’azione che costituisce la comunità, ma presuppone che la comunità sia costituita da altro. Qui abbiamo lo scontro principale espresso dal libro: lo scontro tra una politica cattolica che accetta pienamente la laicità – o la maturità della democrazia come diceva Dossetti -, al punto da pensare di costituirsi in modo autonomo, e una politica cattolica secondo la quale, per dirla con Papa Benedetto XVI, un mondo senza Dio non è un mondo neutro, è un mondo senza Dio.
Su questo si consuma tutta la grande questione della laicità, della democrazia, dell’autonomia delle realtà terrene, a cui il libro di mons. Crepaldi accenna nella bella e profonda Introduzione del libro. Nei decenni scorsi si è via via consolidato un profondo e complesso orientamento teso a condurre i cattolici ad acquisire la maturità della democrazia, da intendersi come la piena consistenza metafisica del finito rispetto all’infinito. Non a caso Crepaldi cita nella sua Introduzione tre opere degli anni Sessanta che, da punti di partenza diversi, hanno contraddetto questa pretesa e secondo lui il magistero di Benedetto XVI, sulla scia di quello dei precedenti Pontefici, ha definitivamente chiarito questi equivoci, sostenendo appunto che un mondo senza Dio non è un mondo neutro ma un mondo senza Dio.
Insisto su questo punto perché mi sembra fondamentale: la ragione senza la fede non è neutra, ma è una ragione-senza-la-fede: essa si erge a nuovo assoluto in quanto vede e costruisce il mondo “senza Dio”. C’è l’assolutezza di un mondo costruito su Dio, ma c’è anche l’assolutezza di un mondo costruito senza Dio. Ciò, naturalmente, vale anche per la ragione politica.
Uno dei punti più interessanti del libro è il capitolo sull’allargamento della ragione politica e le nuove ideologie, nel quale si possono vedere le conseguenze di un linguaggio politico privo ormai della densità metafisica. Quando il papa parla di “sostenibilità” non usa il termine nel senso di Latouche o dei Rapporti delle agenzie Onu; quando parla di “sobrietà” non la intende nel senso dei movimenti ecologisti e animalisti; quando parla di “salvaguardia del creato” non lo fa nel senso di GreenPeace; quando parla di pace non usa gli slogan della marcia Perugia-Assisi.
E’ però evidente che i cattolici spesso si appiattiscono su queste accezioni le quali, riducendo o escludendo la densità metafisica dei concetti, finiscono per espungerne il vero significato e a non lasciare spazio per un significato religioso. Senza spazio metafisico, dal punto di vista concettuale, la religione non ha più possibilità di respiro. L’orizzontalizzazione del linguaggio politico non è privo di dense conseguenze negative sulla conduzione della politica.
Come si vede, un livello molto importante della problematica è quello epistemologico. Se la fede non è “conoscenza” nel vero senso della parola, essa si aggiungerà dall’esterno alla conoscenza razionale, di per sé autonoma: ma la conoscenza razionale di per se autonoma non è per niente autonoma dato che, come abbiamo visto, ragionare fuori della fede è cadere nel positivismo e un mondo senza Dio non è un mondo neutro ma è un mondo senza Dio.
La fede quindi è destinata a venir espulsa dal quadro del sapere. C’è oggi una “laicità epistemologica” che diventa per forza “laicismo epistemologico”. La via con cui ciò avviene è ormai consolidata: rivendicare una autonomia del piano razionale rispetto a quello della fede che però in realtà è una espulsione della fede dalla vita. Tutto ciò ha fondamenatali ripercussioni politiche.
Per questo il libro di mons. Crepaldi dice che la presenza politica dei cattolici comincia prima della politica. Egli non vuol dire solo – anche, ma non solo – che i seminari, le università cattoliche, gli istituti di scienze religiose, le comunità diocesane eccetera non formano più alla politica. Questo è anche vero, ma egli sembra voler andare alla radice e riconoscere che la formazione politica non viene fatta perché alla fede non si riconosce più – da parte dei cattolici, intendo - un significato conoscitivo fondante; perché si accetta la neutralità delle questioni politiche dalla prospettiva di fede. Ma se questa si aggiunge “dopo” vuol dire che non si aggiunge mai, in quanto se si aggiunge dopo vuol dire che le cose potevano andare bene anche “prima”.
Vorrei sottolineare come Benedetto XVI continui ad insistere su questo. Molti suoi interventi, dedicati ai più vari argomenti, hanno questo filo rosso: la sua critica all’assolutizzazione del metodo storico critico, l’insistenza con cui proclama che l’opera del teologo non è mai solo concettuale in quanto la fede cristiana crede in Dio Verità e Amore, l’affermazione che solo la sapienza che si apre al mistero è vera conoscenza, quando dice che senza Dio non si ha una vera conoscenza della realtà, quando ci spiega cos’è la Tradizione: non una manomissione degli eventi storici, ma una loro maggiore penetrazione e attualizzazione, non una deformazione delle Scritture ma una loro illuminazione.
Possiamo ora ben comprendere la presenza nel libro del tema dei “principi non negoziabili”. Su di essi mons. Crepaldi insiste molto e dà ai politici anche delle indicazioni di comportamento molto precise. Però non riduce mai questi principi a indicazioni operative: essi, infatti, rimandano al fondamento assoluto della politica che solo la fede cristiana può garantire. Non sono l’ultima ridotta in cui asserragliarsi, ma il punto di forza per una “ripresa” tesa a creare un posto per Dio nella società. Possiamo così anche comprendere come il libro tratti del problema del pluralismo religioso, mantenendo vivo il “dovere” - come dice la Humanae vitae – delle società nei confronti della vera religione.
Il tema del libro è quindi se la città dell’uomo si possa costituire adeguatamente senza il riferimento alla città di Dio. Si tratta dell’autonomia del temporale rispetto allo spirituale, della natura rispetto alla grazia, della politica rispetto alla religione. Tema fondamentale per tutte le epoche, ma specialmente per la nostra, che sembra avere addirittura smarrito il senso stesso del problema, e non solo delle sue soluzioni. Sant’Agostino si domanda le cause della caduta dell’Impero Romano.
Difende i cristiani dalle accuse, che rimanda invece ai pagani: l’Impero è caduto a causa dei vizi che avevano sostituito le antiche virtù. Ma questo significa che le virtù esistevano anche prima del cristianesimo. Nota Gilson a questo proposito: egli lo precisa proprio perché non ci si inganni sul fine specifico soprannaturale delle virtù cristiane. Le virtù cristiane rendono cittadini di un’altra città. Ma con ciò il cristianesimo sprigiona anche tutte le sue forze costruttive della società terrena e non è necessario che il temporale rifiuti di concepirsi come una tappa verso l’eterno.
Per questo motivo ritengo che la frase più importante del libro di mons. Crepaldi sia quella che si trova a pagina 63, frase che da sola vale tutto il libro: «Quando il cattolico in politica cerca di chiarire a se stesso il problema della laicità, penso che dovrebbe farsi due domande: la prima è se per la costruzione di una convivenza sociale conforme alla dignità umana, Cristo sia solo utile o anche indispensabile. La seconda è se la vita eterna oltre la morte materiale abbia una relazione con l’organizzazione comunitaria di questa vita nella società».
Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa

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