12 febbraio 2011
Tratto da ZENIT.org
Continua la pubblicazione del discorso pronunciato venerdì 11 febbraio da mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) intervenendo a Conegliano (TV) sul tema “L’unità d’Italia e la questione meridionale: il Magistero della Chiesa e il compito dei cristiani”.
Sarà il magistero di Giovanni Paolo II, a partire dal discorso ai vescovi campani del 21 novembre 1981, in cui parla della questione meridionale come di una questione ecclesiale nazionale, a sollecitare una riflessione nell’episcopato che viene presentata al Consiglio permanente del gennaio 1988 e si orienta, non senza difficoltà, a una ripresa dell’iniziativa dell’episcopato meridionale di quarant’anni prima da parte, questa volta, di tutto l’episcopato italiano. Il documento, in effetti, fu elaborato e pubblicato il 18 ottobre 1989, con il titolo Chiesa italiana e Mezzogiorno. Sviluppo nella solidarietà.
I vescovi si presentano mossi da una preoccupazione di tipo etico, avendo di mira «un impegno di sviluppo autonomo e integrale delle regioni meridionali» (n. 4). Sono consapevoli che «il Mezzogiorno d’Italia non è una realtà omogenea» e che la questione meridionale è «una questione nazionale» (n. 7), denotando una crisi che è di tutto il Paese. Inoltre il ritardo del Mezzogiorno non è da ricercare sul piano del benessere materiale e del solo reddito, ma «nella capacità di produzione e nell’occupazione» (n. 8). La diagnosi della situazione si svolge trattando del lavoro, delle distorsioni dello sviluppo, della persistenza di valori tipici del sud, di un suo ethos, ma anche dei rapporti di dipendenza da meccanismi interni distorti ad opera della mediazione politica e dei gruppi di potere locale in genere, generando una «modernizzazione senza un vero e proprio sviluppo» (n. 13). Forte è la denuncia della criminalità organizzata, definita «una malattia, un cancro» (n. 14), a cui rispondere con la legalità, la «trasparenza etica di chi governa» e «un comportamento onesto di ogni cittadino» (ib.). Di fronte a tale quadro, il compito primario della Chiesa si ripresenta come servizio alla formazione delle coscienze. «Bisogna superare il vittimismo e la rassegnazione, riattivare la moralità, la certezza del diritto, la stabilità nelle regole della convivenza sociale, la sicurezza della vita quotidiana […]. Sono necessari, e doverosi, l’aiuto e la solidarietà dell’intera nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i responsabili di ciò che il sud sarà nel futuro» (n. 15).
Il richiamo agli elementi costitutivi della dottrina sociale della Chiesa fa appello alla necessità di una prospettiva etica e di un giudizio su una situazione che «non è il frutto di una fatalità storica, ma di precise causalità» (n. 16), richiama le esigenze di un’etica economica e incoraggia il vero sviluppo come sviluppo di tutto l’uomo. Se ne trae la conseguenza di una necessaria «coerente politica meridionalistica» (n. 19), che miri al territorio e che richieda «un diverso protagonismo della società civile meridionale» (n. 21).
Le linee pastorali suggeriscono una solidarietà reciproca fra le varie parti del Paese che permetta una conoscenza reciproca, e quindi una nuova evangelizzazione che abbia attenzione soprattutto a una pietà popolare purificata. «L’evangelizzazione non mira in alcun modo al soffocamento delle manifestazioni della “pietà popolare”, ma soltanto alla sua purificazione, che ne metta in evidenza gli aspetti positivi, quali il profondo senso della trascendenza, la fiducia illimitata in Dio provvidente, la “via del cuore” nella percezione di Dio, l’esperienza del mistero della croce nella sua drammaticità, ma anche nella sua valenza salvifica, la confidenza filiale nella Madonna, il senso tipicamente cattolico dell’intercessione dei santi. Al contempo ne qualifichi la gestualità e il riferimento alla natura, impedendo che diventi “l’alternativa dei poveri” alla liturgia. Senza questa purificazione data da una nuova evangelizzazione, la pietà popolare, pur essendo aperta e orientata alla trascendenza, può ridursi a essere domanda senza risposta, croce senza risurrezione, gestualità senza contenuti, memoria di pure emozioni, solidarietà senza comunione» (n. 26). Non c’è da trascurare, in questa prospettiva, l’esigenza di saldare fede e storia, l’impegno politico e in generale il ruolo dei laici, tra i quali i giovani e le donne in particolare. Non manca, insieme ad altri temi, un riferimento al fenomeno delle migrazioni.
«Tale documento – disse a suo riguardo Giovanni Paolo II a Napoli nel novembre 1990 – può ben essere considerato la traduzione non solo pastorale, ma anche politica, nel senso più alto del termine, del progetto di organizzazione della speranza nella vasta area del Mezzogiorno»[22]. È questo il primo documento dell’intero episcopato italiano e segnala uno sforzo di organicità nel trattare la questione, senza perdere di vista l’ottica specifica dell’iniziativa episcopale con il suo carattere etico e pastorale. Sullo sfondo di uno sviluppo storico più che secolare si coglie la maturazione dell’identità di un episcopato nazionale che si fa carico, con senso di responsabilità pastorale, dei problemi e della vita del Paese. Nella distinzione degli ambiti di competenza, tuttavia, la fede, e quindi la comunità ecclesiale a partire dai suoi pastori, non può considerare in modo dissociato la vita dei suoi fedeli, come pure di tutti i cittadini, ma vi deve cogliere l’inestricabile intreccio di coscienza credente e responsabilità civile, di fede e storia.
Gli episcopati regionali non mancarono di prendere iniziative, orientate ad un impegno pastorale più intenso, testimoniato dal Messaggio alle Chiese del Mezzogiorno delle conferenze episcopali di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia dell’11 gennaio 1996, il documento dei vescovi campani sulla disoccupazione dello stesso anno[23], come pure il documento per i cinquant’anni dello Statuto regionale da parte dei Vescovi siciliani [24], la Lettera pastorale del Vescovi calabresi del 13 febbraio 2005 [25], il documento conclusivo del convegno dei laici della Basilicata del 2008[26]. E poi, ancora, sono da segnalare convegni pastorali di varie regioni ecclesiastiche e convegni di studio promossi dalla Facoltà teologica dell’Italia meridionale.
Questo stesso movimento di riflessione, di iniziativa pastorale e di studio conduce alla proposta dell’episcopato meridionale all’episcopato italiano di intervenire nuovamente in occasione dei vent’anni dalla pubblicazione di Chiesa italiana e Mezzogiorno. Il Consiglio permanente del gennaio 2008 affida ai presidenti della conferenze episcopali regionali del meridione d’Italia di promuovere un incontro di studio che prepari la stesura del documento. Il convegno sarà celebrato a Napoli il 12 e 13 febbraio 2009. L’elaborazione del documento richiederà circa un anno. Il 21 febbraio di quest’anno esso è stato pubblicato con il titolo Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.
In esso si può rilevare la significativa continuità con il precedente. Ciò dice l’intendimento dei vescovi innanzitutto a tenere alta l’attenzione sulla questione meridionale. La circostanza denota la viva sensibilità dell’episcopato per la questione e per il connesso tema della nazione e della sua unità, ma permette anche di segnalare alcuni cambiamenti, pure significativi, verificatisi negli ultimi venti anni. In generale si può notare uno spostamento di accento dall’etico all’ecclesiologico, allo spirituale, al pastorale. Si confida meno su ricette di azione pastorale e più su alcune scelte di fondo, coerentemente con le esigenze ben più essenziali che si sono evolute e sono maturate negli ultimi decenni.
Il perdurare della questione meridionale nel quadro dei mutamenti che si sono prodotti sul piano della crisi economica, delle trasformazioni politico-istituzionali e dell’evoluzione socio-culturale rende plausibile la decisione di tornare sull’argomento. Viene messo in gioco un atteggiamento di fiducia, «per dare un contributo alla comune fatica del pensare», alla «responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri», a un «peculiare pensiero solidale», capace di attivare «la tensione alla verità da cercare, conoscere e attuare», nel tentativo di «valorizzare al meglio il patrimonio di cui tutti disponiamo, cioè la nostra intelligenza, la capacità di capire i problemi e di farcene carico, la creatività nel risolverli» (n. 2). L’indicazione di stile e di metodo è la condivisione, disegnata sul calco dell’impronta eucaristica.
Nel descrivere lo scenario, già significativamente mutato nel giro di venti anni, insieme alle annotazioni già riportate, a cui va aggiunto sul piano politico-istituzionale il rilievo dato al processo di riforma in senso federalistico, vanno segnalati la globalizzazione dei mercati, la situazione dei Paesi che danno sulle sponde del Mediterraneo e il nuovo rapporto che si profila tra Europa e Mediterraneo, la questione ecologica, ma anche le zone di consolidata povertà, disoccupazione ed emigrazione. Torna ad essere evidenziato il passaggio incompiuto alla modernità per effetto di una mancata elaborazione del processo di modernizzazione, che spiega la persistenza di fenomeni come il particolarismo familistico, il fatalismo, la violenza, ma anche l’assimilazione dell’individualismo e del nichilismo che non si contrappongono ma integrano «forme tradizionali di socializzazione, di falsa onorabilità e di omertà diffusa» (n. 6). Importante rilevare, infine, accanto a una condanna ferma e articolata della criminalità organizzata, il ruolo delle classi dirigenti, spesso invischiati in «meccanismi perversi o semplicemente malsani nell’amministrazione della cosa pubblica», mentre ci sarebbe bisogno di «una cultura politica che nutra l’attività degli amministratori di visioni adeguate e di solidi orizzonti etici per il servizio al bene comune» (n. 5). Il problema non tocca soltanto la classe dirigente, ma anche il senso civico del comune cittadino. Così, la resistenza ad ogni possibile trasformazione per effetto di cause endogene, unita all’egoismo individuale e corporativo che è diffuso in tutto il Paese, con l’effetto di trasformare il Meridione «in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo» (n. 5), produce l’effetto di un blocco di ogni sua possibilità di sviluppo.
In realtà non mancano segni di speranza: manifestazioni di un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale, della quale è espressione eloquente il progetto Policoro, come la possibilità di far leva su valori e risorse di cui ancora generosamente dispongono le popolazioni meridionali. In questa prospettiva vanno recepite le indicazioni pastorali, le quali puntano su alcuni motivi qualificanti, fuori dagli schemi ripetitivi di un mero richiamo a tutti i compiti e i ministeri nella comunità ecclesiale. In linea con il senso del ministero pastorale, i vescovi innanzitutto affermano che il primo e più importante contributo anche su una questione così complessa e radicata che la Chiesa possa dare è assolvere fedelmente e diligentemente alla sua missione. Ciò vale da due punti di vista. Innanzitutto:Tratto da ZENIT.org
Continua la pubblicazione del discorso pronunciato venerdì 11 febbraio da mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) intervenendo a Conegliano (TV) sul tema “L’unità d’Italia e la questione meridionale: il Magistero della Chiesa e il compito dei cristiani”.
Sarà il magistero di Giovanni Paolo II, a partire dal discorso ai vescovi campani del 21 novembre 1981, in cui parla della questione meridionale come di una questione ecclesiale nazionale, a sollecitare una riflessione nell’episcopato che viene presentata al Consiglio permanente del gennaio 1988 e si orienta, non senza difficoltà, a una ripresa dell’iniziativa dell’episcopato meridionale di quarant’anni prima da parte, questa volta, di tutto l’episcopato italiano. Il documento, in effetti, fu elaborato e pubblicato il 18 ottobre 1989, con il titolo Chiesa italiana e Mezzogiorno. Sviluppo nella solidarietà.
I vescovi si presentano mossi da una preoccupazione di tipo etico, avendo di mira «un impegno di sviluppo autonomo e integrale delle regioni meridionali» (n. 4). Sono consapevoli che «il Mezzogiorno d’Italia non è una realtà omogenea» e che la questione meridionale è «una questione nazionale» (n. 7), denotando una crisi che è di tutto il Paese. Inoltre il ritardo del Mezzogiorno non è da ricercare sul piano del benessere materiale e del solo reddito, ma «nella capacità di produzione e nell’occupazione» (n. 8). La diagnosi della situazione si svolge trattando del lavoro, delle distorsioni dello sviluppo, della persistenza di valori tipici del sud, di un suo ethos, ma anche dei rapporti di dipendenza da meccanismi interni distorti ad opera della mediazione politica e dei gruppi di potere locale in genere, generando una «modernizzazione senza un vero e proprio sviluppo» (n. 13). Forte è la denuncia della criminalità organizzata, definita «una malattia, un cancro» (n. 14), a cui rispondere con la legalità, la «trasparenza etica di chi governa» e «un comportamento onesto di ogni cittadino» (ib.). Di fronte a tale quadro, il compito primario della Chiesa si ripresenta come servizio alla formazione delle coscienze. «Bisogna superare il vittimismo e la rassegnazione, riattivare la moralità, la certezza del diritto, la stabilità nelle regole della convivenza sociale, la sicurezza della vita quotidiana […]. Sono necessari, e doverosi, l’aiuto e la solidarietà dell’intera nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i responsabili di ciò che il sud sarà nel futuro» (n. 15).
Il richiamo agli elementi costitutivi della dottrina sociale della Chiesa fa appello alla necessità di una prospettiva etica e di un giudizio su una situazione che «non è il frutto di una fatalità storica, ma di precise causalità» (n. 16), richiama le esigenze di un’etica economica e incoraggia il vero sviluppo come sviluppo di tutto l’uomo. Se ne trae la conseguenza di una necessaria «coerente politica meridionalistica» (n. 19), che miri al territorio e che richieda «un diverso protagonismo della società civile meridionale» (n. 21).
Le linee pastorali suggeriscono una solidarietà reciproca fra le varie parti del Paese che permetta una conoscenza reciproca, e quindi una nuova evangelizzazione che abbia attenzione soprattutto a una pietà popolare purificata. «L’evangelizzazione non mira in alcun modo al soffocamento delle manifestazioni della “pietà popolare”, ma soltanto alla sua purificazione, che ne metta in evidenza gli aspetti positivi, quali il profondo senso della trascendenza, la fiducia illimitata in Dio provvidente, la “via del cuore” nella percezione di Dio, l’esperienza del mistero della croce nella sua drammaticità, ma anche nella sua valenza salvifica, la confidenza filiale nella Madonna, il senso tipicamente cattolico dell’intercessione dei santi. Al contempo ne qualifichi la gestualità e il riferimento alla natura, impedendo che diventi “l’alternativa dei poveri” alla liturgia. Senza questa purificazione data da una nuova evangelizzazione, la pietà popolare, pur essendo aperta e orientata alla trascendenza, può ridursi a essere domanda senza risposta, croce senza risurrezione, gestualità senza contenuti, memoria di pure emozioni, solidarietà senza comunione» (n. 26). Non c’è da trascurare, in questa prospettiva, l’esigenza di saldare fede e storia, l’impegno politico e in generale il ruolo dei laici, tra i quali i giovani e le donne in particolare. Non manca, insieme ad altri temi, un riferimento al fenomeno delle migrazioni.
«Tale documento – disse a suo riguardo Giovanni Paolo II a Napoli nel novembre 1990 – può ben essere considerato la traduzione non solo pastorale, ma anche politica, nel senso più alto del termine, del progetto di organizzazione della speranza nella vasta area del Mezzogiorno»[22]. È questo il primo documento dell’intero episcopato italiano e segnala uno sforzo di organicità nel trattare la questione, senza perdere di vista l’ottica specifica dell’iniziativa episcopale con il suo carattere etico e pastorale. Sullo sfondo di uno sviluppo storico più che secolare si coglie la maturazione dell’identità di un episcopato nazionale che si fa carico, con senso di responsabilità pastorale, dei problemi e della vita del Paese. Nella distinzione degli ambiti di competenza, tuttavia, la fede, e quindi la comunità ecclesiale a partire dai suoi pastori, non può considerare in modo dissociato la vita dei suoi fedeli, come pure di tutti i cittadini, ma vi deve cogliere l’inestricabile intreccio di coscienza credente e responsabilità civile, di fede e storia.
Gli episcopati regionali non mancarono di prendere iniziative, orientate ad un impegno pastorale più intenso, testimoniato dal Messaggio alle Chiese del Mezzogiorno delle conferenze episcopali di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia dell’11 gennaio 1996, il documento dei vescovi campani sulla disoccupazione dello stesso anno[23], come pure il documento per i cinquant’anni dello Statuto regionale da parte dei Vescovi siciliani [24], la Lettera pastorale del Vescovi calabresi del 13 febbraio 2005 [25], il documento conclusivo del convegno dei laici della Basilicata del 2008[26]. E poi, ancora, sono da segnalare convegni pastorali di varie regioni ecclesiastiche e convegni di studio promossi dalla Facoltà teologica dell’Italia meridionale.
Questo stesso movimento di riflessione, di iniziativa pastorale e di studio conduce alla proposta dell’episcopato meridionale all’episcopato italiano di intervenire nuovamente in occasione dei vent’anni dalla pubblicazione di Chiesa italiana e Mezzogiorno. Il Consiglio permanente del gennaio 2008 affida ai presidenti della conferenze episcopali regionali del meridione d’Italia di promuovere un incontro di studio che prepari la stesura del documento. Il convegno sarà celebrato a Napoli il 12 e 13 febbraio 2009. L’elaborazione del documento richiederà circa un anno. Il 21 febbraio di quest’anno esso è stato pubblicato con il titolo Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.
In esso si può rilevare la significativa continuità con il precedente. Ciò dice l’intendimento dei vescovi innanzitutto a tenere alta l’attenzione sulla questione meridionale. La circostanza denota la viva sensibilità dell’episcopato per la questione e per il connesso tema della nazione e della sua unità, ma permette anche di segnalare alcuni cambiamenti, pure significativi, verificatisi negli ultimi venti anni. In generale si può notare uno spostamento di accento dall’etico all’ecclesiologico, allo spirituale, al pastorale. Si confida meno su ricette di azione pastorale e più su alcune scelte di fondo, coerentemente con le esigenze ben più essenziali che si sono evolute e sono maturate negli ultimi decenni.
Il perdurare della questione meridionale nel quadro dei mutamenti che si sono prodotti sul piano della crisi economica, delle trasformazioni politico-istituzionali e dell’evoluzione socio-culturale rende plausibile la decisione di tornare sull’argomento. Viene messo in gioco un atteggiamento di fiducia, «per dare un contributo alla comune fatica del pensare», alla «responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri», a un «peculiare pensiero solidale», capace di attivare «la tensione alla verità da cercare, conoscere e attuare», nel tentativo di «valorizzare al meglio il patrimonio di cui tutti disponiamo, cioè la nostra intelligenza, la capacità di capire i problemi e di farcene carico, la creatività nel risolverli» (n. 2). L’indicazione di stile e di metodo è la condivisione, disegnata sul calco dell’impronta eucaristica.
Nel descrivere lo scenario, già significativamente mutato nel giro di venti anni, insieme alle annotazioni già riportate, a cui va aggiunto sul piano politico-istituzionale il rilievo dato al processo di riforma in senso federalistico, vanno segnalati la globalizzazione dei mercati, la situazione dei Paesi che danno sulle sponde del Mediterraneo e il nuovo rapporto che si profila tra Europa e Mediterraneo, la questione ecologica, ma anche le zone di consolidata povertà, disoccupazione ed emigrazione. Torna ad essere evidenziato il passaggio incompiuto alla modernità per effetto di una mancata elaborazione del processo di modernizzazione, che spiega la persistenza di fenomeni come il particolarismo familistico, il fatalismo, la violenza, ma anche l’assimilazione dell’individualismo e del nichilismo che non si contrappongono ma integrano «forme tradizionali di socializzazione, di falsa onorabilità e di omertà diffusa» (n. 6). Importante rilevare, infine, accanto a una condanna ferma e articolata della criminalità organizzata, il ruolo delle classi dirigenti, spesso invischiati in «meccanismi perversi o semplicemente malsani nell’amministrazione della cosa pubblica», mentre ci sarebbe bisogno di «una cultura politica che nutra l’attività degli amministratori di visioni adeguate e di solidi orizzonti etici per il servizio al bene comune» (n. 5). Il problema non tocca soltanto la classe dirigente, ma anche il senso civico del comune cittadino. Così, la resistenza ad ogni possibile trasformazione per effetto di cause endogene, unita all’egoismo individuale e corporativo che è diffuso in tutto il Paese, con l’effetto di trasformare il Meridione «in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo» (n. 5), produce l’effetto di un blocco di ogni sua possibilità di sviluppo.
Le comunità cristiane costituiscono un inestimabile patrimonio e un fattore di sviluppo e di coesione di cui si avvale l’intero tessuto sociale. Lo sono in quanto realtà ecclesiali, edificate dalla Parola di Dio, dall’Eucaristia e dalla comunione fraterna, dedite alla formazione delle coscienze e alla testimonianza della verità e dell’amore. Fedeli alla loro identità, costituiscono anche un prezioso tessuto connettivo nel territorio, un centro nevralgico di progettualità culturale, una scuola di passione e di dedizione civile. Nelle comunità cristiane si sperimentano relazioni significative e fraterne, caratterizzate dall’attenzione all’altro, da un impegno educativo condiviso […]. Questo è il rinnovamento sociale cristiano (n. 14).
E poi:
Il cristiano non si rassegna mai alle dinamiche negative della storia: nutrendo la virtù della speranza, da sempre coltiva la consapevolezza che il cambiamento è possibile e che, perciò, anche la storia può e deve convertirsi e progredire (n. 14).
In questo orizzonte, le prospettive di azione ecclesiale sono dettate dalla condivisione ecclesiale, a tutti i livelli (all’interno delle Chiese e tra le Chiese, negli ambiti regionali e su scala nazionale, coinvolgendo presbiteri e consacrati, ma anche laici), dalla promozione di una cultura umana ed etica, dall’assunzione della missione educativa.
(4-Continua)
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